The Future in the Past

Assassin's Creed

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  1. ioana99
     
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    ahah lo sapevo dov'è! oddio lo devo assolutamente avereeee
     
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  2. Taide
     
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    Se a qualcuno interessa ho aggiornato la fic su Efp
    Qui: www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=21050

    Per leggere e recensire dovete essere registrati :) La storia ha un paio di capitoli in più rispetto al ritmo di quella che posto qui XD
     
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  3. Taide
     
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    Capitolo 8 – Pain –





    Il solo fascino del passato e' il fatto che e' passato.
    Oscar Wilde





    Roma, 1500 – Casa del Senatore Troche –


    - Siete una schiavista! – gridò Egidio con la faccia paonazza.
    - Balle, siete voi che mi avete messo a capo dei vostri affari per risollevare la disastrosa situazione in cui vertono. Non vi lamentate! – gli rispose a tono Sophia alzando anche lei la voce.
    L’onorevole Egidio Troche la guardò come un bambino a cui è stato tolto il dolce preferito.
    Si trovavano nel magnifico studio del Senatore, una stanza illuminata da tre ampie portefinestre che davano su il cortile interno della casa.
    Beh, più che una casa era una sfarzosa Villa con molti piani che, ovviamente, il Senatore non poteva assolutamente permettersi.
    Sophia aveva amato quel posto nel primo istante che vi aveva messo piede, due settimane prima, e ora ci lavorava quasi in pianta stabile, godendosi i mobili di pregiato legno, la tappezzeria e la biblioteca situata al secondo piano.
    Quel giorno il Senatore era andato a mostrarle tutto il suo sdegno per gli ingenti tagli alle proprie spese da lei fatti.
    Sophia lo aveva ascoltato divertita lagnarsi, adirarsi e minacciare di licenziarla, ma non aveva ceduto di un millimetro e gli aveva detto chiaro e tondo che non avrebbe allentato la borsa fino a quando il suo conto non fosse tornato a livelli decenti e non avesse sfoggiato un colore differente dal magnifico colore rosso che vantava da anni a quella parte.
    Troche la guardò implorante e riattaccò:
    - Suvvia, come potete tagliare i fondi a Carlotta? E a Francesca? E a… -
    Sophia lo fermò con un gesto della mano e ribatté:
    - Non avete il ben che minimo bisogno di una mantenuta, figuriamoci di tre! Già sperperate denaro in quel bordello rinomato in centro. Però, se proprio non potete privarvi delle grazie di queste fanciulle, allora dovremmo porre dei tagli alle vostre visitine alla Rosa in Fiore… - esclamò insinuante Sophia mentre si sedeva e intingeva una penna nel calamaio, come per riniziare a fare i conti basandosi su questa decisione.
    Troche cominciò a sbraitare frasi inconsulte con le mani per aria.
    Sophia lo lasciò cuocere nel suo brodo fino a quando non si gettò esausto sulla sedia di fronte alla scrivania guardandola rassegnato.
    - Non mi date proprio scelta, eh? Le mie povere fanciulle – sospirò addolorato.
    - Smettetela! Mi sarei aspettata queste scene da quel fannullone di vostro nipote, ma da voi! E se proprio dobbiamo essere pignoli le vostre povere fanciulle possiedono a testa il triplo di quanto non abbiate voi adesso e, per dovere di cronaca, la vostra rottura con loro non intaccherà minimamente la loro fortuna – gli rispose Sophia sbuffando.
    - Ma che dite, madonna? –
    - Non fate l’ingenuo. Tutti sanno che i fratelli Serlupi sono amici intimi di Francesca e che Carlotta ospita sovente gli Orsini. –
    -E’ una menzogna! – scattò il Senatore.
    Sophia gli sorrise e soavemente gli disse:
    - Deve ancora nascere la cameriera che riesca a resistere al fascino di Alphonse e a un po’ del buon vecchio vino dello zietto. Hanno vuotato il sacco in un lampo. –
    Troche si accartocciò su se stesso.
    - Avete persino usato mio nipote per i vostri fini – sospirò melodrammatico.
    - Poche scene, fra un paio di mesi mi dedicherete una statua. –
    Il Senatore annuì sconfitto e si diresse verso l’uscita, ma fu fermato da Sophia:
    - In ogni caso, anche riguardo alla Rosa in Fiore… -
    Troche non le diede il tempo di terminare e se la svignò prima che lo costringesse, con una logica micidiale e argomentazioni di ferro, ad abbandonar il solo conforto della sua grama esistenza.



    *




    Carlo correva seguito da Cesare e, poco indietro, arrancava Doriano Marconi, che trasportava una dozzina di abiti nuovi del Senatore.
    Sebbene avesse perso definitivamente la sua sottoposta alla sartoria, non si poteva di certo lamentare: Sophia costringeva il Senatore a farsi confezionare gli abiti da lui e gli aveva recuperato persino clienti facoltosi.
    Decisamente la sua attività andava a gonfie vele.
    Seguendo Carlo, giunse all’entrata di servizio della Villa.
    Il giardiniere li fece passare dal cancelletto e Doriano si trovò ad ammirare un viale dalle piccole dimensioni, ma chiaramente curatissimo.
    In primavera quella stradina alberata doveva essere magnifica, considerò Marconi, ma il rigido inverso romano aveva spogliato i rami degli alberi trasformandoli in scheletriche e mostruose braccia.
    Il sarto non era un tipo impressionabile, ma si portava dietro il suo bel bagaglio di superstizioni popolari.
    Rabbrividendo si affrettò ad entrare nella vasta cucina dove i cuochi si stavano già dando da fare per il pranzo.
    Aleggiava nell’aria l’inconfondibile profumo di arrosto arricchito di spezie e, sia Carlo che Cesare, guardarono adoranti verso il forno.
    L’incanto non durò a lungo dato che furono spinti nel corridoio da un imbalsamato maggiordomo dai modi sprezzanti e snob che li guardò disgustato, storcendo il prominente naso.
    - Da questa parte, prego. La signorina vi sta aspettando – disse loro con lieve accento straniero.
    Il gruppetto lo seguì per i corridoi finemente arredati fino a un’ampia porta.
    Il maggiordomo picchiò all’uscio due volte e li spinse dentro senza troppa grazia.
    Carlo corse incontro a Sophia che si era alzata per salutarli, lasciando momentaneamente la pila di scartoffie che rischiava di sommergerla.
    - Tesoro! – esclamò sorridente pizzicando la guancia di Carlo.
    Quello si scostò sdegnato per poi abbracciare la ragazza.
    - Sophia, anche se vivi ancora da noi devo venire qui a trovarti se voglio vederti – si lagnò Carlo.
    Sophia gli scompigliò contenta i riccioli biondi e gli disse:
    - Mi spiace Carlo, quando torno stai già dormendo e quando esco è ancora troppo presto. Mi farò dare una giornata e la passeremo assieme, va bene?
    - Certo! –
    Sophia lasciò che Carlo si arrampicasse su uno dei divani del Senatore e si rivolse a Marconi:
    - Come stai, zietto? Ti trovo ingrassato –
    Marconi fece una smorfia.
    - Ragazza impertinente! Dovresti portare rispetto per un povero vecchio come me. Invece mi abbandoni nel bel mezzo degli affari senza farti sentire ne vedere. Ingrata! –
    Carlo osservò sconcertato tutta quella scena: non era la prima volta che la vedeva.
    Sophia e Doriano si rimbeccavano un po’ avvicenda e poi si sedevano a parlare.
    Carlo non sapeva che dicessero, tenevano le voci basse e lo mandavano a giocare con Cesare o a esplorare quella grande casa.
    I due smisero il botta-e-risposta tra loro e si fecero seri.
    Ecco, ora mi dicono di levarmi di torno, pensò Carlo.
    - Carlo, perché non vai a curiosare un po’ in giro? Magari riesci a svegliare quel pelandrone di Alphone. –
    Appunto.
    Carlo uscì di malavoglia seguito da Cesare.
    Sophia aspettò che la porta fosse perfettamente chiusa prima di rivolgersi a Marconi:
    - Allora, com’è la situazione in città? –
    Marconi si accomodò, scuro in volto, e la guardò in viso:
    - Sempre più tesa, ragazza. Il controllo dei Borgia si fa pressante e a rimetterci è la povera gente. Inoltre i controlli sono aumentati, c’è fermento di recente. –
    Sophia annuì.
    Da quando era arrivata, aveva notato subito il clima che vigeva nell’Urbe con le guardie che offrivano violenza gratuita e persone che sospettavano della loro stessa ombra.
    - Margherita e Carlo sono al sicuro? –
    - Se la cavano. Il moccioso vive immerso nelle proprie fantasie e madonna è sempre stata molto accorta nel tenersi lontana dai guai – le rispose Marconi.
    Sophia non fu comunque rassicurata.
    Si era affezionata ai due in un tempo fin troppo breve e sapeva che sarebbe bastato un niente per cacciarli nei guai.
    Marconi l’osservò attentamente mentre sorseggiava il vino che Sophia gli aveva versato in un calice.
    - Sembri in forma – le disse lentamente.
    - Sono sempre in forma – ribatté lei con un mezzo sorriso.
    -Intendevo, sembri più in forma di quando lavoravi per me. –
    Sophia rise:
    - Gioverebbe a chiunque lavorare per un Senatore – gli rispose gentilmente.
    - Panzane! No, è qualcosa di diverso. E’ come se fossi nel tuo ambiente. –
    Sophia non tentò neanche di negare.
    Come avrebbe potuto?
    Adorava passare il suo tempo in quella casa, occuparsi degli affari del Senatore, amministrare l’economia della Villa e far smadonnare Troche quando gli imponeva qualche rinuncia.
    Le sembrava di essere di nuovo a casa, in Gran Bretagna, a occuparsi degli affari di famiglia mentre suo padre era perso in qualche mappa polverosa.
    E sì, era a suo agio tra i nobili, con un padre che di aristocratico aveva almeno il titolo.
    E Marconi aveva ragione, si trovava dannatamente bene lì, in quella Villa a rompere le scatole al Senatore.
    Parlarono ancora a lungo di ciò che succedeva a Roma, delle ultime novità, tra cui la fuga di Caterina Sforza da Castel Sant’Angelo, della voce circa un misterioso uomo incappucciato che seminava scompiglio in città e dell’imminente ballo che il Senatore avrebbe dato per il carnevale.
    - E’ in banca rotta e gli permetti di dare un ballo? – si schifò Marconi quando Sophia gli confermò che le voci erano vere.
    - Dice che posso privarlo di tutte le sue puttane, cito testualmente, ma che non rinuncerà al suo prestigio rintanandosi in casa come se fosse un topo di fogna – gli rispose Sophia.
    - ‘Sti nobili! –
    - Non ha effettivamente tutti i torti, - gli disse Sophia soprapensiero – fare economia gli gioverà sicuramente ma anche mantenere i contatti con la nobiltà romana, fosse solo per pararsi le spalle. Credo che sia ne pasticci con i Borgia! –
    Marconi fischiò sommessamente.
    Poi, illuminandosi tutto, esclamò:
    - Se c’è un ballo, serviranno abiti nuovi! –
    - Perché credi che ti abbia invitato? Per far salotto? Urgono vesti adatte a un ballo in maschera! –
    Doriano si sfregò le mani, percependo il suo borsellino immaginario gonfiarsi.
    - Magnifico, confezionerò due abiti magnifici – proclamò entusiasta il sarto.
    - Tre –
    - Tre? –
    - Yes, my friend. A quanto pare rivestirò i panni della debuttante in un ballo in maschera a Roma - esclamò ironicamente Sophia.
    A Roma nel 1500, aggiunse mentalmente.




    *






    Due giorni dopo il suo incontro con il sarto, Sophia fu spedita da Egidio Troche a fare una commissione della massima importanza, sostenendo che i suoi domestici non potevano essergli d’aiuto e borbottando qualcosa su architetti pazzi, pittori buoni a nulla e un soffitto ancora da affrescare.
    Morale della storia: Sophia si trovava pressoché all’alba a vagare per le strade di Roma, trascinandosi dietro un assonnato Alphonse, lamentoso più che mai.
    Sophia srotolò perplessa un incomprensibile mappa che le aveva fatto il Senatore insieme al biglietto che doveva consegnare.
    Rigirò quel pezzo di carta in ogni possibile lato poi, con una scrollata di spalle lo accartocciò e lo mise in una delle tasche interne del mantello, decisa a servirsi di quei scarabocchi solo se fosse stata proprio disperata e se Alphonse fosse stato ancora in stato comatoso per la levataccia.
    Meno male che ho chiesto a Charles indicazioni generali su dove dirigermi, pensò tra sé Sophia.
    Riemergendo dalle sue riflessioni, sollevò il morbido cappuccio del mantello di velluto che Alphonse le aveva regalato per far colpo.
    Non che non le fosse piaciuto, ma non aveva intenzione di impelagarsi un tale cascamorto.
    - Andiamo, Alphonse – gli disse trascinandolo da un braccio.
    - Voglio un letto! –
    - Se non andaste tutti i giorni a dormire con il sorgere del sole, a quest’ora sareste bello sveglio - gli rispose senza badare ai suoi lamenti.
    Camminando, Sophia si strinse nel mantello.
    Il primo mattino era terso, ma gelido e il lieve filo di vento che soffiava non aiutava a scaldarsi in quel giorno di febbraio.
    Avviandosi di buon passo, la ragazza si diresse verso il Pantheon, camminando svelta e attenta.
    Poteva vedere tutt’intorno il degrado della città: molte botteghe avevano chiuso i battenti da quando era finita a Roma e pochi commercianti resistevano.
    I muri erano rovinati e fatiscenti; la stessa zona nobile avrebbe avuto bisogno di una buona sistemata ma i denari per le opere pubbliche finivano più spesso nelle tasche papali o in quelle di qualche politico compiacente perché si potessero avviare seri restauri.
    Guardando in alto, Sophia si rese conto di essere quasi sotto una delle imponenti torri dei Borgia, capitanata dal suo bel manipolo di soldati e dal suo tronfio comandante.
    - Aspetta, – le disse Alphonse – prendiamo un’altra strada.
    -Da qui si fa prima – gli sussurrò Sophia.
    - Sì ma… -
    - Non siate vile. Basta ignorare le guardie e camminare con passo normale. –
    Alphonse non sembrava molto convinto ma le tenne dietro solo per orgoglio.
    Passando di fronte alle guardie, quelle scoccarono loro penetranti occhiate e nulla più.
    Alphonse tirò un sospiro di sollievo.
    - Certo che voi siete proprio un tipo coraggioso. –
    Punto sul vivo, Alphonse rispose:
    - Non è questione di coraggio, ma di buon senso. Perché cacciarsi nei guai inutilmente, mademoiselle? –
    - Camminare per strada non va contro il buon senso, Alphonse. Neanche le guardie possono arrestarci per transito in una strada pubblica. –
    Alphonse la guardò come se stesse parlando ostrogoto e scosse la testa.
    Arrivarono ben presto all’ampia piazza del Pantheon, poco trafficata così presto.
    - Allora Alphonse, da che parte? –
    - Non avete una mappa? –
    - Se così si può definire… -gli rispose porgendogli il pezzo di carta.
    Chevalier lo lisciò con le eleganti mani e gli diede un’occhiata, annuendo.
    - Ma certo, perché non dirlo chiaramente che dovevamo andare ? – borbottò più a se stesso che a lei.
    Appallottolò la carta e la gettò alle sue spalle, afferrando un braccio di Sophia e procedendo a passo di carica verso destra.
    - Ehi, è da vandali buttare le cose per terra! Un po’ di civiltà! – lo sgridò Sophia.
    Alphonse non si prese la briga di risponderle e la condusse in mezzo ai vicoli.
    Si arrestarono affannati di fronte a un piccolo cancelletto che immetteva in uno striminzito cortiletto.
    Alphonse spinse il ferro che cigolò sui cardini e si fece da parte per far passare Sophia.
    - Bene, siete arrivata –
    Sophia entrò, voltandosi ad aspettare Chevalier.
    Vedendo che non si muoveva inarcò il sopraciglio.
    - Non entrate? – gli chiese.
    Chevalier si schiarì la gola e le rispose imbarazzato:
    - Effettivamente no, ecco…ehm… se avete bisogno di me, mi trovate alla taverna dietro l’angolo –
    Senza aver il tempo di ribattere, Sophia restò a guardare imbambolata il punto in cui prima si trovava Alphonse.
    Che lavativo!
    Girandosi sdegnata, salì i tre scalini che conducevano alla porta e picchiò il battente all’uscio.
    Aspettò, riprovò.
    Al terzo tentativo la porta si aprì e comparve un ragazzo con i capelli scarmigliati, del color del miele, e con una faccia da far rabbrividire i morti.
    - Chi è che scoccia all’alba? Il Maestro non riceve nessuno! – sbottò con voce rocca.
    Sophia infilò un piede oltre l’uscio prima che il tizio mezzo addormentato decidesse di chiuderla fuori ed esclamò:
    - Vengo da parte del Senatore Troche. –
    Quelle parole svegliarono leggermente il ragazzo che si decise a guardare meglio Sophia.
    Lei abbassò il cappuccio e gli rivolse un sorriso disarmante al quale il ragazzo rispose imbarazzato.
    - Ah…ehm… - iniziò.
    - Scelta lessicale interessante, ma non ho tutto il giorno e il Senatore mi ha detto di consegnare nelle mani di questo Maestro la missiva. Vista la vostra giovane età non penso possa trattarsi di voi – gli disse ironica Sophia.
    - Senta, madonna… -
    - Sophia –
    - Ecco, madonna Sophia. Il Maestro è molto impegnato e non vuole essere disturbato da nessuno - tentò di spiegarle stentatamente.
    Sophia si accomodò nella prima sedia che trovò e gli rispose:
    - Vorrà dire che aspetterò. Dovrò solo avvertire Alphonse che ci met… -
    Un gridolino deliziato la interruppe.
    Prima che avesse il tempo di dire nulla, Sophia vide il ragazzo sparire dietro una porta e riemergerne lavato, sveglio e cambiato a tempo record.
    Così vestito le ricordava qualcuno.
    Con entusiasmo il ragazzo le afferrò le mani e le chiese:
    - Avete detto Alphonse? E dov’è? –
    - Ehm, alla taverna dietro l’angolo ma non vedo che… -
    Nulla, stava già correndo via.
    La porta sbatté sollevando una nuvola di polvere e Sophia si ritrovò a osservare la direzione dove era sparito quel bizzarro tipo a bocca aperta.
    Prima che potesse muovere un passo, la porta si aprì e sbucò la testa riccioluta del ragazzo:
    - Se il Maestro ve lo chiede, non ditegli che Salaì è andato all’osteria. –
    La porta sbatté un’altra volta.
    Sophia restò imbambolata.
    Aveva sentito bene?
    Quel tipo aveva detto “Salaì”
    Oh mio Dio!





