The Future in the Past

Assassin's Creed

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  1. Taide
     
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    Mi impegnerò a postare al più presto...ma se proprio proprio sei curioso dai un occhiata qui:
    www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=21050

    Per il momento il decimo capitolo è in stesura...mentre per il sesto devo solo trovare il tempo di postarlo e di sistemare l'impaginazione...
     
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  2. Taide
     
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    Eccomi col sesto capitolo!
    Read and enjoy!


    Capitolo 6 – Arrangements –

    Abstergo Industries, 2012 – Reparto medico, il giorno dopo –

    Se il buon giorno si vede dal mattino, il Dr. Baker avrebbe preferito continuare a dormire, o entrare in coma per quanto gli confaceva.
    La prima cosa che vide, svegliandosi, fu la faccia di Vidic a due centimetri dal suo volto: se non era morto per l’esplosione, quella vista avrebbe potuto essere sufficiente.
    Vidic lo scrutò con sguardo indagatore, ma si tirò indietro ridando al paziente il suo sacrosanto spazio vitale.
    Dopo aver scambiato due parole con Ryle, Warren uscì senza degnarlo di un’occhiata.
    Baker tentò di mettersi seduto ma il dolore diffuso in tutto il corpo e una salda mano sulla sua spalla che lo spingeva la suo posto lo convinsero a starsene buono.
    Voltando la testa di lato vide Ryle afferrare una sedia e sedercisi all’incontrario, appoggiando pigramente braccia e testa alla spalliera.
    - E così, - esordì con calma, - sei ancora vivo. –
    - A quanto pare – rispose in un soffio Baker.
    Ryle lo guardò attentamente.
    Frugando nelle tasche estrasse un pacco di sigarette e un accendino d’argento.
    Baker sorrise.
    Tipico di Axel fregarsene altamente delle norme civili che vietavano di fumare negli edifici pubblici.
    Soprattutto di fronte ai malati.
    Soprattutto se il fumatore era lui stesso un medico.
    Dopo il primo tiro Ryle si rilassò e l’espressione dura del suo volto si distese leggermente.
    - Sai Danny, ci hai fatto prendere un bello spavento – iniziò Axel.
    Una ruga comparve sul volto di Baker: solo quel bastardo di Ryle riusciva a sfotterlo anche quando si trovava su un letto d’ospedale ad aspettare che i rattoppi si cicatrizzassero.
    - Vidic è passato a intervalli regolari, vuole sapere che è successo. – lo informò Ryle accendendosi la seconda sigaretta.
    - Video...sicurezza? – blaterò Baker.
    Diamine, anche parlare era una fatica immane.
    - A un certo punto le telecamere sono andate in corto, quando quella bellezza che hai costruito ha sbarellato un po’. –
    Baker sospirò.
    - Presumo, - si schiarì la gola e prese fiato – presumo che tu sia qui al posto di Vidic. – affermò con fatica.
    - Già, il capo ha dato di matto troppo spesso. Hanno pensato che sarei stato più...accomodante.
    Con fatica e dopo molte pause, Baker raccontò quello che ricordava: l’allarme, le guardie in corridoi, la ragazza che cercava d’impallinarlo, l’esplosione.
    - E’ caduta all’indietro e poi è esploso tutto, non ricordo altro. – concluse Baker.
    - Beh, poteva andarti peggio. – disse Ryle.
    - Sicuramente è andata peggio a lei. – affermò stancamente.
    Sentendo un silenzio persistente, Baker si volse a guardare Axel.
    Il collega aveva le sopraciglia leggermente sollevate e un’espressione curiosa.
    In imbarazzo Baker continuò:
    - Voglio dire, non deve essere stato piacevole raccattare un cadavere bruciacchiato dal laboratorio. –
    - Oh, ma è questa la parte divertente – affermò Ryle.
    - Non è stato trovato alcun cadavere. –





    *





    Roma – 1500


    La convalescenza di Sophia era stata piuttosto calma e noiosa, lunga in una maniera insopportabile.
    Era stata costretta a letto per giorni, tormentata dalla ferita sul fianco.
    Per sua fortuna poteva disporre di bende pulite, acqua e sapone per pulire nel miglior modo possibile il taglio.
    Con l’aiuto di Margherita, lo aveva controllato lei stessa attraverso uno specchio e aveva ringraziato mentalmente qualsiasi entità divina esistesse per essersela cavata così a buon mercato.
    Un po’ più su e il suo polmone avrebbe chiuso per ferie.
    Definitivamente.
    Nelle ore passate costretta a letto Sophia aveva avuto modo di conoscere gli abitanti della casa che sostanzialmente si riducevano al figlio di Margherita, Carlo, e a un cucciolo di molosso, nero e iperattivo.
    Era stato proprio quello scricciolo a trovarla poco lontano da casa e aveva attirato l’attenzione di Margherita portandola fino a lei.
    Sophia non aveva ancora capito come l’avessero trasportata dentro ma a sentire Carlo erano stati aiutati da un tizio che si trovava da quelle parti.
    Rassicurante, aveva pensato Sophia e la prima cosa che aveva fatto, riprese un po’ le forze, era stata assicurarsi che tutto ciò che aveva con sé non fosse misteriosamente sparito.
    Il controllare meticolosamente le sue cose, stringere nella mano il tessuto moderno dei suoi vestiti, toccare pistole e carte l’aveva rassicurata sul fatto che non fosse del tutto pazza.
    Tre giorni dopo essersi risvegliata in quel letto, Sophia aveva preso un po’ di confidenza con il bambino di Margherita, tutto ricci dorati e chiacchiere, e lo aveva convinto ad aiutarla ad evadere dalla severa sorveglianza della madre.
    Con la complicità di Carlo, Sophia era uscita di nuovo fuori e aveva guardato con mete lucida e riposata il paesaggio che aveva di fronte.
    Non che fosse mutato, se non per la neve che quell’anno aveva deciso di cadere su Roma.*
    Su quella rupe scoscesa, osservando il via vai quotidiano, si era dovuta rassegnare all’evidenza, al fatto che da Firenze fosse finita a Roma e che quella non fosse la moderna città del 2012.
    Effettivamente sembrava un ammasso di pietre e case in avanzato degrado.
    A circa sette giorni dal suo arrivo a casa di Margherita, Sophia si era trovava in piedi dopo una lunga degenza, comodamente vestita con un paio di pantaloni neri che aveva scovato nello zaino, una maglietta, e un maglioncino di cashmere chiuso con solo due bottoncini all’altezza del seno.
    Con l’aiuto di Carlo aveva portato il tavolo che c’era in un angolo della sua stanza di fronte al camino e aveva tirato fuori dalla cassapanca tutta la sua roba.
    Disponendola sul tavolo Sophia aveva fatto un bilancio di tutto ciò che aveva con sé.
    Armi e munizioni varie erano tornate al loro posto nello zaino e il più lontano possibile da un Carlo anche troppo affascinato.
    I medicinali e gli altri oggetti che aveva raccattato dal deposito dell’Abstergo erano stati catalogati attentamente dalla ragazza e deposti con cura vicino allo zaino, che aveva trovato nella cassapanca la sua futura collocazione.
    Carlo aveva seguito ogni sua mossa ed era stato entusiasta del semplice taccuino degli appunti di Sophia e di una banale Bic.
    - Tu sai scrivere! – aveva esclamato puntandole l’indice addosso, quasi minaccioso, dopo averla vista scarabocchiare in fretta.
    - A quanto pare – gli aveva risposto Sophia.
    Poi, osservando lo sguardo concentrato del ragazzino sui fogli ingialliti, gli aveva chiesto se voleva imparare.
    Carlo l’aveva guardata colpevole e per un po’ non aveva risposto.
    Sophia aveva scrollato le spalle e lasciato a Carlo il tempo di decidere mentre spaiava tutti i vestiti che aveva con sé.
    Quando si era sentita tirare per una manica, aveva capito di aver acquistato un allievo.