    *





    Quella stessa mattina Egidio Troche si alzò di ottimo umore.
    I suoi affari stavano sensibilmente migliorando e aveva anche trovato il modo per attirare l’attenzione di un grande artista.
    Non era affatto sicuro che la cosa potesse funzionare, ma sperava che la sua intuizione fosse giusta.
    Sorrise mentre si accomodava al tavolo della sala da pranzo e Charles, il suo maggiordomo, iniziava a servirgli la colazione.
    Aveva fatto più che bene a costringere Alphonse ad accompagnare Sophia, sarebbe stato un ottimo motivo di distrazione per quel fannullone di Gian Giacomo Caprotti.
    - La vita è meravigliosa, non è vero Charles? –
    - Se lo dite voi, Sir – gli rispose lugubre il maggiordomo.
    Il Senatore alzò gli occhi al cielo.
    Mannaggia a mia sorella che si è sposata un damerino francese e mi ha convinto a prendermi un servitore inglese!





    *






    Sophia si mosse come un automa nella stanza.
    Le sembrava di galleggiare per aria e aveva le gambe molli.
    Si sedette di nuovo sulla sedia e trasse dei lunghi sospiri per far passare l’emozione anche se l’unica cosa che riusciva a pensare era un “Non ci credo” più grande di lei.
    Si guardò intorno: la stanza era ampia, con scafali stracolmi di libri e progetti da tutte le parti, fogli e tempere sparsi un po’ ovunque.
    Le imposte delle finestre erano tirate e l’unica luce proveniva dal fuoco morente di un grande camino di fronte a lei.
    A ore due e a ore undici si trovavano due porte: la prima era quella che aveva quasi scardinato Salaì nella fretta e Sophia poté scorgere delle scale che portavano al piano superiore.
    Effettivamente sarebbe stato difficile dormire al piano terra con il casino che c’era anche se non dubitava che il ragazzo si sarebbe addormentato ovunque con la giusta dove di alcool nelle vene.
    L’altra porta era invece leggermente accostata e lasciava filtrare un lieve luce.
    Sophia la fissò per un po’ esitante, poi decise di tagliar la testa al toro.
    Si alzò e con passo veloce e silenzioso si accostò ad essa, spingendola leggermente.
    Sbirciando oltre vide un corridoio rischiarato da una luce in fondo ad esso.
    Scivolò oltre la porta chiudendola alle sue spalle.
    L’aggredì istantaneamente un fetore terribile, di carne in putrefazione e di un qualcosa che non sapeva ben definire.
    Si portò svelta un lembo del mantello al volto cercando di respirare il meno possibile.
    Che schifo!
    Sophia prese a camminare verso il chiarore tremulo che proveniva dal fondo del corridoio fino a giungere di fronte a un’altra porta, quasi del tutto aperta.
    Facendosi forza, entrò silenziosamente e si guardò intorno.
    Di fronte a sé Sophia vide un uomo con indosso una camicia logora e macchiata e delle vecchie braghe, chino su quello che aveva tutto l’aspetto – e l’odore – di un cadavere.
    Restò lì impalata a osservare uno dei più grandi uomini della storia con un misto di reverenza e curiosità.
    I capelli castani erano scompigliati e la barba aveva decisamente bisogno di una bella regolata.
    Sophia guardò interessata il grande Leonardo da Vinci afferrare un martello e un chiodo, avvicinandoli al capo del defunto.
    Okay, perché non poteva incontrarlo intento a scrivere al contrario invece che pronto a rompere un cranio con lo stesso metodo usato per le noci di cocco?
    Decise che era ora di palesare la sua presenza.
    - E’ permesso? –
    Col cavolo che lo era!
    Anche uno stupido avrebbe capito che il Maestro stava facendo qualcosa che andava contro la legge e l’etica.
    Da Vinci sobbalzò sorpreso, lasciando cadere a terra i suoi strumenti e voltandosi verso la voce.
    Gli occhi di Sophia incontrarono le iridi più chiare che avessero mai visto.
    Erano occhi di un azzurro quasi grigio, limpidi e intelligenti, decisamente sorpresi e intimoriti per l’improvvisa interruzione.
    L’uomo boccheggiò un po’ prima di esalare un debole:
    - Voi chi siete? –
    - Mi chiamo Sophia e vengo da parte del Senatore Troche – gli rispose mostrandogli il biglietto e posandolo su un piano lì vicino.
    - Ma…voi…come… ? – balbettò Leonardo allucinato.
    Ora, una persona normale sarebbe già corsa via urlando a squarciagola dopo quello spettacolo, invece quella donna si era tolta il mantello e si stava avvicinando a lui!
    Sophia effettivamente si accostò al piano di lavoro trattenendo lo schifo e la nausea.
    Aveva già visto in passato dei cadaveri, ma doveva ammettere che gli scheletri vecchi di millenni e le mummie faraoniche avevano un aspetto decisamente migliore e più interessante di quell’ammasso di membra virulente e sanguinanti steso su quel tavolo.
    - Non ha un bell’aspetto – disse con noncuranza all’uomo.
    - Madonna…perdonatemi…voi non dovreste essere qui, - esalò Leonardo – cioè Salaì… -
    Sophia gli rivolse un mezzo sorriso.
    - Salaì mi ha pregato di non dirvi che stava andando all’osteria. –
    L’espressione di Leonardo divenne sconsolata e rassegnata.
    Sophia tornò a rivolgere l’attenzione al capo del cadavere, ci pensò su e poi disse a Leonardo:
    - Se volete aprirlo, forse vi converrebbe rasarlo e togliere tutto lo strato di pelle che ricopre il cranio invece che bucarlo. –
    L’uomo la guardò sorpreso per poi concentrare l’attenzione sul cranio.
    - Effettivamente… -
    - Vi do una mano. –
    Leonardo non fece in tempo a ribattere che la ragazza aveva già attraversato la stanza per afferrare un ampio grembiule che infilò sopra le vesti dopo essersi rimboccata oltre il gomito le maniche.
    Con gesti decisi Sophia iniziò a rasare il capo dell’uomo e Leonardo ben presto si scordò di tutto tranne di ciò che stava facendo in precedenza.
    La sostituì nel lavoro e, finita l’opera di depilazione, iniziarono a lavorare di coltello, chiodo e martello fino a quando non riuscirono a scoperchiare letteralmente la parte superiore del cranio e guardare dentro.
    Leonardo ammirò quella massa grigia esaltato.
    - Meraviglioso, non trovate? –
    Improvvisamente si riscosse, capendo di aver lavorato con una donna su un cadavere e che per di più gli aveva dato dei suggerimenti validissimi.
    - Sinceramente preferisco il metodo egiziano per l’estrazione del cervello – gli rispose mentre si sfregava le mani in un catino di acqua calda che aveva appena allontanato dal fuoco del piccolo camino.
    - Lo trovo più elegante: gli imbalsamatori infilano un bel uncino lungo la narice del defunto, lo girano un po’ e il cervello viene via che è una bellezza! –
    Leonardo la guardò davvero per la prima volta.
    Come l’aveva vista sulla porta era stato preso dal panico e in seguito si era scordato tutto quando si era messa ad aiutarlo.
    Adesso invece si ritrovò a osservarne gli occhi azzurri e intelligenti, l’espressione mezza schifata e, soprattutto a soppesarne le sue parole.
    - Allora Maestro, tiriamo fuori quell’affare dal cranio o abbiamo fatto tutto questo macello per sfizio? – gli domandò ironica.
    Leonardo annuì; armeggiò attento fino a posare su un lavamano che aveva precedentemente preparato il contenuto del cranio, osservandolo soddisfatto.
    Sophia guardò l’organo schifata ma si avvicinò ugualmente.
    - Vediamo se mi ricordo, - disse tra sé catturando l’attenzione di Leonardo, - lobi frontali, temporali, parietali e occipitali. –
    Leonardo stava per chiedere spiegazioni stupito quando un forte trambusto li fece voltare verso la porta.
    - Credo che Salì sia tornato e mi sembra di riconoscere anche la voce di Alphonse – esclamò prontamente Sophia liberandosi del grembiule e afferrando il mantello.
    - Il mio lavoro per il Senatore l’ho fatto, ora siate carino e date almeno un’occhiata a quel biglietto che vi dovevo consegnare – gli disse mentre usciva di gran carriera dalla porta.
    Scema, che diavolo ti è saltato in mente? Elencargli quei nomi!, si sgridò mentalmente Sophia.
    La ragazza fece irruzione nella stanza trovandosi di fronte a una scena del tutto singolare: Alphonse che sbraitava come un matto cercando di scrollarsi di dosso un Salaì adorante.
    Quando Alphonse la vide, riuscì ad atterrare Salaì, correre verso di lei, acchiapparla per un braccio e uscire di gran carriera fuori dall’abitazione come se avesse il diavolo alle calcagna.
    Sophia rise mentre correva.
    Ecco perché Alphonse era così restio ad accompagnarmi dentro, che grand’uomo!




    *






    Leonardo da Vinci aveva lavorato fino a tarda sera, ignorando volutamente il biglietto che si trovava sul ripiano.
    Ora che aveva sistemato tutto il suo laboratorio, che aveva mangiato qualcosa e si era dato una ripulita, non aveva più scuse per ignorarlo.
    Con un sospiro ripensò alla ragazza di quella mattina: lo aveva intrigato con quei modi di fare così noncuranti, così…che diamine…così troppo avanti per quegli anni.
    Aveva dissezionato con lui un uomo!
    La sua testa stava pulsando dalla curiosità.
    Afferrò il biglietto, ruppe il sigillo di ceralacca e lesse:


    Credo che mandarvi Sophia sia un buon incentivo
    Per voi, Maestro da Vinci.
    Egidio Troche.




    Che gran bastardo.




    *






    Quando quella sera Sophia uscì dallo studio per tornare a casa, era stanchissima.
    Aveva passato la mattina a dissezionare un cadavere con Leonardo da Vinci, sopportato nel pomeriggio le lagne di Alphonse e amministrato gli affari del Senatore fino a quel momento.
    Percorrendo i corridoi rischiarati dalle candele notò delle voci alterate provenienti dallo studio personale di Egidio.
    Prima che potesse avvicinarsi le porte sbatterono e il Senatore volò fuori dalla stanza atterrando sul deretano e gemendo per il colpo.
    - E’ il nostro ultimo avvertimento, Egidio – disse una guardia sferrando un calcio al fianco di Troche.
    Sophia non gli diede il tempo di sferrare un altro colpo.
    Lo raggiunse alle spalle toccandolo lievemente per attirare la sua attenzione.
    Quello si girò sorpreso e lei gli assestò un pugno sul naso, facendolo arretrare di dolore.
    - Brutta cagna – esclamò una seconda guardia che stava uscendo dallo studio.
    - Sophia, vattene – gemette il Senatore.
    Lei lo ignorò.
    La guardia appena sopraggiunta le si avvicinò minacciosa ma non ebbe il tempo di reagire: Sophia gli sferrò una ginocchiata che lo mandò lungo disteso per terra e gli portò via la spada dal fodero, puntandogliela alla gola.
    Si rivolse alla guardia con il naso rotto:
    - Adesso tu prendi questo stronzo e te ne vai da qui senza fiatare se non vuoi che stacchi la testa sia a te che al tuo degno collega. –
    L’uomo costrinse la guardia dolorante ad alzarsi sotto lo sguardo vigile di Sophia e se ne andò con il suo carico il più velocemente possibile urlandole:
    - Te la faremo pagare. –
    Sophia li osservò lasciare la casa da una finestra.
    Mollò la spada su un mobile e si chinò ad aiutare il Senatore a tirarsi in piedi proprio mentre sopraggiungevano Chevalier e Charles.
    - Certo che se uno sta morendo in questa casa può proprio contare sui suoi abitanti – sbottò acida e adirata.
    I nuovi arrivati assunsero una faccia colpevole.
    - Non mi sono reso subito reso conto del trambusto, ero indaffarato – spiegò in imbarazzo Alphonse.
    Con la camicia di fuori e tutto scarmigliato Sophia poteva ben intuire quali affari lo avessero trattenuto.
    - I was polishing the silverware, Miss* – le disse Charles.
    Sophia gli sorrise, adorava quell’uomo che parlava la sua lingua e i suoi modi pacati.
    Le ricordavano casa.
    - Non è compito tuo occuparti di certi problemi del Senatore – disse fissando intensamente Alphonse che si stava caricando un braccio di Egidio sulla spalla.
    Chevalier ebbe la buona creanza di arrossire e tacere.
    Sophia si mise all’altro fianco del Senatore e lo aiutò ad andare fino alle sue stanze.
    Con fatica lei e Chevalier lo adagiarono in un’ampia poltrona per farlo riposare.
    - Ditemi Sophia, - boccheggiò senza fiato il Senatore, - dove avete imparato? –
    Sophia capì che si stava riferendo al teatrino di prima.
    - Diciamo che conoscevo una persona che riteneva essere molto utile sapersi difendere, soprattutto per una donna. –
    Troche annuì dolorante.
    - Uscite voi due – disse rivolto a Charles e al nipote.
    Quando la porta si richiuse il Senatore la guardò attento:
    - Ditemi Sophia, cos’altro sapete fare? –
    - Intende oltre a tenere i conti e menar le mani? – rispose a disagio.
    Il Senatore non rispose ma rimase a fissarla ostinatamente.
    Sophia si agitò a disagio.
    Questo non ci voleva.
    Egidio restò a lungo in silenzio, poi annuì tra sé:
    - Che ne dite di lavorare per me? – le chiese piano.
    - Lavoro già per voi – affermò lentamente Sophia intuendo dove Troche stava andando a parare.
    - Suvvia ragazza! Non mi riferisco all’amministrazione dei miei affari che, per’altro, continueresti a tenere, ma di occuparti di questioni più delicate – sbottò spazientito il Senatore.
    - Vorreste forse che diventassi una sorta di mercenaria? –
    - Sciocchezze! Ho in mente un qualcosa di più sottile. Trasferitevi in pianta stabile qui da me. Vi posso far passare come una lontana nipote e presentavi in società. Avete intelligenza e coraggio necessario per imbambolare e fregare quella massa di nobili corrotti – esclamò infervorato Troche.
    - E tenervi lontani i guai – aggiunse Sophia.
    Il Senatore non provò neanche a negare.
    - Lo farete? –
    - Lasciatemi un po’ di tempo per decidere. –





    *







    Due sere dopo Sophia si trovava nel retrobottega di Doriano insieme a Carlo e il suo cucciolo.
    Aveva confidato al vecchio sarto il suo dialogo con Troche e ancora ne stavano discutendo.
    - Non mi piace, davvero non mi piace – ripeté per l’ennesima volta Doriano.
    - Neanche a me. Non che non ne sia in grado ma preferirei mantenere un basso profilo – gli disse Sophia bevendo un sorso di vino.
    - Potrei sempre accettare alle mie condizioni, però – aggiunse pensierosa.
    - Sciocchezze, una donna dovrebbe stare a casa a occuparsi di marito e figli – esclamò Doriano.
    Sophia lo fulminò con lo sguardo:
    - Sarei sprecata! Forse dovrei davvero accettare. –
    Marconi incassò la testa nelle spalle e non disse più nulla.
    Dalla finestra accostata filtrarono i rintocchi della chiesa.
    - E’ tradissimo! Carlo, andiamo! Tua madre sarà per occupatissima. Carlo? –
    Sophia si mise a cercare il bambino e lo vide rannicchiato sul divano di Marconi, profondamente addormentato.
    Doriano borbottò qualcosa e se lo caricò sulle spalle.
    - Andiamo, vi accompagno a casa. –
    Percorsero silenziosamente le strade scure fino alla zona rurale in cui vivevano.
    Sophia si fermò ad ammirare un cielo stellato come non ne vedeva da tempo.
    Giunti alla salita fu colta da una strana sensazione.
    Affrettò il passo lasciandosi alle spalle Doriano, infine si mise proprio a correre verso la casa.
    Era immersa nel buio, la porta scardinata, molti oggetti lasciati a casaccio sulla soglia.
    Doriano la raggiunse ansimando e bestemmiò come un turco, svegliando Carlo.
    - Che succede? – pigolò assonnato il bambino.
    - Nulla, chiudi gli occhi e dormi. Siamo quasi a casa – gli disse piano Sophia.
    Il bambino annuì e si appoggiò di nuovo a Doriano.
    I due si guardarono.
    - Entro io - sussurrò Sophia.
    Marconi annuì con il volto duro.
    Sophia avanzò.
    La cucina era devastata, non un solo oggetto si trovava più al loro posto.
    Sophia avanzò trattenendo il fiato e chiamando piano Margherita.
    Saltò una sedia che la intralciava e sbirciò nella sua camera.
    L’imbottitura del materasso era sparsa ovunque gli abiti strappati, il baule svuotato.
    Lo guardò meglio e si rassicurò leggermente nel constatare che quell’oggetto a doppio fondo che aveva fatto costruire dal fabbro con rinforzi in ferro avesse fatto il suo lavoro.
    Tutto ciò che aveva con sé quando era arrivata era ancora integro al proprio posto.
    Si diresse in camera di Carlo e la trovò poco diversa dalla sua.
    Prese il corridoio e guardò l’ultima porta.
    Il cuore le batteva a mille.
    Improvvisamente volle solo girare i tacchi e uscire da quella casa perché sapeva già cosa avrebbe trovato oltre quella porta.
    Ciononostante si costrinse ad avanzare.
    Spinse delicatamente la porta e quella cigolò sui cardini.
    Sophia guardò dentro e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo stipite.
    Margherita era riversa a terra in un mare di sangue che ancora si allargava sotto di lei, gli occhi vitrei puntati al soffitto e le vesti tutte in disordine.
    Sophia non si avvicinò nemmeno.
    Scivolò a terra e scoppiò in lacrime.
    La tensione degli ultimi mesi passati tra l’Abstergo e il XVI secolo, la morte del padre e ora lo scempio che aveva di fronte fecero crollare tutte le sue barriere e pianse fino a non avere più fiato.
    Quando rialzò la testa, tempo dopo, non aveva più lacrime neanche per sé stessa.
    Si tirò in piedi a fatica e si diresse a passo di carica nella sua stanza.
    Chiuse con un colpo il coperchio del baule vuoto e se lo trascinò dietro per un manico.
    Quando Marconi la vide uscire non ebbe bisogno di chiedere nulla.
    - Andiamo – gli disse Sophia con voce roca.





    *







    Il Senatore fu svegliato da un trambusto allucinante che lo fece schizzare fuori dal letto con la spada in mano.
    Si diresse di gran carriera fino a irrompere nel salotto da cui filtrava la luce.
    La scena che gli si parò d’avanti aveva un che di surreale: Alphonse stava inginocchiato ai piedi di Sophia, seduta in poltrona, e le porgeva un bicchiere con un forte liquore dentro; un ragazzino che non aveva mai visto dormiva pacificamente sul divano mentre un cucciolo si molosso stava comodamente abbarbicato sul coperchio di un baule che aveva visto giorni migliori; il suo maggiordomo stava versando del The in delle porcellane finissime e, per concludere il quadro, il suo nuovo sarto masticava insulti che non aveva mai sentito camminando dalla poltrona di Sophia alla finestra e viceversa.
    Quando entrò tutti i volti si concentrarono su di lui ma Egidio fu catturato dagli occhi di Sophia. Erano piatti e freddi come non ne vedeva da tempo.
    Il loro azzurro era così scuro da sembrare violaceo ed erano palesemente arrossati.
    Lei si schiarì la voce.
    - Accetto il lavoro Senatore, - gli disse chiara – ma alle mie condizioni. –




    * Stavo lucidando le porcellane.



    Note dell'Autrice
    Buonasera! Tra i tanti, questo è uno dei capitoli a cui sono più affezzionata dato che entra in scena Leonardo in modo del tutto particolare e perchè anche per Sophia si profilano all'orizzonte cambiamenti importanti.
    Gli eventi a fine capitolo ne sono una prova.
    Grazie a chi legge e commenta :)




     
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    Buon pomeriggio a tutte/i!
    Ne approfitto per aggiornare la storia.
    Dato che il sito sta crescendo e, su una popolazione di sole donne sta spuntando anche qualche maschietto, vorrei anche un loro parere.
    Read and Enjoy :)


    Capitolo 9 – Masquerade –


    La danza è un'espressione verticale di un desiderio orizzontale
    Robert Lee Frost





    Roma, 1500 – Due giorni dopo – Villa del Senatore


    Quel venerdì mattina, nel cupo albore di Febbraio, Margherita dei Campi fu seppellita nella piccola cappella della Villa su insistenza del Senatore.
    Pioveva.
    Grosse gocce tempestavano il terreno e un gelido vento si abbatteva contro lo sparuto gruppo di persone che assisteva alla breve funzione del prete.
    Doriano teneva le mani sulle spalle di Carlo che si era chiuso in un mutismo imperituro da quando gli avevano detto cosa era accaduto.
    Il Senatore e Alphonse tenevano stoicamente la schiena ritta benché fossero inzuppati fino all’osso e la servitù, poco lontano, assisteva in silenziosa partecipazione.
    Sophia fissava il vuoto.
    Non prestava attenzione al vuoto salmodiare in latino del prete, lasciando scorrere via le sue vane parole.
    Lei non desiderava conforto, ma giustizia.
    Ancor meglio, vendetta.
    Sapeva chi era stato e, uscendo da quella casa, aveva giurato sul sangue di Margherita che i suoi assassini non sarebbero rimasti impuniti.
    Il prete concluse il suo sermone e la donna fu seppellita.
    Amen, pensò cinicamente Sophia mentre seguiva il gruppo dentro casa.
    Nell’immensa sala d’ingresso era stato accesso il fuoco che scoppiettava allegro nel camino.
    Sophia vide Charles portare via Carlo insieme a Doriano, probabilmente per infilarlo in una tinozza d’acqua bollente prima che si ammalasse; Chevalier e suo zio si stavano scrollando di dosso i mantelli zuppi d’acqua lasciandoli a una delle serve.
    Sophia si avvicinò loro e accostò le mani verso il calore del camino.
    - Dovreste andare a cambiarvi Sophia, o vi ammalerete – le disse Alphonse leggermente preoccupato.
    - Brutta storia questa! – borbottò il Senatore accettando un bicchiere fumante di vino.
    - Pensate siano stati loro? – chiese a Sophia.
    - Non vedo chi altro avrebbe avuto interesse nel farlo – gli rispose.
    Troche sospirò pesantemente.
    Sophia posò il mantello zuppo su una sedia lì vicino e si diresse verso l’ala sinistra della Villa, iniziando a salire le scale per andare nella sua stanza a sistemarsi.
    La voce del Senatore la bloccò a metà scalinata:
    - Datemi tutta la colpa, Sophia. Se non avessi tutti quei problemi con i Borgia voi non avreste dovuto difendermi e quella donna sarebbe viva. –
    Sophia si voltò a guardalo e disse:
    - Non angustiatevi, Egidio. E’ mia la colpa. –
    Il Senatore fece per protestare ma Sophia lo anticipò:
    - Avrei dovuto ucciderli quella stessa notte – disse gelida.
    Egidio abbassò lo sguardo e si congedò con un gesto irritato; Alphonse si stampò in faccia un pallido ghignò e levò il bicchiere che aveva in mano verso di lei.
    Sophia, semplicemente, lo ignorò.


    *




    A metà mattina, dopo essere stata ammollo nell’acqua calda ed essersi cambiata, Sophia e Doriano sistemarono le poche cose che avevano recuperato dalla casa di Margherita nella nuova stanza di Carlo, a tre porte di distanza dalla camera di Sophia.
    - Non che ci sia molto da fare con questa roba – sbottò il sarto – questi vestiti erano le uniche cose integre rimaste. –
    - Sistemale comunque lì – gli disse Sophia guardandosi intorno.
    La stanza era probabilmente grande più di tutta la casa in cui avevano abitato fino a due sere fa, luminosa, arieggiata e con una vista sui giardini interni della Villa.
    Le finestre, sul lato destro, erano incorniciate da pesanti tendaggi di un caldo color ocra con ricami cobalto; di fronte a sé poteva vedere l’enorme baldacchino su cui Carlo e Cesare stavano abbarbicati, il primo intento a sfogliare il libro di favole che Doriano aveva recuperato da sotto un mobile, malconcio ma integro; di fronte alla finestra più vicina al letto si trovava un delicato scrittoio con carta e calamaio al loro posto; quasi tutta la parete sinistra era ricoperta da un imponente armadio, fatta eccezione per le doppie porte che conducevano a una stanza più piccola, munita di quella che Sophia avrebbe definito una moderna vasca da bagno del 1500 e tutto il necessario per una toilette completa, vaso da notte compreso.
    La restante parte sinistra della stanza era occupata da un camino di marmo con affianco la riserva di legno da bruciare.
    - Il Senatore non bada a spese, eh? – esclamò Doriano poggiando i piedi nei tappeti che ricoprivano tutta la stanza.
    - Non ricordarmelo, scialacqua i soldi come niente – gli rispose Sophia.
    Marconi annuì.
    - Carlo mi sembra sistemato bene, che dice il Senatore del bambino? –
    Sophia osservò Carlo e con Doriano lasciò la stanza verso quello che ormai poteva definire il suo studio.
    - Ne abbiamo discusso e ha deciso di tenerlo con sé e dargli un’educazione degna dei Troche – iniziò Sophia.
    - Ma davvero, - esclamò ironicamente Doriano – da dove viene tutto questo buonismo? –
    Sophia gli scoccò un’occhiataccia e Marconi alzò le mani in aria in segno di resa.
    - Penso che la decisione sia dettata dal fatto che si senta in colpa e che non ha figli – rispose Sophia.
    - Non che lui sappia – esclamò sagace Doriano.
    - Il Senatore è un pessimo uomo d’affari e si fa abbindolare da due belle gambe, ma non è stupido. Credo che in questo sia sempre stato molto attento. –
    I due varcarono le porte dello studio e Marconi notò qualche piccolo cambiamento dall’ultima volta che vi era stato.
    - Ti sei sistemata bene! –
    L’ambiente era meno impersonale: sui tavolini i vasi di camelie, varietà longeva e che fioriva anche d’inverno, coloravano l’austero ambiente; dei libri erano posati sul basso tavolo da the, lasciati aperti come se il loro lettore fosse uscito di fretta per sbrigare alcune faccende; la scrivania, poi, era ricolma di fogli, documenti e annotazioni disposti in ordine.
    - Si fa quel che si può – gli rispose Sophia.
    Lei e Doriano rimasero a chiacchierare accordandosi sulle stoffe da portare alla Villa per la festa in maschera del Senatore e litigando sul possibile prezzo di tre costumi.
    Quando Doriano si congedò per tornare alla sua bottega Sophia lo trattenne per un braccio e gli disse con occhi seri:
    - Stai attento, se hanno saputo di Margherita non possono ignorare che ho lavorato per te. –
    - Tranquilla, ho qualche precauzione anch’io. –