    *






    Erano passati due giorni da quell’episodio.
    Sophia osservò Carlo, tutto concentrato, scrivere una fila di

    “A”

    maiuscole e minuscole sulla carta che Margherita, seppur riluttante, gli aveva procurato insieme alle penne d’oca e a un grottesco calamaio con dell’inchiostro.
    - Che te ne pare? – le chiese il ragazzino mostrandole il foglio.
    - Migliori – gli disse Sophia sorridendo.
    Carlo gonfiò il petto soddisfatto e si ributtò sui suoi compiti.
    Sophia gli scompigliò i ricci e riprese a leggere i documenti che aveva steso sul tavolo.
    Facevano parte degli ultimi tre oggetti che aveva con sé e che aveva sistemato con Carlo due giorni prima.
    Il libro di favole dei Fratelli Grimm era rimasto su una mensola, lontano dal cucciolo di Carlo, mentre il tubo parta-progetti era stato svuotato e il contenuto posato sul tavolo insieme all’oggettino che Margherita le aveva trovato stretto in una mano.
    Sophia analizzò con occhio critico i calcoli e i disegni dettagliati.
    Non era un’esperta in materia, ma anche lei avrebbe capito che quelli erano i prospetti del tanto decantato progetto Top Secret del quale aveva sentito discutere Ryle e Weil mentre la credevano svenuta.
    Da quello che riusciva a decifrare, la piattaforma del laboratorio serviva a creare onde elettromagnetiche ad alta portata nel suo centro esatto.
    Guardando i progetti, Sophia notò una piccola annotazione, scritta con tratto minuto e nervoso:




    Il progetto si sta rivelando un successo.
    Basandoci sulle scoperte fatte anni fa col il Frutto dell’Eden siamo stati in grado di piegare il tempo al nostro volere.
    Ora che il Frutto è perduto non possiamo fare altro che mimare le sue capacità.
    La piattaforma risponde perfettamente alle nostre esigenze.
    Ma non basta: i miei test muoiono di giorno in giorno.
    E’ necessaria una soluzione.
    D.F. Baker





    Sophia rabbrividì istintivamente.
    A quanto pare lei era l’esperimento riuscito del caro Baker, peccato che la cosa non le piacesse più di tanto.
    Riportò sul taccuino l’appunto di Baker per pensarci in seguito con calma.
    Sophia e Carlo passarono la mattinata uno a scrivere e l’altra a studiare il carteggio:
    non poteva tornarsene nella sua epoca ma aveva almeno capito che quell’oggetto posato sul tavolo era una sorta di catalizzatore che serviva a concentrare magnetismo e elettricità se attivo.
    E di certo lei non riusciva a stabilire se funzionasse ancora o no.
    Frustrata da tutta la situazione, depose i progetti nella loro custodia e sistemò tutto nella cassapanca.
    Margherita entrò in quel momento.
    - E’ pronto a tavola – annunciò asciugandosi le mani nel grembiule che indossava.
    - Arriviamo - rispose Sophia.
    Carlo si era già precipitato nell’accogliente cucina seguito dalle due donne.
    - Impara in fretta – disse Sophia a Margherita.
    Quella abbassò gli occhi imbarazzata.
    - What’s wrong? – le chiese.
    Sapeva che Margherita aveva capito perché le aveva sentito usare altre volte quell’espressione.
    - Madonna, non dovreste insegnargli. –
    Sophia inarcò un sopracciglio.
    Margherita sembrò in difficoltà.
    - Vedete, noi siamo persone modeste, - iniziò stentatamente – se si venisse a sapere che Carlo sa scrivere, che a insegnargli è una donna, la gente potrebbe insospettirsi. –
    Sophia ponderò le sue parole.
    Sapeva che quelli erano anni infami, dove per un niente finivi alla forca o al rogo per stregoneria.
    Proprio in quel momento la colse una domanda che voleva da giorni fare a Margherita, ma non le si era presentata occasione.
    - Margherita, perche mi hai aiutato? –
    La donna sembrò sempre più imbarazzata
    - Voglio dire, - continuò Sophia, - ti sei certamente accorta che io non sono…ehm… di queste parti.
    Allora perché non lasciarmi morire? –
    - Non l’avrei mai fatto, Madonna. Sono una buona cristiana! – e con questa esclamazione Margherita si diresse in cucina.
    Sophia la guardò sconcertata.
    Viva la religione,** pensò sarcasticamente.
    Nonostante la spiegazione di Margherita le fosse sembrata piuttosto debole, la prese per buona e la seguì in cucina.
    Carlo stava seduto impaziente e adocchiava le pietanze sul tavolo.
    Le due donne si sedettero a tavola e Sophia le sussurrò:
    - Dirò a Carlo di non raccontare né far capire a nessuno che sta imparando a scrivere. –
    Margherita strinse le labbra ma annuì.