    *





    Nel primo pomeriggio, Egidio si era recato nello studio di Sophia al primo piano e aveva passato gli ultimi dieci minuti a farsi sgridare come un ragazzino.
    Insomma, lui aveva solo investito i suoi soldi in un affare che sembrava promettente, non era colpa sua se era stato gabbato da quella bella ragazza.
    - E io che mi chiedevo a chi accidenti assomigliasse quel cascamorto di vostro nipote, ma vedo bene che è un tratto di famiglia perdere la testa per due moine! –
    Il Senatore cercò di blandirla gesticolando:
    - Suvvia, suvvia Sophia, è stato solo un piccolo investimento andato male. –
    Gli occhi azzurri della ragazza parvero prendere fuoco e la sua voce si alzò di un’ottava.
    - Piccolo? Piccolo! Avete impegnato più denaro di quanto potevate permettervi in un investimento inesistente! –
    - Ma…magari con qualche accorgimento… - tentò il Senatore.
    Sophia si alzò in piedi di scatto, spaventando il Senatore e rovesciando alcuni fogli.
    - Accorgimento un corno! Faccia conto di aver investito i suoi soldi in Atlantide! –
    Un intenso fracasso proveniente dal piano di sotto distolse la loro attenzione dagli affari; si alzarono sorpresi e si avviarono fuori dalla stanza, giù lungo le scale, verso l’ingresso.
    Nell’atrio erano sparse casse di legno contenenti strumenti e attrezzi di tutti i tipi e, lungo disteso per terra, con pergamene e progetti tutt’intorno, stava Salaì.
    - Ah, bene – commentò Egidio.
    Sophia si voltò stupita a guardarlo, in attesa di spiegazioni.
    - Mandarvi là ha avuto i suoi frutti – le disse il Senatore girando i tacchi e lasciandola sulle scale.
    Sophia si concentrò sulla figura di Salaì che si agitava cercando di alzarsi in mezzo a tutta la roba che aveva lasciato cadere.
    Ad osservare il bizzarro spettacolo non c’era solo lei: Charles ostentava una faccia schifata senza eguali, alcune cameriere ridacchiavano mentre si affrettavano a tornare alle loro faccende e il trambusto aveva attirato anche Carlo e Cesare fuori dalla loro stanza.
    Il bambino la raggiunse e si aggrappò alla lunga gonna con gli pacchi ai lati, nascondendosi dietro di lei e lasciando spuntare solo la testa per curiosare; Cesare, invece, si avvicinò a Salaì e, dopo un’attenta annusata, prese a leccargli il volto scodinzolando.
    - Ah! Aiuto, una feroce belva mi attacca! –
    Sophia scoppiò a ridere senza ritegno ma richiamò comunque il cucciolo:
    - Qui, Cesare, vieni qui! –
    Il molosso la raggiunse felice e lei gli grattò la testa.
    - Avete chiamato il vostro cane Cesare? – esclamò una voce che fece sobbalzare sia Carlo che Sophia.
    Il maggiordomo si affrettò all’ingresso con aria ossequiosa.
    - Maestro, che grande onore avervi qui. Il Senatore ne è così compiaciuto! Come posso servirla? –
    Leonardo da Vinci sorrise imbarazzato a Charles garantendogli che non aveva bisogno di nulla e pregandolo di accompagnare il suo assistente nel salone in cui avrebbero lavorato.
    Leonardo osservò tutto il materiale che Salaì aveva sparpagliato inciampando con aria rassegnata per poi concentrarsi sul motivo che l’aveva spinto a cedere alle lusinghe del Senatore.
    Avvicinandosi alla ragazza, il cui ricordo lo aveva tormentato per giorni, notò una testolina di capelli biondi con due occhi grandi e curiosi osservarlo.
    - Salve – gli disse dolcemente.
    Sophia sentì Carlo ritrarsi così lo spinse avanti a lei e gli disse:
    - Carlo, saluta il Maestro da Vinci. –
    Il bambino sgranò gli occhi stupito e boccheggiò incerto, osservando Leonardo come se fosse una rara specie sconosciuta al genere umano.
    - Ciao – pigolò con vocina sottile arrossendo e abbassando gli occhi imbarazzato.
    Leonardo sorrise indulgente e tornò a osservare Sophia.
    - Madonna Sophia, – la salutò sfiorandole galantemente il dorso della mano con le labbra – temo che le mie buone maniere siano un po’ arrugginite. –
    - Non preoccupatevi Maestro, - gli rispose guardinga ma garbata, non avendo ancora dimenticato la gaffe che aveva fatto con lui qualche giorno prima, - così il biglietto che vi ho consegnato serviva a richiedere i vostri servizi. –
    Non era una domanda e Leonardo non rispose neanche.
    L’imbarazzante silenzio che era calato tra loro fu spezzato dall’arrivo di Alphonse, vestito solo di pantaloni, stivali e una candida camicia dalle maniche larghe con i polsini stretti e arricciati secondo la moda del tempo.
    Le donne gli cascavano ai piedi come pere mature.
    - Maestro da Vinci, mio zio vi aspetta nello studio – gli disse garbatamente stringendogli con calore la mano.
    Leonardo annuì e si avviò verso lo studio del Senatore scortato da Charles.
    Alphonse lo osservò mentre si avviava per po’ tornare a rivolgere l’attenzione a Carlo e Sophia:
    - Dovresti andare anche tu Sophia, penso che lavorerete per un breve periodo assieme – le disse.
    Sophia inarcò il sopraciglio ma annuì, lasciando Carlo alle cure di Alphonse con mille raccomandazioni velate di minaccia.
    - Tranquilla, mon amour, ha smesso di piovere e ho tutta l’intenzione di prendere una boccata d’aria insegnando a questo scricciolo a cavalcare – le disse con sguardo magnetico.
    Sophia sbuffò e, allontanandosi, gli diede un leggero colpetto anche se divertita dai modi libertini e sfacciati del francese.
    Raggiunse lo studio del Senatore e bussò, entrando senza aspettare la risposta.
    Leonardo ed Egidio stavano parlottando seduti uno di fronte all’altro ma tacquero appena lei entrò.
    - Sophia, avete già conosciuto il Maestro, non è vero? Venite, venite! Dobbiamo discutere dei progetti per il ballo in maschera – esclamò soddisfatto Egidio.
    Sophia guardò interrogativa Leonardo che la fissava ed esclamò:
    - Anche voi incastrato in questo progetto, Maestro! Credevo che il Senatore volesse usufruire della vostra conoscenza in modo più fruttuoso. –
    Leonardo si alzò e con un inchinò la invitò ad accomodarsi nella sedia vicino a lui.
    - Voi mi lusingate madonna, ma la festa è solo una piccola parte del lavoro che dovrò fare. Il Senatore mi aveva già pagato per un lavoro che non ho mai attuato per…ehm…impegni improrogabili – le spiegò garbatamente Leonardo.
    Sophia guardò sospettosa il Senatore e questi si affrettò a placarla:
    - Vi assicuro che è tutto in ordine! Troverete ogni ricevuta e accordo in uno dei cassetti della scrivania. Il Maestro da Vinci è molto scrupoloso. –
    - Almeno uno – frecciò Sophia.
    Troche si strinse nelle spalle e aggiunse:
    - Il Maestro ristrutturerà quasi tutta la casa, si sta già occupando dei progetti – spiegò tronfio e soddisfatto il Senatore.
    - Buttate giù la casa in modo tale che i vostri strozzini non vi trovino? – sbottò ironicamente Sophia.
    - Non sarebbe una cattiva idea, ragazza – rispose a tono il Senatore – e ora fuori tutti e due. Ho da fare. –
    Leonardo aveva ascoltato interessato e divertito la loro conversazione ma si riscosse vedendo Sophia che usciva in fretta dallo studio del Senatore Troche.
    Le arrancò dietro chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
    La ragazza si fermò per aspettarlo e Leonardo si affrettò a raggiungerla, camminandole affianco.
    Dopo pochi minuti di silenzio l’artista disse:
    - Ho saputo ciò che è successo a quella donna e che era vostra amica, le mie condoglianze. –
    Sophia lo guardò stupita, ma addolcendo la voce lo ringraziò.
    Leonardo annuì e insieme percorsero in silenzio il corridoio fino allo studio di Sophia; entrando all’interno non poté non pensare che il classico tocco femminile era un qualcosa che si avvertiva a pelle in quella stanza.
    Sophia l’invitò a sedersi e gli chiese se gradiva qualcosa da bere; Leonardo rifiutò e stette ad osservarla versarsi un calice di vino rosso.
    Sophia sorseggiò il liquido bordeaux con calma, prendendo tempo prima di dover affrontare Leonardo.
    Non aveva scordato l’errore commesso alla sua bottega né che si era comportata in modo eccentrico aiutandolo.
    E il Maestro era tutto fuorché uno stupido.
    Mannaggia che casino, pensò Sophia.
    Con calma si sedette sulla sua poltrona preferita, di fronte a quella in cui si era accomodato Leonardo, e gli disse:
    - Così sapete ciò che è accaduto e che vivevo con Margherita. Come lo avete scoperto? –
    - Scherzate madonna? –
    Sophia inarcò il sopraciglio; Leonardo sospirò mettendosi più comodo sulla poltrona e iniziò:
    - Tutta Roma parla di voi… -
    - Ma non mi dite – ironizzò.
    - … e quasi tutti sanno della misteriosa nobildonna che viveva in una casa del Distretto Rurale e in seguito a casa del Senatore Troche – continuò Leonardo imperterrito ignorando il commento della ragazza.
    Sophia fece una smorfia:
    - Nobildonna, addirittura! La gente ha una gran fantasia – minimizzò divertita.
    - Eppure, - disse con calma Leonardo, - mi chiedo quanta fantasia abbia davvero. –
    Sophia lo guardò dritta negli occhi, capendo subito a cosa si riferisse.
    - Chiedetemelo, Leonardo! –
    Il Maestro si agitò sul posto, in difficoltà per la domanda diretta; si alzò in piedi, camminando soprapensiero per tutta la stanza, osservano mobili e suppellettili, riflettendo su quale delle mille domande che aveva esporre per prima.
    Ad un tratto, si fermò risoluto voltandosi verso di lei e disse:
    - Perché non mi avete denunciato? –
    Sophia lo guardò sbalordita ma si riprese in fretta dalla sorpresa esclamando:
    - Tra tutte le domande che mi avreste potuto fare, questa era quella che meno mi aspettavo. –
    L’attenzione di Leonardo era totalmente convogliata su di lei; l’osservava bramoso di sapere cosa celasse, attento ai più piccoli mutamenti del suo volto, affascinato, anche, dai tratti regolari del suo profilo.
    - Dovete ammettere, madonna, che è una domanda pertinente. Immaginate: una persona qualunque entra nel mio laboratorio, mi trova chinato su un cadavere palesemente sventrato e cosa fa? Scappa urlando ai quattro venti e denunciandomi alla prima guardia incontrata. Voi invece, - disse rivolgendole uno svolazzante cenno della mano, - non solo non scappate, come avrebbe fatto una persona normale, ma mi aiutate ad aprire una testa. –
    Il Maestro prese fiato guardando insistentemente la ragazza.
    Sophia distolse lo sguardo dalle chiare e indagatrici iridi dell’artista e bevve un generoso sorso di vino; si alzò anch’essa in piedi e prese a camminare avanti e indietro per la stanza, fermandosi ad aggiustare qualche statuina del Senatore.
    - E’ possibile che la mia reazione non sia stata proprio ortodossa – disse infine.
    - Per nulla, madonna, a essere sinceri. –
    Sophia gli rivolse un debole sorriso di circostanza.
    - Sapete, quando sono entrata in quella stanza, sapevo già che eravate voi. –
    Leonardo la guardò confuso.
    - Madonna? –
    Sophia scostò le pesanti tende dello studio per osservare il tramonto vermiglio che si stagliava all’orizzonte.
    - Quando Salaì ha detto il suo nome, l’ho subito collegato al vostro e, quando sono giunta in quella stanza, sapevo già che avrei trovato voi, solo avrei preferito cogliervi intento a dipingere o a fare calcoli su qualche vecchia pergamena piuttosto che dedito all’anatomia. –
    Leonardo da Vinci era sempre più confuso e non gli capitava da lungo tempo.
    Sophia si rese conto di non aver soddisfatto la curiosità dell’artista ma di averla ancor più sollecitata.
    Non sapeva spiegare a Leonardo il perché non se ne fosse semplicemente andata via; non lo sapeva bene neppure lei.
    Era abituata ad avere a che fare con polverosi scheletri e mummie antiche, e la morte di per sé non le causava particolari problemi, ma non aveva mai accarezzato l’idea di un’autopsia in compagnia del grande da Vinci.
    Tuttavia era rimasta, perché la situazione in sé era bizzarra, perché era curiosa come non mai di vedere un genio all’opera, perché le mancava il suo ambiente culturale e l’amore per il sapere di quell’uomo era per lei un palliativo alla sua situazione.
    Ma ora non poteva dire a Leonardo la verità.
    - Maestro, - disse dopo un attimo di riflessione, - ha importanza conoscere un qualcosa che non ha sortito alcun effetto sulla vostra vita o sulla mia? Nessuno sa cosa è successo e io non andrò a sbandierarlo ai quattro venti. Che ne dice di accantonare quell’episodio e di concentrarci sul lavoro che dobbiamo fare? –
    Sophia aveva glissato e ne era consapevole.
    Ma, in certi casi, la miglior difesa è appunto la difesa.
    Gli aveva porto una mano, però.
    Leonardo capì immediatamente che lei non gli avrebbe detto più di quanto non avesse già fatto e che avrebbe avuto più possibilità di studiare quella donna, che tanto lo affascinava, restandovi a diretto contatto.
    E che sia dannato se non ci riesco.