    *




    La mattina dopo Sophia si alzò di buon’ora e si diresse in cucina trovandovi Margherita intenta a preparare la colazione.
    Da quando si trovava a Roma, Sophia aveva preso l’abitudine di mangiare la mattina un frutto di stagione e poco altro, in mancanza del suo caffè.
    Da bravo viaggiatore qual era, suo padre aveva avuto modo di apprezzare l’espresso italiano e negli anni era divenuta sua abitudine sorbirlo la mattina al posto di “quella roba inglese”, come dicevano in Italia.
    Peccato che le caffettiere erano ancora da inventare e che la diffusione del caffè fosse concentrata soprattutto nei paesi arabi.
    Sophia si sedette a tavola e disse a Margherita:
    - Pensavo di addentrarmi nelle vie romane. –
    Margherita la guardò preoccupata.
    - Non crede sia meglio aspettare? La sua ferita le da ancora problemi e non conosce le strade. –
    - Non preoccuparti, il taglio è del tutto rimarginato e voglio dare un’occhiata in giro, vedere se trovo qualcosa da fare. –
    - Qualcosa da fare? –
    - Un lavoro. –
    - Madonna, gli unici lavori per una giovane… - Margherita non completò la frase.
    - So a cosa ti stai riferendo, mi inventerò qualcosa. Posso vestirmi da ragazzo se necessario – la rassicurò Sophia gentilmente.
    La donna la guardò rassegnata e annuì.
    Per quel giorno Carlo sarebbe andato con Sophia per mostrarle le strade.
    Sulla porta entrambi indossarono i lunghi mantelli che Margherita porse loro per ripararsi dal freddo e, nel caso di Sophia, per nascondere i vestiti.
    Si avviarono di buon passo verso la ripida discesa e si immisero nelle strade romane.
    Sophia non sapeva da che parte guardare: per lei, così abituata a studiarla la storia, trovarcisi in mezzo era un qualcosa di inimmaginabile.
    Per buona parte dell’andata tenne il naso per aria osservando le abitazioni, in seguito la sua attenzione venne catturata dalle botteghe e da tutte le merci che vi si trovavano.
    Roma era una girandola di colori e attrazioni, uno scrosciare di persone che si accalcavano le une contro le altre.
    Tenendo la mano di Sophia, Carlo la guidò per tutte le strade che conosceva, ma per la maggior parte fu lui a essere trasportato da una parte all’altra.
    Margherita aveva imposto dei limiti a Carlo e il ragazzino sapeva di non doversi allontanare dalla zona che gli era famigliare.
    Vedendo che Sophia stava andando per conto suo, cominciò a tirarla.
    Lei si fermò e lo guardò interrogativa.
    - Lì non possiamo andare – le disse con voce squillante.
    - Why not? – gli chiese.
    - Non sconosco la strada – le mentì, vergognandosi di dirle che la mamma glielo aveva proibito.
    - Io si! –
    Carlo fu letteralmente trascinato via da Sophia e si ritrovò a vagare con la ragazza fino a quando non sbucarono in una vasto spiazzo.
    - Insomma, Sophia! Non sei mai stata a Roma. Me lo ha detto la mamma! – sbuffò spazientito e lagnoso.
    - Ah, il Pantheon – ribatté Sophia sorridendogli.
    Carlo si guardò in torno: erano davvero di fronte al monumento.
    - Ma come hai fatto? – gli chiese sorpreso.
    Lui si era recato solo una volta lì e non avrebbe saputo orientarsi.
    Sophia gli rivolse un sorriso furbo e lo portò in giro, tenendogli saldamente la mano.
    Arrivarono sotto il grande edificio.
    - Cinque secoli ed è quasi uguale. –
    Carlo la guardò:
    - Che hai detto? –
    - Che è ora di sbrigare le commissioni di tua madre. –
    Il ragazzino si sentì tirare e si affrettò a seguire Sophia che in breve lo riportò nella zona che lui conosceva.
    - Come hai fatto? – le richiese sbalordito.
    - Sono stata a Roma qualche tempo fa – rispose tranquilla.
    Non era poi una bugia, ma avrebbe fatto meglio a dire “sai, sarò a Roma fra qualche secolo ma anche ora riesco più o meno ad orientarmi”.
    Svolsero con alacrità le commissioni di Margherita e Carlo aiutò Sophia a comprare dei vestiti nuovi, i suoi erano proprio buffi!
    Con sua grande delusione, Sophia non si lasciò persuadere a comprare un vestito che, Carlo ne era certissimo, le sarebbe stato d’incanto.
    Acquistò invece dei corpetti aderenti e delle camice da mettervi sotto, due paia di pantaloni attillati beige scuro e dei pratici stivali che arrivavano sotto il ginocchio.
    E due mantelli con il cappuccio largo.
    Carlo seguì gli acquisti sconcertato ma si divertì moltissimo a veder penare il bottegaio perché non riusciva a mettersi d’accordo sul prezzo.
    - Madonna, le dico che è un prezzo onestissimo – affermò quello.
    - Sciocchezze Messere! Poco più avanti ho visto i vostri stessi articoli a un prezzo decisamente concorrenziale – ribatté pronta Sophia.
    Era una bugia, Carlo lo sapeva perché non si erano fermati da altri sarti.
    Fece per parlare ma Sophia lo zittì con un’occhiataccia.
    - Chi è quel manigoldo che vende i miei stessi articoli! Qui ci sono solo pezzi unici, Madonna, pregiatissimi – si infervorò il negoziante.
    - Mi faccia il piacere, la mia amica Sara ha comprato camice di stoffa migliore e a meno denaro. E guardi questi corpetti! Fra due settimane saranno da cambiare! –
    Andarono avanti così finche il sarto, stremato, cedette:
    - Va bene, Madonna, va bene! Cinque monete e non parliamone più. –
    Per tutta la strada di ritorno Carlo osservò di sottecchi Sophia con una faccia ammirata e sognante.
    - Allora? - gli chiese con un ghigno.
    - Praticamente te li ha regalati!– esclamò.
    Sophia rise di cuore.
    Quando entrarono in casa, Margherita stava giusto mettendo in tavola il pranzo.
    Sophia le passò gli acquisti e le sussurrò che, appena avrebbe potuto, le avrebbe ridato i soldi.
    Margherita scosse la testa.
    - Andiamo a lavarci le mani, Carlo – gli disse Sophia trascinandolo al lavamano.
    - Lavarsi le mani? E perché? – chiese sorpreso il ragazzino.
    Sophia inarcò il sopraciglio nel modo in cui Carlo e Margherita si stavano abituando a vedere.
    - Perché chi non si lava le mani, non mangia – rispose dopo un attimo.
    - Ma non è vero. –
    - Invece sì. –
    - Invece no. –
    Carlo dovette comunque rassegnarsi, perché Sophia lo obbligò a infilare in pugni serrati dentro l’acqua.
    - Non avevi detto alla mamma che cercavi un lavoro? – le chiese imbronciato Carlo.
    -Infatti – gli rispose.
    - Non hai chiesto a nessuno – iniziò il bambino.
    Con le mani asciutte, Sophia gli scompigliò i ricci dorati.
    - Non ti preoccupare, ho visto molto più di quanto tu immagini. –