    *






    Nelle settimane che seguirono, Leonardo ebbe modo di stare in costante contatto con Sophia che, come ben presto scoprì, tiranneggiava sulla casa e sui suoi abitanti fin da quando il Senatore l’aveva assunta.
    L’unico che non veniva colpito da una valanga di ironia e cinismo, aveva notato Leonardo, era il piccolo Carlo che passava il suo tempo dividendosi tra l’istitutore che il Senatore gli aveva trovato, dopo che Sophia l’aveva trovato di suo gusto, Alphonse con il suo ostinarsi a insegnare al ragazzino ad andare a cavallo e brandire armi e Sophia.
    Per lui erano state settimane insolite; aveva lavorato con la giovane a stretto contatto, chini su liste e programmi per il carnevale del Senatore nonché sui progetti di ristrutturazione della casa, e aveva avuto modo di scoprire in Sophia un’intelligenza arguta e brillante, un’ironia pungente e, se l’intuito non lo ingannava, una nota amara e malinconica che caratterizzava tutto il suo essere.
    Ma ciò che aveva maggiormente colpito Leonardo e, doveva ammetterlo, deliziato era stata la possibilità di parlare con lei di argomenti svariati, di studi che lui aveva accarezzato e che si era trovato a discutere con viva passione, impressionato e compiaciuto nel sentire pareri così accurati e idee così innovative.
    Era conquistato, lo sapeva, ma non riusciva a scacciare dalla mente l’idea che ogni parola detta fosse accuratamente misurata, ogni proposta fatta epurata della sua vera qualità, come l’oro migliore lasciato al suo stato grezzo.
    Eppure, si era scoperto a svegliarsi con il solo desiderio di raggiungere la Villa del Senatore per litigare su un muro disegnato in una posizione che non piaceva a Sophia per poter incominciare a spaziare di architettura e evoluzione edile.
    Quella mattina, a tre giorni dal ballo in maschera, Leonardo e Sophia si trovavano nell’ampia e sfarzosa sala da ballo del Senatore, illuminata per tutta la parete sinistra da ampie portafinestre che conducevano nel giardino.
    Lui e Sophia stavano riguardando gli ultimi preparativi per un piccolo spettacolo pirotecnico tanto desiderato dal Senatore.
    - In tutta sincerità, - sbottò Sophia mentre spediva due domestiche a sistemare le candele su tutti i lampadari - continuo a pensare che sia una pessima idea. –
    Leonardo le sorrise incoraggiante.
    - Madonna, un uomo nella posizione del Senatore deve mantenere i contatti con quante più personalità possibili. –
    Sophia fece un geto seccato con la mano e ribatté:
    - Capisco il “teniamoci stretti gli amici e ancor più i nemici”, ma da qui a invitarli a casa il passo è lungo! –
    - Che intendete? –
    - Che giusto stamane l’esimio Senatore mi ha annunciato che avremo i famigerati Borgia come piatto forte della serata. –
    Leonardo lasciò perdere quello che stava facendo e si voltò a guardarla:
    - Scherzate! –
    - Vi sembro una che abbia voglia di scherzare su queste cose? Il fratello di Egidio è a diretto contato con il Papa e il tanto decantato Cesare ha saputo da lui di questa festa. Si è autoinvitato con il cugino. –
    - Oh, mio Dio - esalò Leonardo.
    - Lasciate stare Dio e vediamo di trovarci un aiuto più concreto – lo rimbeccò Sophia.
    Leonardo la guardò stupito e le domandò:
    - Voi non…credete? –
    Sophia lo guardò per un po’ appoggiandosi di schiena a un tavolo che doveva essere spostato.
    - Le guerre più feroci sono state mosse in nome di un Dio che non le ha chieste. –
    - Questo non risponde alla mia domanda. –
    - Ah, Maestro. Ci stiamo avventurando in un territorio troppo minato perché si possa esaurire in pochi minuti di conversazione – gli rispose sagace.
    Leonardo chinò la testa in segno di assenso ma la sollevò, ricordandosi di averla vista combattere contro Chevalier qualche giorno addietro.
    - Madonna, ecco… -
    Leonardo fu interrotto da Sophia.
    - Maestro, sono due settimane che lavoriamo assieme. Che ne dice di accantonare questo “madonna” che mi fa sentire vecchia e darci del tu? –
    Da Vinci rimase un attimo stupito della richiesta, insolita per quei tempi, tanto più se proveniva da una giovane donna, ma, ricordandosi delle settimane passata in sua compagnia, si diede dello stupido per essere rimasto sorpreso.
    - Io…sì, mi piacerebbe…Sophia – le sorrise incerto.
    - Magnifico, Leonardo! Dai tu un’ultima occhiata in giardino, okay? –
    Leonardo non ebbe neanche il tempo di rispondere che Sophia aveva già guadagnato l’uscita.
    Il Maestro fissò perplesso la porta; mentre lavorava si rese conto di una cosa.
    Che cosa vuol dire “okay”?




    *






    Roma, 1500 – Notte della Festa, camera di Sophia


    La stanza illuminata dalle molte candele conferiva una gradevole luce soffusa che si rifletteva sul grande secchio a tre ante spalancato in mezzo alla stanza; la cameriera che Egidio le aveva mandato per aiutarla non faceva che emettere gridolini e sospiri ammirati alla vista dell’abito che Doriano le aveva confezionato, non senza qualche lamentela.
    Per il suo vestito si era data al disegno e aveva costretto il vecchio sarto a cucire il modello che gli aveva presentato.
    Lei stessa non poteva negare che fosse un qualcosa di eccessivamente avanti con i tempi, ma aveva pensato che in una festa di Carnevale poteva anche dare nell’occhio senza eccessive ripercussioni.
    Sophia fece mezzo giro su se stessa, rimirando il risultato del lavoro di Marconi: indossava un corpetto elaborato, con la scollatura a V che le lasciava scoperto il collo e nascondeva quanto bastava il seno procace, messo in risalto dal leggero bordo di pizzo nero che percorreva tutto il corpetto dagli intarsi neri e rossi; una vaporosa gonna di tulle e seta dall’intenso rosso carminio scendeva fino a terra, nascondendo le delicate scarpette nere con un leggero tacco; i capelli scuri erano stati parzialmente raccolti sulla nuca in un’elaborata acconciatura, che le lasciava scoperto il viso, e i boccoli liberi le cadevano morbidi e ondulati lungo la schiena.
    Sophia aprì un portagioie che le aveva regalato Egidio per blandirla e scelse i magnifici gioielli che le aveva lasciato per l‘occasione.
    Dal principio Sophia si era adirata da matti perché il Senatore era praticamente in bancarotta, tuttavia il suo ego femminile ne era rimasto piacevolmente compiaciuto; inoltre Troche le aveva assicurato che quei gioielli erano appartenuti alla sua defunta madre e che il maggiordomo li aveva riesumati dalla stanza della padrona chiusa da decenni.
    - In fondo, - le aveva detto il Senatore, - perché lasciarli languire in un forziere quando possono essere indossati da una bella donna? –
    Sophia gli aveva risposto, ironica, di essere molto stupita che non li avesse venduti, persi al gioco o regalati a un’amante compiacente.
    Il Senatore si era offeso e non le aveva rivolto la parola per due giorni.
    Indossò una vistosa collana di oro giallo e rubini con abbinati degli orecchini pendenti; preferì lasciare completamente libere le braccia, risaltando così la carnagione chiara ma indossò un delicato anello della stessa linea dei gioielli che aveva addosso.
    - State benissimo signorina – le disse sognante la servetta.
    - Ti ringrazio. –
    Il leggero bussare alla porta la distolse dallo specchio.
    - Avanti – disse.
    Sulla soglia si stagliò la figura del Senatore, tutto agghindato in un vistoso abito verde sgargiante con intarsi dorati.
    In mano teneva una maschera che avrebbe indossato nella Sala; dietro di lui avanzava Charles con un bauletto in mano.
    Egidio l’osservò con gli occhi fuori dalle orbite e le fauci spalancate dalla meraviglia.
    - Allora sotto quelle vesti che portate giornalmente si nascondeva una bellezza; non che non avessi notato che eravate una bella donna, sia chiaro, ma così… -esalò Troche ammirato.
    - Toglietevi dalla faccia quell’espressione concupiscente e vedete di spostare lo sguardo un po’ più in alto Senatore, non vorrete andare a sbattere da qualche parte? – lo rimbeccò Sophia divertita.
    - Povero me! I vostri modi non cambiano mai! – sospirò drammatico il Senatore.
    Osservandola meglio, Egidio disse:
    - Certo che però quell’abito… -
    - Non ditelo a me! – intervene in quel momento Marconi entrando nella stanza.
    - Nessuna moda del tempo, nessun modello conosciuto. Ha voluto che seguissi quello stupido disegno! – continuò imperterrito.
    - Zietto, hai fatto un ottimo lavoro. Il costume è perfetto e durante una festa in maschera nessuno lo troverà eccessivamente strano, al massimo eccentrico – lo blandì Sophia versandogli un bicchiere di vino e porgendoglielo.
    - Che sia perfetto non ho dubbi ma… -
    Doriano fu interrotto da Charles che si era schiarito la voce attirando l’attenzione di tutti.
    - Ah, sì – esclamò Egidio – posalo su quel tavolino Charles. –
    Poi, rivolgendosi a Sophia le disse:
    - Con gli omaggi del Maestro da Vinci. –
    Sophia si diresse verso la custodia di legno e l’aprì, scoprendo adagiati sul fondo di velluto un magnifico ventaglio di seta nera tempestata di rubini e una maschera d’oro con un rubino sporgente e piume rosse sulla fronte.
    - Oh, – disse Sophia senza fiato, - non ho parole. –
    - Era ora!– esclamò il Senatore.
    - E prima che diciate qualcosa, il Maestro da Vinci voleva farvi un piccolo dono per questa sera così gli ho offerto il materiale con alcuni gioielli e pietre della mia povera madre. Lui ne ha fatto un uso magnifico fondendo l’oro e utilizzando i rubini su quel ventaglio. –
    Sophia dovette ammetterlo, era leggermente commossa.
    - Grazie Egidio – gli disse baciandolo delicatamente sullo zigomo.
    Il Senatore borbottò in difficoltà e uscì di gran carriera dalla stanza dicendole che gli ospiti erano tutti arrivati e che mancava solo lei; Marconi e il maggiordomo lo seguirono.
    Dopo che ebbe congedato la domestica Sophia si tinse le labbra di rosso con una mistura di cui non voleva conoscere l’origine e tonò a rimirare gli oggetti nella scatola; solo allora notò un foglietto che le era sfuggito.
    Aprendolo, scorse la calligrafia ordinata e svolazzante di Leonardo:



    Spero che questo piccolo pensiero sia di vostro gradimento.
    Vi ho vista combattere con Alphonse e ho pensato di rivestire di una sottile lamina tagliente
    Tutto il bordo del ventaglio, per ogni evenienza.
    L.



    Sophia sorrise e indossò la maschera che le scopriva solo la parte inferiore del viso, prese con sé il ventaglio e attorcigliò intorno alle braccia un ampio foulard nero con cui avrebbe potuto coprirsi le spalle se fosse uscita in giardino.
    Con decisione aprì la porta e lasciò la camera.



    *





    La Sala era un tripudio di luci e musica, una girandola di colori festanti e chiassosi.
    Gli illustri invitati sfoggiavano costumi magnifici, maschere straordinarie e inquietanti; in ogni dove risuonavano le risate chiassose dei convitati e le loro voci.
    Cesare Borgia si trovava in mezzo a tutto quel marasma, ad ascoltare i suoi alleati e a ricordare ai suoi nemici, e debitori, la sua influenza.
    Suo cugino Juan si stava divertendo poco lontano con qualche gentil donna incontrata durante i balli.
    Lui , invece, preferiva aggirarsi tra i convitati e tenersi nell’ombra.
    - Non sembrate apprezzare questo genere di intrattenimenti, Capitano – gli disse una voce lì vicino.
    Cesare Borgia si voltò attento, incontrando il volto del Cardinale della Rovere.
    - Non credevo che uno strenuo difensore della virtù papale quale voi siete si sarebbe presentato a una simile festa – gli disse Cesare.
    - Mio giovane Capitano, non posso non prendere atto di ciò che accade a Roma così come non posso ignorare lo stato in cui versa la nostra bella penisola: dissoluzione, corruzione, omicidio, tradimento. –
    Cesare Borgia levò il calice di vino che aveva in mano verso Giuliano della Rovere:
    - Nessuno di voi conosce meglio l’arte del tradimento, Eminenza, o avete scordato quella piccola facezia che vi ha portato a condurre un esercito francese a Roma? –
    Il Cardinale della Rovere rise divertito e rispose:
    - In cuor mio, Capitano Borgia, non ho mai incontrato un giovane più sagace e intelligente di voi. Non mi meraviglio che dopo la vostra impresa a Forlì vi faranno gonfaloniere papale a marzo. Siete tornato giusto in tempo per godervi il Carnevale l’ultimo giorno di questo mese. Tuttavia il mio disprezzo per la vostra famiglia non è un mistero, né le mie intenzioni. -
    Borgia annuì guardando la folla danzante:
    - Per quanto voi purifichiate Roma dai vostri presunti nemici, rimarrà sempre qualcuno che sfuggirà al vostro giogo e che voi non riuscirete a scovare – gli disse Borgia.
    Il Cardinale della Rovere lo osservò di sottecchi:
    - Parlate per metafore, mio giovane Capitano, o vi state riferendo all’interessante parentesi di Monteriggioni? Ho saputo che vostro cugino vi ha ampiamente finanziato. Un vero peccato che l’adorata cugina di vostra sorella, Caterina Sforza*, che così galantemente avete condotto a Roma, non sia più vostra ospite. –
    Borgia avvampò per l’ira e lo sdegno, ma riuscì a controllarsi.
    Il Cardinale della Rovere dovette notarlo perché sorrise ironico e, chinandosi verso l’orecchio di Cesare, gli disse:
    - Fareste meglio a frenare il nostro audace Cardinale, prima che dia troppo spettacolo. –
    La testa di Cesare scattò come una molla verso il centro della sala dove suo cugino Juan, evidentemente già alticcio, cominciava a dar troppo spettacolo.
    Con passo veloce si fece largo a spintoni per la folla, raggiungendo il cugino più grande e strattonandolo per un braccio.
    - Juan, tu…-
    Juan Borgia non lo ascoltò affatto: i suoi occhi guardavano rapiti e ammirati la scalinata che portava alla Sala; come lui così molti altri.
    Cesare seguì lo sguardo del cugino e rimase sbalordito.
    Il chiacchiericcio della stanza si disperse lentamente e l’attenzione di tutti si concentrò sulla nuova maschera.
    Il Capitano Borgia seguì ammirato la lieve linea del collo e le esili spalle scoperte, incantato da quel rosso abbagliante.
    La donna si guardò intorno, cercando con lo sguardo qualcuno; Cesare vide quel buono a nulla di Chevalier farsi larga tra la folla e piazzarsi di fronte alla figura.
    Fece un profondo e irriverente inchino porgendole la mano per invitarla a ballare; lei accettò curvando le labbra carminio in una piega ironica.
    La danze ripresero e i due furono presto circondati dagli invitati che si unirono a loro.
    - Cugino, l’hai vista? – gli chiese Juan.
    - Credo non ci sia nessuno che non l’abbia vista – gli rispose Cesare.