    *







    Monteriggioni, 2012 – Il giorno dopo –


    Shaun e Lucy avevano parlato a lungo e fittamente, analizzando i dati immagazzinati dal computer di Shaun.
    Lucy stessa aveva faticato a non inveire contro l’Universo Intero ma aveva aspettato di sentire tutto ciò che Shaun aveva scovato.
    E ora, dopo quasi ventiquattrore di pausa, stavano informando Rebecca e Desmond.
    Ed entrambi li guardavano come se fossero degli alieni.
    - Andiamo, - sbottò Desmond, - è ridicolo! – disse, ripetendo le stesse parole che aveva usato Shaun la mattina prima.
    Hastings, che si era calmato dopo lo scoppio del giorno prima, spinse gli occhiali sul naso.
    - Infatti per noi è tutto regolare, Miles. Non vedi come siamo tranquilli e sereni? –
    - Fottiti! Mi stai dicendo che improvvisamente, dal nulla, sbucano fuori avvenimenti storici di cui nessuno ha mai sentito parlare e che sono tutti riconducibili a una persona legata alla Confraternita e ai Templari! –
    - Hai colto nel segno! Tutta la documentazione storica è sfasata. Intendiamoci, ho dato uno sguardo agli avvenimenti più importanti e nulla è mutato, ma ci sono particolari storici che lasciano perplessi e avvenimenti che mai sono accaduti. Per gli Assassini! Il computer mi ha mostrato uno scritto di pugno di Leonardo dove si parlava di un incontro che riguarda il Valentino e che qui non è mai avvenuto! – s’infervorò Shaun.
    Il silenzio cadde pesante su di loro.
    -Cosa… - iniziò Rebecca – cosa pensi sia accaduto? –
    Shaun rifletté un attimo, ma scosse subito la testa.
    - Non lo so. Gli esperti informatici della Confraternita sono stati avvisati e si stanno dando da fare perché nessuno noti nulla. Sarà un lavoraccio. –
    Rimasero tutti assorti nei loro pensieri fino a quando Lucy attirò la loro attenzione:
    - Non c’è stata quell’esplosione? –
    - All’Abstergo dici? – chiese di rimando Desmond.
    Lucy annuì.
    - Il giorno dopo Shaun ha notato i cambiamenti – spiegò Lucy.
    - Potrebbe essere, – disse l’interpellato sorvolando sulla punta d’ironia della compagna – vado a controllare. –
    - Che bastardi! – sbottò Desmond mentre si dirigeva con Rebecca all’Animus per una nuova sessione.
    Lucy si era intanto avvicinata alla postazione di Shaun.
    - Pensi che possa davvero essere causa loro? –
    - Per forza, - le rispose passandosi la mano tra i capelli per il nervoso – chi altro combinerebbe un casino di tale portata? -


    * Non sono riuscita a scoprire se nel 1500 a Roma abbia nevicato, ma prendetela per buona.
    ** Premetto che con questa frase non voglio offendere nessuno ma era necessaria per la caratterizzazione del personaggio. Come studiosa, Sophia è entrata in contatto con numerose religioni e il suo carattere critico e logico l’ha portata a tirare da sola le sue conclusioni. Si potrebbe dire che sia atea o, ancor meglio, agnostica.


    Note dell'Autrice
    Salve a tutti! Innanzitutto è neccessario fare un piccolo appunto alla storia: quando si legge, ad esempio, Monteriggioni - il giorno dopo - si fa riferimento all'ultima volta che si è letto di Desmond e compagnia bella. Lo stesso procedimento è da adottare alle parti dell'Abstergo. Come si nota, tra il tempo di Sophia e quello degli altri c'è un forte dislivello: dall'esplosione sono passati circa due giorni - narrati in momenti diversi nelle sequenze dedicate ad Assassini e Templari, mentre per Sophia si ha uno trascorrere del tempo diverso.
     
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  3. Taide
     
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    Visto che a giorni aggiornerò la storia su EFP, che martedi esce Revelations e che ho un po' di tempo vi lascio il settimo capitolo della fic.
    Read and Enjoy XD

    Capitolo 7 – Senator –


    Ridere non e' affatto un brutto modo per iniziare un'amicizia.
    Oscar Wilde



    Roma – 1500

    Come Carlo ebbe modo di constatare, Sophia trovò lavoro più velocemente di quanto si sarebbe aspettato.
    Accadde per caso qualche settimana dopo la loro prima uscita, ma se lo sarebbe ricordato a lungo.


    - Rallenta! –
    Sophia si girò ad osservare il bambino che incespicava sulla ripida discesa.
    Diminuì leggermente l’andatura per permettergli di raggiungerla.
    - Sei un
    bradipo – gli disse pizzicandogli una guancia.
    - Sono cosa…? – chiese stupito cacciando via la mano di Sophia.
    Le aveva detto di non tirargli le guance, che dall’alto dei suoi nove anni non era più un bambino, ma lei non lo ascoltava!
    Con un ghigno Sophia gli spiegò cos’era un bradipo e Carlo le tenne il muso per quasi tutta la strada borbottando tra sé e sé.
    - Non sono lento! – sbottò a un certo punto.
    - Allora al ritorno mi dimostrerai che hai ragione – gli rispose conciliante Sophia tornando a pizzicargli una guancia.
    Carlo sbuffò e lei sorrise.
    - Cosa dobbiamo fare oggi? – le chiese una volta raggiunta la strada in cui erano collocati i mercanti.
    - Tua madre mi ha detto di portare questo cesto di biancheria rammendata dal panettiere lì all’angolo. Si sono già accordati e ti darà del pane fresco in cambio – gli spiegò Sophia.
    - Vado da solo? –
    - Non sei tu quello grande? – gli domandò di rimando Sophia.
    - O non ce la fai? – lo pungolò.
    Carlo gonfiò il petto e le strappò il cesto che aveva in mano.
    - Certo che ci riesco! –
    - Bene! Mi trovi da Doriano. –
    Così dicendo, Sophia si allontanò sventolando la mano per aria.
    Carlo la guardò imbambolato e con la sensazione di essersi lasciato fregare in un qualche modo.
    Alzando le spalle il ragazzino si diresse al forno, cercando di essere il più veloce possibile.
    Doriano Marconi era il sarto con cui Sophia aveva contrattato le sue vesti.
    Quando sua madre si era resa conto dell’abilità della propria ospite negli affari, le aveva delegato la gestione dell’economia famigliare, che ne aveva ampiamente giovato.
    Tutti gli abitanti della loro zona avevano pian piano conosciuto Sophia e i commercianti si erano abituati a strenue lotte sul prezzo.
    E Marconi era quello con cui Sophia si adoperava di più.
    Secondo Carlo, Sophia si divertiva a far adirare il sarto e a vederlo diventare viola per la foga di ribattere.
    Rinunciando a capire gli adulti, si mise pazientemente in fila di fronte al forno e aspettò il suo turno.