    *






    - Hai fatto colpo –
    - Tu dici, Chevalier? –
    Alphonse la fece volteggiare leggera, facendo scorrere la mano leggermente più in basso.
    Sophia gli pestò volutamente il piede.
    - Ahi! Che modi! – si lagnò Alphonse.
    - Impara a tenere le mani a posto – lo rimbrottò Sophia.
    Muovendosi agili per la stanza poterono scorgere le figure di molti convitati.
    - Alphonse, - iniziò Sophia piroettando, - che ne dici di una panoramica dei convitati? –
    Chevalier sorrise divertito.
    - Lì, dietro di voi, - iniziò volteggiando di centottanta gradi, - c’è il Cardinale della Rovere in compagnia di Ascanio Sforza. –
    Sophia li osservò attenta.
    - Magari stanno ordendo un altro complotto – gli sussurrò piano.
    - Ah, mon cher, cosa sarebbe Roma senza un sano complotto? –
    Alphonse la portò al centro della sala con qualche volteggio continuando a indicarle gli ospiti:
    - Su quel lato abbiamo i cari rappresentanti degli Orsini e lì, al lato opposto i Colonna – le disse divertito.
    - Hanno tutta l’aria di voler estrarre le spade e infilzarsi a vicenda, – commentò Sophia – d'altronde la loro rivalità è conosciuta. –
    - Non ci risparmiano le loro baruffe settimanali per strada – le disse Chevalier canzonatorio.
    - Tu non prendi niente sul serio, Alphonse – lo rimproverò Sophia.
    - Prendo molto sul serio questo ballo – le rispose appiccicandosi a lei e stringendola più saldamente.
    - Davvero? – gli sussurrò Sophia sulle labbra, sorprendendolo.
    Chevalier deglutì colto alla sprovvista.
    Con una piccola pressione Sophia lo costrinse a farla ruotare su sé stessa prima di ritornare fra le sue braccia.
    - Continuiamo la gita turistica, Alphonse. –
    Chevalier le indicò il giovane Ippolito d’Este richiamato a Roma dal Papa, Adriana Mila, suocera di Giulia la Bella, Copernico, che stava intrattenendo una piccola folla con le sue parole, e ancora uomini di rilievo, donne fascinose e ministri di Dio dagli ampi interessi.
    - E con tutte le persone che conosce, il Senatore è in bancarotta? –
    Chevalier non le rispose nemmeno.
    Con un nuovo volteggio il suo sguardo si posò su una figura in particolare.
    - Vedete quel tizio lì infondo? – le sussurrò Chevalier.
    Sophia sbirciò nella direzione indicata vedendo un corpulento uomo che la fissava intensamente.
    - Mi ricorda qualcuno –
    - E’ il nipote del Papa, il Cardinale Juan Borgia il Maggiore, Banchiere della famiglia e usuraio di Roma – le spiegò frettoloso Alphonse – stanne alla larga Sophia – le disse mettendo da parte il voi che usavano quasi per sbeffeggiarsi a vicenda.
    - Fidati Alphonse, non ho alcun desiderio di trovarmi vicino a lui. –
    In quel momento la musica cessò e partì una nuova sinfonia; Alphonse si vide costretto a cedere il passo ad altre persone che volevano ballare con Sophia ma non si perse d’animo e si precipitò da un’affascinante Colombina.
    Mentre passava da un cavaliere all’altro, Sophia poté notare le sgargianti e vistose maschere che gli invitati indossavano e il loro costume.
    Congedandosi dal suo cavaliere Sophia si diresse verso il rinfresco controllato da Charles; bevve dell’acqua, unica bevanda che volle concedersi per restare lucida e vigile.
    Con la coda dell’occhio vide il Cardinale Borgia che si dirigeva nella sua direzione così, per evitarlo, andò volutamente a sbattere contro una maschera che passava lì per caso.
    - Perdonatemi messere, sono inciampata – gli disse fintamente desolata mentre l’uomo la rimetteva in piedi.
    Alzando lo sguardo, Sophia si ritrovò in leggera soggezione: di fronte a lei si stagliava un imponente uomo, mascherato con un abito insolito, di tessuto nero e con un cappuccio calato sul volto già coperto per metà da una maschera.
    Ed era alto, accidenti se era alto.
    Lei gli arrivava forse alle spalle.
    - Non preoccupatevi, madonna, è stata una mia mancanza. –
    La voce** dello sconosciuto fece correre un brivido lungo la schiena di Sophia: era profonda, bassa e roca.
    E maledettamente sexy.
    - Per farmi perdonare, - le disse conducendola in pista, - mi conceda questo ballo. –
    Non glielo aveva proprio chiesto, considerò Sophia mentre la stringeva in una presa salda ma gentile e iniziava a farla volteggiare.
    Con suo grande sollievo notò che il Cardinale Borgia si era allontanato infastidito e deluso.
    Sospirò leggermente sollevata.
    - Ho l’impressione – la voce del suo cavaliere attirò la su attenzione – che forse non siete inciampata del tutto per sbaglio. –
    Sophia sorrise e si aggrappò meglio alla spalla dell’uomo, ringraziando di non dover danzare uno di quei balli di gruppo a cui aveva partecipato per quasi tutta la sera.
    - Mi avete scoperta ma, se devo essere sincera, non me ne pento neanche un po’ – gli rispose schietta.
    L’uomo la sorprese con una risata bassa e profonda.
    - Non sembrate avere remore a dire come la pensate. –
    - Non ho detto poi un gran che, messere. Ora, se volete scusarmi, - gli disse mentre la musica cessava per lasciar il posto a una ballata, - devo sistemare alcune questioni per la serata. –
    Sophia si scostò dal suo cavaliere e lui, prima di allontanarsi, le baciò delicatamente la mano.
    - Addio, madonna. –
    - Arrivederci, invece. Non si sa mai cosa accadrà in futuro. –
    Più o meno, pensò mentre andava a cercare Leonardo per dare il via allo spettacolo pirotecnico.




    *






    Cesare Borgia aveva osservato la donna in rosso danzare con tutti i cavalieri che la invitavano fino a quando lei si era allontanata verso il rinfresco; allora aveva intercettato Leonardo da Vinci, che passava di lì, e lo aveva portato dietro un arazzo, in un corridoio deserto.
    - Leonardo, ho saputo che avete un ingaggio temporaneo. –
    - Sì, mio signore. Spero che non vi arrechi fastidio. –
    Cesare lo fulminò con lo sguardo.
    - Finché non influirà sui miei piani… -
    - Non lo farà – si affrettò a garantire Leonardo.
    - Bene. E ora, che avete scoperto sulla Mela?-



    *





    Sophia percorse due volte la Sala della Villa senza trovare Leonardo.
    Esasperata per la ricerca e impegnata a evitare il Cardinale, si precipitò dietro un arazzo.
    Il corridoio in cui si trovava era uno dei pochi in disuso, con un mucchio di camere chiuse e polverose con un cumulo di cianfrusaglie ammassate negli anni.
    Passeggiò un po’ fino a quando un paio di voci attirarono la sua attenzione:
    - Ve l’ho detto, la Mela è l’artefatto più straordinario che abbia mai visto. Mi è difficile comprenderne la natura. –
    Era la voce di Leonardo.
    - Non vi state impegnando abbastanza. –
    Sophia sbirciò dietro l’angolo e vide il Maestro da Vinci con le spalle al muro; di fronte a lui c’era un giovane che Sophia non conosceva.
    Era di bell’aspetto, notò Sophia, con i capelli corvini e il portamento fiero.
    - Ricordati, Leonardo, che non basta un solo Frutto dell’Eden, tu devi trovare qualcosa. –
    Un attimo, si disse Sophia, Frutto dell’Eden? Mela? Dove gli ho già sentiti?
    Sophia riportò l’attenzione su Leonardo che stava bisbigliando sommessamente:
    - Farò quel che posso, mio signore. –
    - Farai molto di più – gli disse lo sconosciuto.
    Sophia si accigliò: non le piaceva che qualcuno trattasse male Leonardo né che lo strattonasse come stava facendo quel tipo al momento.
    Tornò indietro fino all’arazzo e con voce chiara iniziò a chiamare Leonardo, percorrendo di nuovo il lungo corridoio e svoltando l’angolo.




    *






    L’attenzione di Cesare e Leonardo fu catturata da una voce che risuonò lontana nei corridoi.
    Sentirono dei passi che rimbombarono e una voce che ripeteva il nome del Maestro più distinta e vicina.
    Infine, Cesare vide comparire dietro l’angolo la donna che aveva attirato la curiosità di tutta la sala quella sera.
    - Leonar… Ah! Eccovi, finalmente! – esclamò procedendo leggiadra verso loro.
    Cesare Borgia restò ad ammirarla mentre si avvicinava.
    - Maestro, senza di voi non ci sarà nessuna sorpresa per gli ospiti ma…vedo che avete compagnia – esclamò civettuola.
    - Perdonate il mio ritardo, madonna – le disse Leonardo allarmato per la sua presenza e affatto felice che incontrasse Cesare.
    Ma il danno era fatto e un’occhiata del Valentino gli fece capire che doveva fare le presentazioni.
    - Sophia, permettetemi di presentarvi Cesare Borgia. –
    Oh, cavoli!
    Quella era serata di incontri, si disse Sophia mentre Cesare Borgia le rivolgeva un svolazzante inchino e le baciava la mano.
    - Cesare Borgia, madonna, al vostro servizio. –
    - Incantata, messer Borgia – gli rispose.
    - Prego, chiamatemi Cesare. –
    Questo qui non perde tempo, eh?
    - Cesare, vi dispiace se vi porto via il Maestro da Vinci? C’è una serata da concludere. –
    - Ma certo, madonna – le disse con una punta di disappunto, dal momento che lei non gli aveva detto che poteva chiamarla per nome – avete parlato di una sorpresa. Come ne siete a conoscenza? –
    Cesare vide le labbra carminio inclinarsi in un sorriso seducente e il delicato volto mascherato ruotare verso Leonardo.
    Il Maestro da Vinci prese la parola con un lieve colpo di tosse per richiamare l’attenzione di Cesare.
    - Madonna Sophia, - disse – è l’organizzatrice della serata. –
    Cesare approfittò di quell’informazione per porre il braccio a Sophia, che l’accettò.
    - Sono d’avanti alla mia ospite e lo ignoravo. Ma ditemi, come conoscete il Senatore. –
    - E’ una lunga storia, Cesare. Che ne dite di ascoltarla mentre ci avviamo verso il giardino cosicché il Maestro sia libero di finire il suo lavoro? – gli disse.
    - Ne sarei onorato. –
    Leonardo rimase indietro, cogliendo il lieve avvertimento che gli mandarono gli occhi di Sophia dietro la maschera.
    Senza perdere tempo, Leonardo si dileguò in fretta.




    *





    - Una triste storia, davvero – le disse Cesare mentre passeggiavano in giardino chiacchierando amabilmente.
    - Già, così il Senatore mi ha preso sotto la sua ala protettrice e da qualche tempo vivo qui –
    - Perdere i propri cari non è piacevole. –
    - A Londra si è molto parlato della morte di vostro fratello minore***- gli disse Sophia con gentilezza – sono addolorata per voi –
    - Vi ringrazio, madonna. Siete una delle poche persone che non ha fatto commenti di altro genere. –
    Sophia gli rivolse il sorriso disarmante che lo aveva imbambolato per tutta la conversazione e gli disse:
    - Non crucciatevi troppo, Cesare. Roma è una città magnifica così come i suoi valorosi uomini. Ma suvvia, stiamo per iniziare. –
    - Non ho ancora potuto vedervi in volto – la bloccò Cesare.
    Sophia rise e gli disse:
    - Temo che resterete deluso stasera, Capitano, perché una festa in maschera non è tale se ci si toglie la maschera. –
    Cesare annuì momentaneamente sconfitto e, porgendole ancora il braccio, la condusse al centro del giardino, in mezzo alla folla, cosicché tutti li vedessero e leggessero tra le righe cosa lui stesse comunicando.
    Al primo botto, la folla scoppiò esultante e tutti restarono incantati di fronte allo spettacolo che ne seguì.




    *





    - E anche l’ultimo è andato – disse Chevalier buttandosi sul divano del salotto in cui si erano rifugiati finita la festa.
    - E’ stata una lunga serata – gli disse Sophia sedendogli accanto.
    Alphonse la guardò con occhi socchiusi sbottando acido:
    - Non si direbbe dal modo in cui chiacchieravi con quel Borgia. –
    Sophia si tolse la maschera posandola sul tavolo e gli disse:
    - Non essere geloso, Alphonse. Non è saggio inimicarsi un altro membro della famiglia Borgia. Uno basta e avanza. –
    Alphonse grugnì qualcosa di indecifrabile ma non smise l’espressione imbronciata.
    Troppo stanca per discutere, Sophia gli augurò la buona notte e si diresse nelle sue stanze.
    Sollevata, si sbarazzò dei gioielli, della maschera che aveva recuperato dal tavolino e del ventaglio posandoli sulla specchiera.
    Contorcendosi leggermente, si liberò del vestito per dirigersi nella vasca d’acqua calda che aveva fatto preparare dalla cameriera.
    Immersa tra le volute di fumo, ripensò alle parole che si erano scambiati Cesare e Leonardo.
    I Frutti dell’Eden, la Mela.
    Perché quei nomi gli erano famigliari?
    Non seppe quando accadde, ma dovette essersi addormentata perché si trovava nella biblioteca di Istanbul, con i muri pieni delle scritte che aveva decifrato con il padre.
    Sophia si sollevò di colpo dalla vasca, svegliandosi, avvolgendosi in un telo e precipitandosi verso il baule che aveva conservato nel fondo del grande armadio.
    In fretta e furia estrasse il taccuino su cui aveva tradotto la scritta che quei bastardi dell’Abstergo le avevano lasciato e il progetto del Dr. Baker con quella annotazione.
    Ecco dove aveva sentito quei nomi.
    Il frammento non diceva molto ma dall’appunto di Baker si evinceva che quel Frutto dell’Eden, qualsiasi cosa fosse, avesse straordinarie qualità.
    Vecchia mia, le disse una vocina nella sua testa, e se avessi trovato il passaporto per il ventunesimo secolo?



    1. Caterina Sforza: secondo Wikipedia, Caterina scappò da Roma nel 1501. Nella storia siamo nel 1500, ma mi si conceda questa variante.
    2.Per quanti di voi hanno giocato ad Assassin’s Creed e conoscono la voce della misteriosa figura – sì, proprio Lui! – sappiate che ho la mania di rifare il gioco in lingua originale e la voce inglese è…beh…sbav…Quindi immaginate quella o ascoltatevela su YouTube se non la conoscete.
    3.Gli spin-off del gioco così come molte testimonianze indicano Cesare come il figlio cadetto ma in realtà era il primogenito di Rodrigo Borgia, che lo aveva destinato alla vita clericale, tanto che giovanissimo divenne Cardinale, mentre su fratello Juan, più giovane di lui di almeno due anni, fu destinato alle armi.


    Note dell'Autrice
    Salve a tutte/i, innanzi tutto vi comunico che Su EFP ho alzato il rating al massimo, quindi consideratelo anche voi tale.
    Poi, come letto sopra, il capitolo è incentrato sul benedetto ballo del Senatore e, naturalmente, sulle personalità che vi partecipano. Come guest star del capitolo niente meno che Cesare Borgia. Ora, io so come lo rappresenta la Ubisoft, ma dopo aver visto The Borgias con Jeremy Irons in veste di Papa, mi sono quasi totalmente ricreduta sulla figura di Cesare. Non lo rappresenterò come un arrogante pallone gonfiato ma gli attribuirò intelligenza, astuzia e una buona dose di fascino. Per tutti quelli che mi hanno chiesto: Ed Ezio? Beh, direi che chi sa leggere tra le righe, non può non aver notato qualcosa. non la voglio tirar troppo per le lunghe qundi concludo dicendovi che le acque si smuovono e che un giretto a Castel Sant'Angelo risulterà d'obbligo.
    Ah, e ritornerà il mio caro Shaun!