    *




    Sophia seguì Carlo con lo sguardo per assicurarsi che arrivasse a destinazione senza problemi; soddisfatta si diresse alacremente verso la bottega.
    Quella mattina Margherita le aveva detto di comprare della stoffa a buon mercato e l’aveva spedita senza troppi complimenti a contrattare il prezzo.
    Avvicinandosi da Marconi salutò un paio di volti che aveva imparato a riconoscere fino a che non fu letteralmente placata da un donnone che la tirò per un braccio.
    - Me parea d’aver visto ‘na faccia conosciuta! – esordì scuotendola agitata.
    - Madonna Lucia, cosa posso fare per voi? – chiese Sophia stampandosi sul viso un sorriso di circostanza.
    - Mado’ Sophia mia, c’è sta ‘na zuffa vicino ar sarto. ‘Sto tizio s’è sta a lamentà der prezzi e Marconi n’uscito fore dalla grazia de’ Dio. –
    - Ah, un litigio. Pensavo che si stessero picchiando – tradusse Sophia.
    Se già faticava a parlare l’italiano in modo scorrevole, il dialetto l’uccideva.
    - Poco c’è manca! Nun andà da quella parte…piuttosto…-
    Sophia passò dieci minuti buoni a sentire le ciarle della donna e quando riuscì a liberarsi dalla sua presa non si sentiva più il braccio.
    Svignatasela alla svelta prima di essere riacciuffata, si diresse a passo di carica verso la sartoria.
    Effettivamente Lucia non aveva mentito dicendole del litigio, i due si sentivano a grande distanza.
    Marconi era impalato dietro il suo banco, ben deciso a non cedere di un millimetro; il suo acquirente era un uomo che poteva aver benissimo superato la trentina, sobriamente vestito e di bell’aspetto.
    Se ne stava piantato di fronte a Marconi e gesticolava ampiamente, protestando su questa o quella stoffa, mischiando all’italiano frasi in francese.
    - Incocevable! C’est du vol! *– ringhiò con la sua bella voce.
    - Che accidenti state sbraitando! Se non vi sta bene il prezzo trovatevi qualcun’altro! –
    L’uomo tuttavia non sembrava avere la benché minima intenzione di muoversi e Sophia poteva capire il perché: nonostante la zona non fosse lussuosa come quella del Centro, Marconi vendeva stoffe decisamente pregiate, naturalmente non tutte esposte, ed era un sarto molto abile.
    Sophia squadrò per bene l’avventuriero: quello poteva essere un ottimo affare.
    Un lieve sorriso le inclinò le labbra.
    Con passo deciso si diresse verso la bottega e esclamò:
    - Scusa il ritardo zio, quel medico ci ha messo un’eternità. Oh, ma vedo che abbiamo un cliente – esclamò allegra Sophia rivolgendo un sorriso disarmante al francese.
    Marconi la guardò spiritato mentre si piazzava al suo fianco dietro il banco, l’uomo invece la osservò completamente ammirato e le rivolse il più deliziato dei sorrisi.
    - Excusez-moi, mademoiselle. Il y avait un petit malentendu entre nous. – le disse.
    Poi schiarendosi la voce, si apprestò a tradurre ma Sophia lo anticipò:
    - Ne vous inquiétez pas, monsieur. Comment puis-je vous servir?
    Il francese la guardò stupito.
    - Vous parlez français? -
    - Oui, monsieur. –
    I due si gettarono in una fitta conversazione.
    Sophia mostrò all’uomo stoffe di tutti i tipi, si dimostrò affabile e riuscì a vendergli la merce di Marconi a un prezzo che avrebbe soddisfatto entrambi.
    Il povero Doriano la guardava a bocca aperta.
    - E’ stato un piacere fare affari con voi, mademoiselle. Molto più che con vostro zio. Tornerò sicuramente a trovarvi – le disse facendole un elegante baciamano.
    - Allora vi aspetto! – ribatté lei.
    - Au revoir – con un ultimo inchino, l’uomo si disperse nella folla.
    Soddisfatta, Sophia si girò verso Marconi.
    - Allora zio, che te ne pare? –
    Marconi si riprese dallo stupore e divenne viola dall’ira.
    - Che diamine avete combinato? – cominciò a sbraitare a destra e a manca.
    Sophia ascoltò tutta la tiritera con pazienza fino a quando Doriano tacque per riprendere fiato.
    - Vi ho fatto guadagnare più di quanto potevate sperare con le vostre maniere – gli disse.
    Marconi la guardò: ora che la sua furia era sbollita stava riemergendo il suo animo per i buoni affari.
    La soppesò con lo sguardo considerando che così abbigliata attirava sguardi indecenti da ogni dove, e meno male che quella santa donna di Margherita l’aveva obbligata a indossare una sorta di gonna scura sui pantaloni attillati.
    Stoffa buttata secondo Marconi, dato che quella giovane truffatrice l’aveva tagliata ai lati creando due spacchi che si fermavano alle cosce.
    Quando aveva visto il suo lavoro di sartoria rovinato lei gli aveva semplicemente detto che così si muoveva più facilmente.
    - Presumo di dovervi ringraziare, madonna – disse cauto.
    - Infatti… -
    - Bene, per oggi potete prendere quello che volete da me – le disse Doriano.
    - Allora credo che mi accontenterò di un posto di lavoro – gli rispose pronta.
    - Ma senti. Cosa vi fa credere che sia disposto a insegnarvi la mia arte? – le chiese.
    - Tenetevela per voi la vostra arte! Sto parlando di trattare con i clienti. Non potete negare che non sia brava a ottenere ciò che voglio. –
    Marconi sorrise leggermente: forse poteva prendere in considerazione l’idea.
    - Penso che potrei anche darvi ascolto, madonna. Ma, - le sventolò un dito di fronte al naso – prima vi terrò in prova una settimana, poi deciderò se la questione è trattabile.–
    - Affare fatto,
    zietto – gli rispose stringendogli la mano che le porgeva.
    - E non chiamarmi
    zietto! – le urlò dietro.
    - D’accordo
    zietto. –


    Quando Carlo era tornato indietro, alcuni conoscenti gli avevano raccontato la scena e lui era rimasto profondamente deluso di essersela persa.
    Ma non poteva lamentarsi molto: dopo la prima settimana di prova di Sophia, Marconi l’aveva ingaggiata a tempo pieno, sfregandosi le mani per le entrate raddoppiate.
    Carlo si era dovuto adattare a vederla rientrare a tarda sera, scortata dal cucciolo di molosso che lei aveva insistito per chiamare Cesare.
    Carlo l’aveva trovato carino e sua madre si era rassegnata al fatto.


    *



    - Centoventitré, centoventiquattro e centoventicinque. –
    Sophia segnò su un pezzo di carta i guadagni del giorno e li mise in un sacchetto di cuoio che passò a Doriano.
    In tre settimane avevano fatto affari d’oro e il vecchio sarto le aveva delegato il compito di controllare le entrate e le uscite, dato che la sua vista non era più buona come quella di una volta.
    Sophia sospirò: erano passate poco più di sei settimane da quando si trovava a Roma e non aveva ancora considerato un piano per tornare indietro.
    Meglio ancora, ci aveva pensato, ma la consapevolezza di vivere in un tempo in cui la scienza era ancora agli albori le aveva fatto gettare la spugna in partenza.
    - Gli affari non mi sono mai andati così bene come in questo periodo – le disse Marconi porgendole una tazza di brodo caldo.
    La sua nuova routine consisteva nel chiudere bottega e cenare con la ragazza mentre parlavano di affari.
    - Così sembra – gli rispose bevendo un sorso di quella roba.
    La mia conoscenza per un Big Mac, pensò Sophia.
    Marconi la osservò: come per molti abitanti della sua zona quella ragazza era un’incognita interessante.
    Aveva atteggiamenti che non si riscontravano in nessuno abitante, tanto meno in una donna, e talvolta sembrava completamente estranea agli usi del tempo.
    Certo, era una brava simulatrice e riusciva a mischiarsi tra la folla, se voleva, ma Marconi era in grado di notare un qualcosa di diverso in lei.
    Spesso, quando chiudevano bottega, era distratta e lontana e una lieve ruga adombrava la sua espressione.
    Marconi decise che forse era l’ora di conoscere un po’più affondo la sua dipendente:
    - Allora, non ti ho mai chiesto da dove vieni – iniziò con calma.
    Sophia lo guardò sottecchi.
    - Firenze – gli disse laconica.
    - Il tuo non sembra un accento fiorentino. –
    - E il tuo non sembra romano. – ribatté pronta.
    - Pace – le disse Marconi sollevando le mani.
    - Stavo solo cercando di capire come mai una ragazza che parla più lingue di quanto ci si aspetti da una donna si trovi in questa zona. In più sai leggere e scrivere, non è cosa da poco, ragazza. –
    Sophia lo osservò: sapeva che Marconi non era uno stupido e che prima o poi avrebbero affrontato questo discorso.
    - Diciamo che sono inglese – gli disse lentamente.
    - Diciamo pure così – concordò Marconi.
    - E supponiamo che sia di un ceto un po’ più elevato del tuo - continuò con calma – e che non voglia grane con nessuno. -
    Marconi annuì una volta.
    Poteva bastargli.
    - Non dirai nulla di questa conversazione? – gli chiese di punto in bianco Sophia.
    - Conversazione? L’unica cosa che ho sentito riguarda i guadagni del giorno. E ora finisci il brodo. –
    Sophia gli rivolse un sorriso grato.
    - Mhm, Doriano? –
    - Che c’è? –
    - Grazie. –
    - Non mi ringraziare. Sei una miniera d’oro! –

    *



    - Sophia! C’è quel damerino francese! –
    Marconi guardò seccato l’uomo che gli stava di fronte e sorrideva tranquillo.
    Dalla prima volta che si erano incontrati, il bastardo era tornato spesso a farsi spennare alla sua bottega, ma che gli venisse un colpo se ne era felice.
    Gli stava ampiamente sulle scatole.
    E il fatto che corteggiasse senza mezzi termini la sua dipendente glielo rendeva ancor più antipatico.
    - Alphonse, che piacere! Come posso esservi utile?– gli chiese affabile Sophia mentre lanciava uno sguardo ammonitore a Marconi.
    - Mademoiselle Sophia. Siete la luce abbagliante di questa grigia giornata! – le disse afferrandole le mani e baciandole con trasporto.
    - Ehm, già. Se lo dite voi – rispose Sophia allibita.
    Quando si sarebbe stancato di tutte quelle scene, non era più un ragazzino!
    - Purtroppo non sono qui per comprare oggi – iniziò con fare desolato.
    - Allora potete anche sloggiare, – gli ringhiò contro Doriano – non abbiamo bisogno di altri cascamorti nei dintorni. –
    - Monsieur, sono qui per affari. –
    Doriano lo guardò con occhio critico.
    - Beh, che aspettate? Venite nel retro-bottega. Sophia! Chiudi la baracca! – ordinò a gran voce.
    - Sì, zietto –
    Una vena cominciò a pulsare sulla tempia di Marconi ma Sophia la ignorò divertita.
    Dopo aver chiuso la bottega e sistemato in giro, raggiunse i due sul retro.
    Si sedette nell’unica poltrona buona e aspettò che Alphonse smettesse di cianciare a vuoto e arrivasse al punto.
    - E quindi, il mio ospite sarebbe davvero felice di fare la vostra conoscenza, Sophia. –
    Un attimo.
    Si era persa un passaggio.
    - Come? –
    Alphonse la guardò adorante e le disse:
    - Il mio ospite ha così tanto sentito parlare di voi che è assolutamente intenzionato a conoscervi.
    E’ disposto a commissionare del lavoro a monsieur Marconi, non baderà a spese, e naturalmente voi dovreste andare da lui per definire i dettagli del tutto. –
    Marconi non era affatto contento; Alphonse sorrise compiaciuto.
    Sophia guardò i due incerta.
    - Che ne pensi? – chiese a Doriano.
    Quello rifletté, poi sospirò profondamente.
    - Monsieur Chevalier è ospite di un personaggio illustre qua a Roma, non sarebbe saggio rifiutare
    un lavoro del genere – disse lentamente.
    - Dunque? – domandò Sophia conoscendo già la risposta.
    - Dunque domani mattina andrai a trattare con il Senatore Egidio Troche.