    Vi lascio qua sotto le immagini con il vestito di Sophia e la maschera con il ventaglio.
    Considerate solo queste tre cose separatamente, il resto non c'entra sopratutto volto e capelli!
    Vestito:




    Campagna di Promozione sociale, messaggio no profit.
    Dona l'8 ‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
    Farai felice milioni di scrittori
     
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  5. Taide
     
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    Mi ero dimenticata che ho la storia anche qua XD Il recente fermento me l'ha ricordato ^^


    Capitolo 10 – Discoveries –

    Monteriggioni, 2012



    Desmond Miles uscì dall’Animus completamente indolenzito.
    Le ore passate in quell’aggeggio infernale che Rebecca coccolava come un bambino gli avevano dato il colpo di grazia, ma non aveva tempo per soffermarsi su queste sottigliezze fisiche.
    La sua mente continuava a tornare al ballo in maschera in cui il suo esimio antenato si era spudoratamente imbucato.
    Non che qualcuno se ne fosse accorto tranne – forse – la maschera con cui Ezio aveva danzato.
    Desmond se la vedeva ancora d’avanti per quanto gli era rimasta impressa e gli causava un senso di malessere sottocutaneo insistente, come se dovesse rendersi conto di qualcosa che gli sfuggiva.
    Era strano, così su due piedi avrebbe detto di averla già vista da qualche parte; avrebbe giurato che ci fosse in lei qualcosa di conosciuto.
    Mah, sto impazzendo.
    Scrollandosi le spalle lasciò la stanza circolare, aggirando la statua di Altaïr per dirigersi verso quello che sarebbe dovuto essere una sorta di bagno munito di doccia con acqua corrente.
    Fece scorrere l’acqua, buttò in un angolo i suoi vestiti e si infilò sotto il getto gelido, rabbrividendo e maledicendo Rebecca per aver considerato la caldaia un optional trascurabile.
    Mentre l’acqua si abbatteva sulle sue spalle, ripensò a tutti i lunghi discorsi fatti con i compagni, alle congetture da loro elaborate e agli sforzi di Shaun per scoprire i dati della figlia dell’archeologo Thorpe.
    Hastings continuava a lagnarsi che non esistevano sue apparizioni in pubblico o interviste e che ogni pubblicazione della ragazza riportava solo le sigle del nome e il cognome intero e naturalmente loro non potevano andare a cercare i suoi conoscenti visto che avevano attaccati alle chiappe più agenti Abstergo di quanti potessero abbatterne.
    Desmond sospirò profondamente e si trascinò fuori dalla doccia, avvolgendosi intorno ai fianchi un telo e avviandosi, gocciolante, per i corridoi semidistrutti del passaggio segreto, verso la zona che avevano allestito alla bell’è meglio per dormire.
    Girando l’angolo, andò a sbattere contro Lucy che sopraggiungeva in quel momento.
    La ragazza riprese in fretta l’equilibrio e fece due passi indietro, squadrandolo a bocca aperta e distogliendo in fretta lo sguardo mentre le si coloravano leggermente le guance.
    - Ehm... ciao –
    Grande, idiota! Tu si che sai cosa dire, si rimproverò Desmond.
    - Io, - incominciò Lucy – ecco, stavo andando a comprare la cena. –
    Desmond la vide dileguarsi in tutta fretta.
    Complimenti campione. Ecco come far scappare le donne!
    Perché la sua irritante voce interiore assomigliava stranamente a quella di Shaun?
    Okay, non era il massimo incontrare Lucy con solo un asciugamano intorno alle grazie ma, per tutti gli Assassini, non era certo da rottamare!
    Con un sospiro rassegnato si buttò addosso i primi vestiti puliti che gli capitarono a tiro e si diresse verso la stanza delle statue.
    Rebecca era in pausa, con le cuffie che sparavano musica a tutto volume e i piedi incrociati sulla scrivania; Shaun si stava suicidando con il computer.
    Desmond si avvicinò con cautela, consapevole del labile stato mentale dell’assassino.
    Prudentemente, Desmond tentò un primo approccio, attento a non innescare mina-vagante –Shaun.
    - Ehm, tutto bene? –
    Shaun si tolse gli occhiali e lo guardò schifato:
    - Ma certo! Siamo solo braccati, disorganizzati, bloccati in questo posto e quasi sul ciglio di un baratro nero e senza fondo. Va tutto benissimo! –
    Sforzi vani.
    Shaun era nevrotico da giorni.
    Richiamando a sé tutta la sua pazienza, Desmond ritentò:
    - Senti Shaun…-
    - Non ora Miles, - lo bloccò Hastings - fatti un giro e ritorna qua fra un po’… diciamo un paio d’anni. –
    Alzando gli occhi al cielo e sbuffando come una locomotiva, Desmond decise che una boccata d’aria fresca l’avrebbe aiutato a distendere i muscoli e a riflettere.




    *






    Stay hungry, stay foolish
    Steve Jobs





    Roma, 1500 – Villa del Senatore

    Sophia si alzò dolorante dal maestoso e fin troppo opulento letto della sua stanza con una miriade di dolori in tutto il corpo.
    Se la serata era stata stancante, i suoi pensieri le avevano assestato il colpo di grazia, tormentandola durante la notte.
    Sostanzialmente non aveva fatto altro che rigirarsi insonne tra le coperte fino a quando, snervata, le aveva gettate di lato e si era alzata.
    La conversazione tra il Borgia e Leonardo continuava a ronzarle in testa e gli appunti di Baker le ballavano beffardi davanti agli occhi.
    Non si era mai sentita tanto impotente e indecisa nella sua vita.
    Perché non poteva chiedere.
    Chi diavolo le avrebbe potuto dire qualcosa su una fantomatica Mela dell’Eden senza sospettare di lei?
    Di certo non Leonardo con quelle sue chiare iridi indagatrici.
    Saltellando per il freddo corse a ravviare il fuoco del camino e a mettere dell’acqua a scaldare in quello della stanza accanto.
    Mezz’ora dopo, lavata e cambiata, Sophia uscì
    dalle sue stanze silenziosamente. Si diresse piano in camera di Carlo trovandolo ancora profondamente addormentato vicino a Cesare.
    Il molosso aprì gli occhi e mosse felice la coda.
    Sophia gli grattò delicatamente l’orecchio facendolo uggiolare di felicità.
    - Cominci a essere un po’ troppo cresciutello per dormire nel letto con Carlo - gli sussurrò.
    Cesare, quasi avesse capito la sottile allusione, sbuffò infastidito e si accomodò meglio sul materasso.
    - Ma guarda! Qualcuno qui si sta impigrendo – sogghignò Sophia.
    Uscì delicatamente dalla stanza chiudendosi alle spalle la porta e scese le scale, percorrendo i corridoi fino alla sala da pranzo.
    - Buongiorno Sophia. –
    Si girò velocemente verso l’altra presenza della stanza.
    - Senatore, già in piedi? – chiese stupita.
    Egidio, a capotavola, le fece segno di sedersi di fianco a lui mentre faceva cenno alla cameriera di aggiungere un coperto e di servire la colazione.
    Sophia si accomodò, posandosi il delicato tovagliolo in grembo.
    - Le preoccupazioni e l’età mi tengono sveglio bambina, ma anche il tuo volto mostra i segni una notte insonne – le disse il Senatore osservandola.
    Sophia non tentò neanche di negare ma consumò in silenzio il primo pasto della giornata.
    Finendo il suo The, Sophia disse:
    - La serata non è andata male. –
    - Affatto, Cesare era incantato da voi – ribatté Egidio.
    - Non gli avrete parlato di me! –
    - Sono riuscito a evitare i suoi tentativi di abbordaggio – disse scontento il Senatore.
    - Mi spiace. –
    - Al contrario bambina, Cesare cercherà informazioni in giro e scoprirà esattamente ciò che noi abbiamo lasciato qua e là. –
    Sophia annuì.
    Non aveva mai detto al Senatore da dove venisse ma lui era un uomo abbastanza intelligente da capire quando un segreto di proporzioni interessanti era taciuto.
    Così avevano concordato alcuni particolari e, per ogni evenienza, fatto preparare alcuni documenti più che falsi ma di ottima fattura.
    Sophia sorrise tra sé.
    Nonostante le mancasse il padre e la sua epoca non poteva dire di vivere male: era circondata da più calore e affetto di quanto potesse ricordare.
    Mentre il Senatore leggeva le lettere del giorno, borbottando insulti ai creditori, Sophia pensò che forse era il caso di iniziare a spulciare la biblioteca della Villa.



    *





    Carlo adorava le feste.
    Non perché avesse partecipato a molte di loro, tutt’altro, ma perché aveva scoperto che il giorno dopo il suo istitutore non sarebbe venuto.
    A Carlo non piaceva: gli parlava in modo strano e non sorrideva mai.
    E lo sgridava sempre.
    In definitiva aveva deciso che voleva indietro Sophia e i suoi insegnamenti.
    Ma quella mattina Carlo era in missione.
    Dopo colazione e la cavalcata nei giardini con Alphonse, Sophia l’aveva portato con sé in biblioteca e con fare cospiratorio gli aveva messo in mano un foglietto con delle parole che doveva cercare.
    Non sapeva ancora leggere bene ma aveva ripetuto tante volte sottovoce la frase e guardato tante volte gli svolazzi sul foglietto che riconosceva a memoria i caratteri.
    Con la camminata importante che aveva visto assumere ad Alphonse quando era soddisfatto di qualcosa, Carlo si era diretto vicino agli scafali e aveva preso il primo libro che gli era capitato tra le mani, leggendo attentamente le scritte per trovare quella che Sophia cercava.
    La ricerca era stata infruttuosa per i due libri che aveva sfogliato e ora Carlo si stava annoiando.
    Scuotendo la testa bionda, si voltò a guardare Sophia.
    Stava seduta su una poltrona vicina alla finestra e scorreva le pagine impolverate con attenzione; al suo fianco stavano impilati una serie di libri già controllati.
    Carlo si stropicciò gli occhi e si diresse ciondolando verso Sophia che sollevo lo sguardo dal gigantesco tomo in cui aveva affondato il naso.
    - Trovato niente? –
    Carlo scosse la testa facendo danzare i ricci biondi.
    - Sei stanco? Perché non vai a farti dare un biscotto da Maria? –
    Carlo si illuminò tutto e chiese:
    - Posso? –
    - Certo, - gli disse Sophia indulgente, - attento a non perderti nella biblioteca. –
    Carlo annuì.
    La biblioteca della Villa era particolare per la sua locazione; Carlo aveva ascoltato i racconti del Senatore su come i suoi antenati avessero voluto che la disposizione degli scafali simulasse un labirinto per contenere volumi antichi e rari.
    E c’erano riusciti.
    All’attivo, quel posto occupava gran parte del secondo piano dell’ala ovest e metteva i brividi per grandezza e scarsa illuminazione.
    Carlo si incamminò circospetto verso la zona da cui era arrivato con Sophia seguito da Cesare; riluttante si avviò per gli scaffali bui.
    Non l’avrebbe ammesso con nessuno, ma quella biblioteca gli faceva venire i brividi: gli alti scaffali impolverati, i tappeti che ricoprivano ogni anfratto e la semi oscurità permanente gli facevano scorrere lunghi brividi freddi lungo la schiena e scatenavano in lui il desiderio di correre a più non posso fuori di lì.
    Distratto nei suoi pensieri e occupato a cogliere ogni scricchiolio, Carlo si trovò da solo.
    Cesare era sparito e lui non sapeva da che parte girare.
    In definitiva era spaventato a morte dall’alone di mistero del luogo.
    - Cesare… - sussurrò Carlo nella speranza di vedere il molosso comparirgli d’avanti.
    Vana speranza.
    Con le lacrime che minacciavano di scendere si fece coraggio e avanzò piano alla sua destra, cercando di ricordare da dove era arrivato.
    Dopo aver vagato inutilmente, si ritrovò a dover ammettere con sé stesso di non aver la più pallida idea di dove fosse.
    Un leggero tonfo alla sua sinistra lo fece strillare dallo spavento.
    Dall’angolo di uno scafale comparve Cesare che si avviò trotterellando verso Carlo, leccandogli comprensivo la mano.
    Ancora con il cuore che batteva a mille, Carlo si rincuorò alla presenza del molosso.
    Cesare si avviò lentamente per gli scaffali e il bambino gli tenne dietro; insieme sbucarono in una porzione perfettamente quadrata della biblioteca, leggermente illuminata sulla sinistra da un’ampia finestra e delimitata nei restanti tre lati dalle lunghe scaffalature.
    Al centro di quella improvvisata stanza, che Carlo trovava spaventosa, era posizionata una teca con dentro un qualcosa di grande.
    Carlo gli si avvicinò cauto e poté notare che sotto il vetro incrostato si trovava un grosso tomo chiuso da un lucchetto.
    Quella era la cosa più bizzarra che il bambino avesse mai visto: un libro da leggere che non si poteva leggere!
    L’improvviso movimento di Cesare spaventò Carlo che arretrò bruscamente andando a sbattere contro uno scaffale e facendo cadere a terra alcuni libri che erano in bilico.
    Il fragore rimbombò per tutti corridoi.
    Carlo, mezzo tramortito e spaventato, sentì dei passi affrettati che precedettero la figura di Sophia.
    Non era mai stato così contento di vederla.
    - Stai bene, Carlo? – gli chiese avvicinandosi a lui e rimettendolo in piedi.
    Carlo l’abbracciò di slancio, circondandole la vita con le braccia e affondando la testa contro il suo ventre, blaterando di mostri, libri e rumori terribili.
    Sophia rise divertita e lo strinse stretto, rincuorandolo come meglio poteva.
    Quando il bambino smise di tempestarla di parole e si staccò da lei gli disse:
    - Sei stato solo suggestionato da questo posto, non c’è nulla che non va. –
    - Ma… - fece per protestare Carlo.
    Sophia lo interruppe pizzicandogli la guancia:
    - E’ tutto apposto. Inoltre hai scoperto una zona davvero interessante di questa biblioteca. Mi meraviglio che nessuno si sia preoccupato di dare almeno una sistemata. –
    Carlo non era affatto convinto delle parole di Sophia: quel posto era spaventoso non interessante.
    Ma, con la tipica leggerezza dei bambini, si dimenticò della sua piccola avventura quando Sophia gli propose di andare a far merenda.
    Il pane dolce, il miele e il latte che Maria gli mise d’avanti dettero il colpo di grazia alla sua attenzione e la vicenda della biblioteca fu archiviata nel sul cervello con un “Non ripetersi” definitivo.
    Lo stesso non si poteva dire di Sophia che anelava per ritornare al secondo piano, non solo perché aveva il sospetto di aver trovato l’acqua calda, ma perché il suo animo di studiosa le stava urlando di darsi una mossa.
    Doveva aspettare: la sua mattinata libera era passata e c’erano alcune faccende di cui occuparsi.
    Ma sarebbe tornata lì, decise.
    Quella stessa notte.




    *




    Leonardo da Vinci era ragionevolmente stressato.
    Dopo la conclusione del ballo del Senatore, il Valentino aveva preteso che tornasse a occuparsi a pieno regime dei suoi affari.
    Il Maestro era stato costretto a sospendere momentaneamente i lavori presso il Senatore: nulla di cui preoccuparsi dato che i progetti erano finiti ma trovare una buona manovalanza era come cercare di trovare un Assassino in mezzo alla folla.
    E considerati gli scarsi successi delle guardie, Leonardo non sapeva se ridere o piangere per l’ironia della questione.
    Tuttavia non aveva tempo per quelle quisquilie: la Mela dell’Eden era di fronte a lui, sul suo tavolo da lavoro, e sicuramente poteva essere preoccupato per quel fatto.
    La sua anima di studioso aveva gioito per la sua fortuna ma la sua umanità ne soffriva: sapeva che Cesare voleva un’arma imbattibile e che lui doveva fornirgliela.
    Per questo aveva comunicato al Valentino solo informazioni blande e confuse rispetto alle numerose teorie che aveva formulato durante tutti i suoi studi.
    Ma a preoccuparlo non era solo il Frutto.
    Cesare era divenuto particolarmente insistente nel voler conoscere la dama della festa e, sebbene Leonardo fosse riuscito a placarlo suggerendogli che una nota di mistero non guastava e che la stessa ospite aveva insistito con lui per mantenere segreta la sua identità, la poco paziente indole di Cesare stava premendo per affrettare un incontro che Leonardo non sapeva organizzare e che Sophia voleva evitare.
    Leonardo sospirò tornando ai suoi studi.
    Non era solo la smania di Cesare a voler essere soddisfatta: la curiosità di Leonardo verso la sua giovane amica era cresciuta progressivamente con l’assidua frequenza e le sue domande erano aumentate sensibilmente.
    Il Maestro prevedeva tempi bui, davvero bui.