    *




    Quella sera a casa Margherita non le diede tregua.
    - Il Senatore Egidio Troche è un uomo molto influente. Che lavoro importante! Ma non potete andare con quell’abbigliamento! –
    - Il mio abbigliamento va benissimo e, Margherita, dammi del tu, ti prego – sbottò esasperata.
    Lei non era affatto contenta di avere a che fare con un aristocratico il cui fratello, se ben ricordava, era molto vicino ai Borgia.
    Un uomo come Chevalier sapeva gestirlo, ma non aveva mai avuto intenzione di inguaiarsi con l’alta società.
    Troppo pericoloso.
    Neanche Doriano sembrava contento.
    Sentì tirarsi una manica e si girò.
    Carlo aveva in mano il suo libro di favole e aspettava che lei lo accompagnasse a letto.
    - Ti sei lavato i denti? – gli chiese?
    Carlo annuì sbuffando.
    Da quando era arrivata Sophia lui non faceva altro che lavarsi e anche sua madre era stata costretta ad adottare quel nuovo stile di vita all’insegna della pulizia, fisica e della casa.
    Sophia aveva per di più costruito con l’aiuto del fabbro e di Doriano degli strani aggeggi che lui doveva sfregare sui denti insieme a un impasto di menta.
    Tre volte al giorno.
    E se non lo faceva lei lo sapeva.
    Lo guardava in faccia e capiva che mentiva!
    - Bene, cosa vuoi che ti legga? – gli chiese
    - I musicanti di Brema. –
    - Va bene andiamo. –
    Quando Sophia tornò in cucina, Margherita stava finendo di lavare i piatti.
    - Siete preoccupata – constatò serena.
    - Sì, non era mia intenzione invischiarmi con un nobile – le spiegò a bassa voce.
    Margherita annuì.
    - Forse potrà aiutarvi a tornare a … casa vostra. –
    - Forse, Margherita, forse. –


    *




    La mattina seguente Sophia si ritrovò ad aspettare Alphonse con un carico di stoffe più pesante di lei.
    Era molto presto e solo il fornaio era già all’opera.
    - Non parlare come tuo solito, non farti notare, muoviti poco e, se puoi, non respirare neppure – la istruì cupo Marconi.
    - E’ contemplato che io viva? –
    - Assolutamente no! –
    - Oh, allora sono tranquilla! –
    Uno scalpitio insistente li distrasse ed entrambi alzarono il viso verso la carrozza che correva a tutto spiano verso di loro.
    Il conducente tirò le briglie di quattro magnifici cavalli e quelli si fermarono scalpitanti e irrequieti.
    - E mio padre che si lamentava per come guido io! – sbottò Sophia.
    Vedendo la faccia stupita di Marconi fece un gesto con la mano, come a scacciare via le sue ultime parole.
    - Sophia mia cara! –
    Le sue mani furono improvvisamente fagocitate da quelle di Chevalier.
    - Come state? Il lavoro non si addice a una fragile fanciulla come voi! –
    - Dateci un taglio Alphonse e muoviamoci. –
    - Eseguirei ogni vostro ordine, mademoiselle – le disse malizioso.
    Sophia lo ignorò e si accomodò dentro la carrozza posando affianco a sé tutte le sue stoffe.
    - Qui bello – disse a Cesare.
    Carlo aveva insistito perché lo portasse con sé.
    Non che un cucciolo potesse fare niente ma Sophia aveva accettato.
    Chevalier la seguì dentro, abbattuto dalla sua indifferenza.
    Il cocchiere ripartì a tutta velocità, sfrecciando per le strette strade.
    Guardando fuori, il paesaggio cambiò lentamente.
    La semplicità delle case di periferia lasciò il posto alla zona più ricca di Roma, quella meno pressata dall’influenza dei Borgia.
    Le strade erano più pulite e lussureggianti, i controlli più stretti e si notava la mancanza della malavita che dilagava negli altri distretti.
    Meno male che Margherita vive in una zona tranquilla, pensò Sophia.
    La carrozza iniziò a rallentare fino a fermarsi di fronte a un’ampia villa.
    Alphonse balzò a terra agilmente e porse una mano a Sophia per aiutarla a scendere.
    Cesare li seguì scodinzolando.
    - Dovevate proprio portarvi dietro questo animale? –
    - E’ un cucciolo di razza. Portate rispetto a chi è migliore di voi – ribatté Sophia.
    - Touché – rise Alphonse.
    La guidò con galanteria in un ampio salotto mentre un domestico si incaricava di recuperare le stoffe.
    Sophia ammirò la sobrietà e l’eccellente gusto dell’arredamento.
    Ampi arazzi con soggetti di caccia ricoprivano le pareti; tappeti di lontana provenienza poggiavano sui pavimenti di marmo.
    I soffitti erano stati affrescati di recente e si potevano ammirare magnifiche immagini di putti e nuvole.
    - Aspettate qui un attimo, - le disse Alphonse, - il Senatore ha…ehm…sta risolvendo alcuni affari urgenti. –
    Con un elegante inchino, Chevalier si dileguò da una porta lasciando Sophia da sola.
    Si mise a passeggiare aventi e indietro seguita da Cesare.
    Osservò con emozione divani e sedie, tutti pezzi originali e moderni per il tempo che nel ventunesimo secolo erano rarissimi da trovare.
    Il guaito del cucciolo la fece girare.
    L’infame se la stava squagliando dalla porta.
    - Cesare, torna qui! –
    Sophia lo inseguì per le sale buie fino a quando non lo riacciuffò.
    - Vieni qua piccolo monello - gli disse mentre Cesare le si accoccolava in braccio e lei gli accarezzava piano la testa.
    Stava per tornare indietro quando la sua attenzione fu catturata da delle voci.
    Si guardò velocemente intorno: nessuno in vista.
    Sophia non provò neanche a dirsi mentalmente che origliare non era educato.
    Lei voleva sapere ogni cosa potesse esserle utile a sopravvivere e tanti saluti all’educazione.
    Si accostò in un angolo buio e aguzzò l’udito.
    - Il padrone ha perso la pazienza, Senatore – disse una voce sguaiata.
    - Ho quasi tutto, ma mi serve ancora un po’di tempo – mormorò quello che doveva essere il suo nuovo datore di lavoro.
    Un rumore sordo e un gemito informarono Sophia che il Senatore era appena stato strattonato in malo modo.
    - Solo un’ultima occasione Egidio, solo una. –
    Con un boato la porta si aprì e due guardie dei Borgia ne uscirono di gran carriera; Sophia si strinse al corpo il cucciolo e si ritirò ancor più nell’ombra.
    Quando i passi si furono allontanati tornò il più in fretta possibile nel salotto e si accomodò ad aspettare.
    E così il Senatore ha qualche guaio con i Borgia. Interessante.
    La porta si aprì di scatto e Sophia schizzò in piedi per la sorpresa.
    - Ma chi diamine…oh! – esclamò Egidio Troche.
    L’uomo, già sulla sessantina, guardò la splendida fanciulla che aveva di fronte.
    Uno stretto corpetto aderiva alla camicia scura con le maniche larghe, dei pantaloni aderenti sbucavano dagli ampi spacchi della gonna color vinaccia e due stivali al polpaccio completavano il tutto.
    Guardando il volto della fanciulla, il Senatore fu perforato da due occhi metallici, azzurri come il cielo d’estate e calcolatori come pochi.
    Non lo mollarono un solo istante.
    Il volto della ragazza era incorniciato da dei folti capelli scuri raccolti solo parzialmente.
    Egidio si incantò nell’osservare quella bocca che si inclinava in un ghigno spudorato.
    - Il Senatore Troche, presumo – gli disse con calma.
    L’uomo si riprese e le chiese:
    - E voi sareste? –
    La porta sbatté per l’ennesima volta ed entrò di gran carriera Alphonse.
    Si era cambiato d’abito, il vanesio.
    - Zio! Permettetemi di presentarvi Sophia, ve ne ho parlato. –
    Il Senatore tornò a guardare la giovane.
    - Ah, e così voi siete la donna che ha rubato il cuore a mio nipote – esclamò il Senatore.
    - Povero voi che vi ritrovate tale erede, messere – gli disse con spirito.
    - E per quanto riguarda il suo cuore, non so davvero che farmene! –
    Il Senatore scoppiò a ridere.
    - Ma senti Alphonse, il tuo fascino comincia a far cilecca. –
    Alphonse non fece in tempo a replicare dato che suo zio afferrò garbatamente la mano che Sophia gli porgeva e la baciò.
    - Vogliamo parlare di affari, madonna? –


    *




    Abstergo Industries, 2012 – Reparto medico, una settimana dopo –

    - Dovresti riposare –
    Daniel Baker si era sempre considerato una persona calma, ponderata e ragionevole ma se quella spina nel fianco di Ryle non si toglieva in fretta dalle palle lo avrebbe strozzato con il tubo della flebo.
    - Sto bene – gli ringhiò di rimando.
    - Certo, come no – disse strascicato Axel.
    Baker lo ignorò.
    - Insomma Danny, sei da una settimana che non fai altro che scartabellare dati su dati. Rassegnati e fatti una paglia. –
    - Tu non capisci – tentò di spiegare Baker.
    -Cosa? Che hai ampiamente superato la soglia della pazzia? – chiese ironico Ryle.
    - No, che i miei studi erano giusti ma i test totalmente errati! –
    Ryle prese a camminare da un lato all’altro dell’ampia stanza del reparto medico in cui era in cura Daniel.
    - Ancora con quella ragazza? Dacci un taglio, è morta. –
    Vedendo che Baker non rispondeva Ryle sbuffò e si accese una sigaretta.
    Come se non aspettasse altro che coglierlo in flagrante, entrò l’infermiera dell’altra volta, quella che lo fulminava sempre con gli occhi.
    - Spenga quella roba – gli ingiunse.
    Ryle la ignorò e stette ad osservare mentre controllava le funzioni vitali di Baker.
    - Come ti senti oggi Daniel? – gli chiese premurosa.
    - Tutto bene, Emily. Mi sto riprendendo. –
    Lei annuì compiaciuta e si diresse verso l’uscita.
    - Ehi, dolcezza - la chiamò Axel – verresti a cena con me? –
    - Neanche morta – gli rispose senza neanche guardarlo.
    - Giusto, possiamo passare direttamente al dopo cena – affermò tirando una boccata alla sigaretta.
    - Porco! – gli urlò uscendo dalla stanza.
    - Lo prendo per un sì, okay? –
    Nessuna risposta.
    Axel rise divertito.
    Finendo la sigaretta si rivolse a Baker.
    - Sentiamo questa trovata di genio, dato che ne sei ossessionato. –
    - Penso che quella ragazza sia tornata indietro – gli spiegò – lo so che sembra assurdo ma in un qualche modo l’energia magnetica e il suo DNA hanno fornito le condizioni adatte per far funzionare il mio progetto. La stavate usando per il Progetto Animus quindi aveva dei requisiti in particolare. –
    Ryle annuì pensieroso e si accese un’altra sigaretta.
    Baker lo guardò un po’ e gli chiese:
    - Non dovresti essere al lavoro?-
    Axel gli rivolse un sorriso smagliante.
    - Non te l’ho detto Danny? Mi hanno sospeso a tempo indeterminato perché la dolce creatura che ti voleva uccidere mi ha rubato il pass. Dicono che sono stato negligente. Quindi ti farò compagnia finché non ti rimetterai in sesto. –
    Baker lo guardò inorridito e si lasciò ricadere sui cuscini.
    Voleva morire.


    *- Inconcepibile! Questo è un furto! -
    - Mi scusi, signorina. C'è stato un piccolo malinteso tra noi. -
    - Non si preoccupi, signore. Come posso servirla? -






    Note dell'Autrice
    Sera a tutti! Come avete letto, Sophia ha conosciuto almeno due personaggi interessanti che saranno utili per la trama.
    Spero che Egidio Troche sia il più IC possibile, non dovrei aver sgarrato troppo.
    Alphonse Chevalier è un uomo ancora tutto da scoprire: io me lo immagino come un misto tra Miroku di Inuyasha e Balthier di Final Fantasy XII.
    Per concludere non so se il dialetto romano è corretto, se qualcuno nota errori o ne capisce più di me e me lo vuole dire sarò contenta di correggere. Stessa cosa per il francese.
    I commenti sono graditi XD

     
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  4. ioana99
     
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    ma questo è più o meno la storia di assassin's creed?
     
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  5. Taide
     
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    Si, naturalmente è una fanfiction con dei personaggi originali e sviluppi diversi dal gioco :)
     
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  6. ioana99
     
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    ho visto=)bravaaa... anche tu pero hai giocato ad assassin's creed?
     
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  7. Taide
     
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    A tutti quelli usciti per playstation e stasera mi inabisso in Revelations :)
     
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  8. ioana99
     
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    IO ce l'ho per xboxx ho fatto quello di altair e i due di ezio-....mamma il finale del terzo gioco mi ha lasciata cosi!!!O.O
     
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  9. Taide
     
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    Già, è stato fatto apposta per incuriosire il giocatore XD
    Dai, tempo stasera o domani esce l'ultimo della serie con Ezio e si scoprirà qualcosa di nuovo ...
     
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  10. ioana99
     
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    speriamo che il gioco nn finisca! lo adoro pensa he ho finito il secondo gioco in DUE GIORNI!
     
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  11. Taide
     
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    La serie non finisce con Revelations ma le avventure di Ezio penso proprio di si...Ieri sera l'ho provato ma sto zitta per non spoilerare a destra e a manca xD
     
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  12. ioana99
     
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    MA è BELLO COME GLIALTRI?
     
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  13. Taide
     
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    Mi sembra di si, non sono andata molto avanti...Sicuramente Costantinopoli è magnifica :)
     
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  14. ioana99
     
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    costantinopolI? è ambientata nell'impero d'oriente? lo devo ASSOLUTAMENTE prenderee
     
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  15. Taide
     
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    Sì, la moderna Istanbul. E' anche per questo che una parte della Fanfiction l'ho ambientata lì...
     
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35 replies since 1/9/2011, 22:39   2676 views
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