    *




    Sophia passò le seguenti due notti rannicchiata su una morbida poltrona in quella porzione di biblioteca scoperta da Carlo.
    Quelli scaffali contenevano quasi ed esclusivamente informazioni sulla Terra Santa e Crociate. Durante tutta la sua febbrile ricerca si era imbattuta più volte in nomi e personaggi che suo padre aveva rincorso per tutta una vita.
    Aveva scoperto uno scritto autografo di Garnier de Naplouse, Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri, in cui diceva di sentire su di sé “La morsa dell’Assassino” esercitata dall’uomo che chiamava Altaïr Ibn-La’Ahad.
    E per tutti gli dèi, quel cognome lei l’aveva già sentito.
    A Istanbul.
    Poco prima che suo padre fosse ammazzato.
    E durante le ricerche di una vita di Alan Thorpe.
    Ma non era tutto.
    Leggendo quelle polverose pagine si era imbattuta in cronache di una lotta millenaria tra Assassini e Templari, tutti alla ricerca di quel maledetto Frutto dell’Eden; frammenti scritti da Crociati defunti narravano di atrocità commesse in nome dell’ordine cosmico; parole frementi di Assassini erano state trovate e riportate dai monaci amanuensi.
    Scostandosi una ciocca di capelli che aveva lasciato sciolti, Sophia lesse le brevi parole dell’uccisore di Garnier, che affermavano il suo imminente viaggio per il mondo con la sua compagna.
    Il dannato nome era cancellato, anzi, Sophia avrebbe giurato quelli erano i segni di una bruciatura.
    Con un colpo secco chiuse il volume che aveva in mano e si alzò, stiracchiandosi dopo ore nella stessa posizione.
    Aveva scovato una miniera di conoscenza e si era fatta un’idea generale su cosa stava succedendo tra le due fazioni in campo e sapeva, finalmente, cosa erano i benedetti Frutti dell’Eden.
    Se due più due faceva ancora quattro quei bastardi dell’Abstergo Industries erano i novelli Templari, lei era in guai più grossi di quanto potesse immaginare e un Frutto dell’Eden era nelle mani dei Borgia.
    E se le ricerche di Baker e dei suoi uomini erano esatte, allora aveva la possibilità di usare la Mela per ricreare le stesse condizioni che l’avevano portata a Roma.
    Se riesci a recuperare il Frutto potrai tornare a casa, le sussurrò soavemente la sua nuova voce interiore.
    Il problema più grande non è sottrarlo ai Borgia, si disse Sophia, è farlo funzionare.




    *





    Due giorni dopo Sophia aveva circuito abbastanza Salaì e un ladruncolo con cui aveva fatto amicizia da scoprire che il Maestro da Vinci si trovava a Castel Sant’Angelo per un lavoro e conoscere i cambi della guardia e i punti migliori da cui passare senza essere vista.
    Era consapevole di stare per compiere un’azione sconsiderata e stupida ma, nonostante si fosse abituata a quel secolo, voleva disperatamente tornare a casa anche se ad attenderla ci sarebbero stati degli scienziati pazzi e una vita da fuggitiva.
    Il giorno dopo Egidio aveva un incontro che lei non aveva ben compreso: il Senatore le era sembrato pallido e preoccupato ma lei non aveva la concentrazione necessario per mettersi a fare la crocerossina.
    Quella notte, dopo più di due mesi che si trovava a Roma, Sophia rindossò i suoi abiti moderni e scuri, i suoi stivali con la punta rinforzata, le sue armi.
    Sophia tirò fuori dal doppio fondo del suo baule il vecchio zaino e lo caricò di armi e qualche medicinale di primo soccorso, per ogni evenienza.
    Con una svelta mossa racchiuse l’alta coda con cui aveva sollevato i capelli in un berretto con visiera che aveva recuperato tempo addietro dalla bottega di Marconi.
    Guardandosi allo specchio Sophia si analizzò: la visiera sarebbe bastata a adombrarle la parte superiore del viso ma, per quanto ci avesse provato, i tentativi di sembrare più un ragazzo che una donna a poco erano serviti.
    Certo, se non la si osservava da vicino, ingannava l’occhio ma Sophia non era convinta che ciò fosse sufficiente.
    Annuendo decisa tra sé sgattaiolò silenziosamente per i bui corridoi, stando attenta a non far cigolare il legno del pavimento.
    Arrivata all’ampia scalinata si sporse dalla balaustra per osservare il pianoterra: da una porta laterale filtrava un leggero chiarore.
    Sophia si accigliò.
    Con calma scese le scale avvicinandosi alla fonte di luce; sporgendosi, sbirciò cautamente nel salotto fiocamente illuminato.
    Su un divanetto stava sdraiato Alphonse, scomposto con la testa inclinata all’indietro, i capelli scuri riversi sulle spalle e una bottiglia vuota in mano.
    Sophia scosse la testa rassegnata al fatto che le abitudini travianti del Senatore fossero ereditarie, ma anche stupita perché Chevalier non aveva mai ecceduto la misura nonostante il suo carattere libertino.
    Accostò la porta delicatamente e si diresse verso la zona dei domestici imboccando un corridoi che l’avrebbe portata in cucina; da quella stanza si accedeva a un cortile esterno attraverso il quale era più semplice lasciare la Villa inosservati.
    Sere prima Sophia aveva approfittato della distrazione di Charles per prendere “in prestito” la chiave della cucina e farne fare una copia da un fabbro amico di Marconi per poi rimettere tutto a posto prima che si notasse la mancanza.
    Con attenzione Sophia si accostò alla porta e fece girare la serratura nella chiave maledicendo ogni suono raschiante e rugginoso che veniva emesso; l’ultimo scatto e la porta si aprì.
    Sophia abbassò la maniglia e tirò: la porta cigolò sui cardini e una ventata d’aria gelida la investì facendola rabbrividire.
    Sophia fece per avventurarsi nella fredda notte invernale ma una presa ferrea sul suo polso la trattenne.
    Si voltò di scatto trovandosi di fronte Chevalier che l’osservava con uno sguardo un po’ appannato.
    Torreggiando su di lei ombroso e incupito la fissava accigliato.
    - Sophia – disse con voce roca.
    Sophia osservò in silenzio Alphonse aspettando una sua mossa.
    - Sophia, - ripeté piano Alphonse – non andare, qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare. –
    Chevalier non sembrava ubriaco come Sophia aveva immaginato e le stringeva ancora saldamente il polso, sollevato tra loro due.
    Con la migliore faccia di bronzo che riuscisse a prefabbricare Sophia disse:
    - Non sto andando da nessuna parte. –
    Un lampo di ira repressa passò negli occhi di Alphonse ma il suo tono calmo non cambiò.
    - E’ per questo che sei qui, adesso, con una copia della chiave di questa porta vestita come… - disse Chevalier interrompendosi e facendo un gesto con l’altro braccio come a dirle “ Guardati, in questo modo assurdo”.
    Chevalier riprese fiato, quindi ripeté:
    - Non andare –
    - Alphonse, io… -
    - Non pensare che non abbia notato nulla, non sei così imperscrutabile come sembri – l’interruppe bruscamente.
    - Mio zio è troppo preoccupato per l’incontro di domani, ma io ho avuto tempo di osservarti: dal ballo in maschera ti aggiri irrequieta in quella biblioteca come se dovessi seppellirtici dentro, parli poco e ti si vede ancora meno. Certo, sei sempre puntualissima con il lavoro ma certe cose si notano – Chevalier tacque per riprendere fiato e Sophia approfittò di quella pausa.
    - Alphonse, ascolta io…-
    Lo sguardo irato che le lanciò Chevalier fu sufficiente a farle morire le parole in gola.
    - E’ per quel Borgia, vero? – ringhiò con disprezzo.
    Sophia lo guardò basita fino a che i suoi neuroni non compresero l’affermazione: fu invasa da un senso di sollievo e preoccupazione perché Alphonse aveva ragione ma per questioni decisamente differenti.
    - Chevalier, - sbottò in tono sicuro, - io e Cesare Borgia non abbiamo una relazione, non ci incontriamo in segreto e non permetterò che accada. –
    Il tono sicuro di Sophia spinse Alphonse a osservarla per bene in faccia: incrociò i suoi occhi chiari con quelli altrettanto azzurri di Sophia e quello che vide lo convinse in parte.
    Con tono più calmo e allentando la presa sul suo polso disse:
    - Però siete sempre sul punto di uscire nel cuore della notte, vestita in modo strano per andare chissà dove. –
    _ Non sono l’unica che va in giro la notte e torna all’alba con un cappuccio calato sul volto - gli disse.
    - Ma tu sei una donna! – esclamò Chevalier piccato, come se quella semplice constatazione risolvesse tutto.
    Sophia lo guardò annoiata; non aveva tempo per perdersi in una conversazione sulla parità dei sessi e i diritti delle donne ma prima o poi gli avrebbe fatto una lezione di storia in prospettiva futurista, molto futurista.
    - Allora, - riprese Chevalier, - se non stai sgattaiolando via per un incontro galante che accidenti stai combinando? - chiese mentre ondeggiava un po’ instabile sulle gambe.
    Forse quel vino non è del tutto andato sprecato, considerò Sophia.
    Tuttavia doveva andare, e in fretta.
    Quindi Sophia decise che la miglior tattica per disorientare abbastanza Chevalier da stenderlo era parlargli con franchezza.
    - Voglio entrare a Castel Sant’Angelo – gli disse candidamente.
    Alphonse rimase a bocca aperta per lo stupore, che fu in fretta sostituito dall’irritazione.
    - Se non hai alcuna relazione, come sostieni, perché diamine dovresti fare una cosa del genere?! E’ una follia. –
    - A volte è necessario essere folli, Alphonse, se si vuole ottenere qualcosa, anche a costo di correre dei rischi. E io lo voglio – gli rispose con voce leggermente tremante.
    Chevalier la guardò confuso ma Sophia non gli dette comunque il tempo di reagire: con una veloce mossa afferrò il primo oggetto che la sua mano afferrò e lo sbatté con significativa forza sulla testa di Chevalier.
    L’uomo cadde a terra con un gemito.
    Sophia si accertò che stesse relativamente bene – per quanto un bel colpo alla nuca permettesse – e con grande fatica lo sospinse su una sedia in modo tale che braccia e capo restassero appoggiati al tavolo.
    Se qualche domestica l’avesse trovato così la mattina dopo, avrebbe pensato che era crollato ubriaco come in parte effettivamente era.
    Per rendere il tutto più credibile Sophia versò in un bicchiere un po’ di vino e lasciò sul tavolo una caraffa semivuota, spruzzando qualche goccia di liquido scuro sul tavolo come tocco finale.
    Soddisfatta di sé e sperando che Alphonse dormisse fino alla mattina successiva, uscì fuori chiudendo a chiave la porta dietro di sé.
    Nella gelida aria della notte rabbrividì.
    Si era messa addosso quanti più capi possibili per ripararsi dal rigido clima invernale in quanto aveva escluso l’uso di un mantello: per quanto lo desiderasse, aveva bisogno di libertà nei movimenti.
    Sophia percorse rapida e silenziosa i vicoli della città evitando le vie principali e le guardie di turno.
    Arrivata in prossimità della tanto amata casa del piacere del Senatore, la Rosa in Fiore, l’aggirò percorrendo gli scalini che immettevano direttamente sul Tevere.
    Ad aspettarla c’era una barca con il suo ladruncolo.
    - Mado’ Sophia! Credeo me stessi a pijà p’er culo. Envece sei qui. –
    La rauca voce di Vito la raggiunse da una sgangherata barchetta che dondolava instabile sul pelo dell’acqua.
    - Te l’avevo detto che mi serviva un passaggio – ribatté Sophia inarcando un sopraciglio.
    - Dimmi, come hai fatto a capire che ero io? Non mi avevi ancora visto – chiese.
    Intravide il sorriso compiaciuto di Vito dalla riva prima che le rispondesse:
    - M’era parso de’ sentì er passo conosciuto – spiegò brevemente.
    Sophia annuì poco convinta.
    Salì agilmente su quelle assi di legno traballanti e si sedette lasciando che il ladro la conducesse a destinazione.
    Sorrise leggermente pensando a come si erano conosciuti: stava tornando a casa dopo una lunga commissione per il Senatore e Vito le era corso addosso cappottandola e rubandole il sacchetto di monete.
    Sophia l’aveva rincorso e atterrato con una mossa che al giovane era piaciuta parecchio dato che si era ritrovato lungo disteso per terra con una bellezza dagli occhi infuriati, comodamente abbarbicata su di lui, che gli puntava uno stiletto alla gola.
    Da allora i loro cammini si erano talvolta incrociati e avevano finito per stipulare una tacita amicizia.
    Ora Vito la stava conducendo in un punto che, a suo dire, era poco controllato e che l’avrebbe introdotta direttamente tra le mura vaticane senza attraversare il ponte.
    Con una silenziosa mossa il ragazzo accostò la barca a una bassa parete rocciosa dalla quale si poteva raggiungere agevolmente la terra ferma.
    Sophia si issò sulla sporgenza fino a che non si ritrovò su un terreno più stabile.
    Vito la guardò dalla barca mentre cercava di legare una corda all’anello infisso nella roccia per attraccare.
    Sophia lo fermò con un gesto e gli disse:
    - Vado da sola, Vito. –
    Il ladro la guardò allucinato e sbottò:
    - Te sei ammattita? Vuoi entrare in ‘sta gabbia de lupi da sola? Non me par proprio er caso! –
    Sophia sospirò e gli disse:
    - Da sola attirerò meno l’attenzione: conosco il posto e so come muovermi. –
    - Ma l’agilità der ladro può farte comodo – ribatté Vito.
    - In due attireremmo troppo l’attenzione, – spiegò Sophia - e in più se non dovessi uscire prima dell’alba è necessario che qualcuno a piede libero lo sappia – aggiunse.
    Il discorso non parve comunque convincere Vito così Sophia esclamò:
    - Vito, vai! –
    Vito alzò le mani in segno di resa e bofonchiò:
    - D’accordo! Son solo er povero ladro. In fondo non me pa’ che possa farci nulla. –
    Chiaramente Vito non era affatto contento di essere stato relegato al ruolo di “sentinella nascosta in caso di pericolo” ma diede una leggere spinta e l’imbarcazione scivolò leggera sull’acqua.
    - Non me tornate in pezzi – le disse allontanandosi.
    - Spero proprio di no – ribatté Sophia.
    Lo osservò allontanarsi vagamente dispiaciuta, ma non poteva permettere che Vito vedesse l’abbigliamento che era riuscita a nascondere con il favore della notte né voleva fornire spiegazioni sulla sua gitarella in Vaticano.
    Aveva già faticato abbastanza per convincere Vito ad accompagnarla e mettersi a blaterale di misteriosi oggetti antichi non le avrebbe fatto acquisire punteggio.
    Guardandosi intorno dal piccolo rialzo roccioso su cui si trovava Sophia scavalcò una staccionata e si immerse nei bui vicoli, sfruttando le ombre per raggiungere inosservata la piazza.
    L’unico suono percepibile era l’acqua scrosciante della fontana.
    Sporgendosi Sophia vide un gruppetto di guardie armate fino ai denti.
    Si guardò intorno cercando di trovare un modo per aggirarle senza attirare l’attenzione: alla fiocca luce delle torce Sophia notò che la parte sinistra del ponte, oltre la quale stavano le guardie, era completamente nascosta alla loro vista.
    Con una smorfia rassegnata sul viso arretrò nei vicoli, allungando il percorso finché arrivò dalla parte opposta a dove si trovava in precedenza, sul lato sinistro.
    Assicurandosi di essere ben nascosta si issò su una ringhiera, che era stata posta per evitare che i passanti cadessero in acqua, e si calò lentamente dall’altra parte.
    Cercando di tenersi il più saldamente possibile, Sophia iniziò a muoversi aiutandosi con gli appigli che trovava.
    Percorse in orizzontale qualche metro, stando attenta a non guardare in basso dove l’attendeva un bel volo verso le fredde acque.
    Arrivata in prossimità del ponte si aggrappò alla balaustra con le mani e, posando i piedi su gli spazi liberi tra un decoro e l’altro, sbirciò cautamente le guardie sollevando la testa.
    Il gruppetto era concentrato ma pareva non aver sentito nulla di strano.
    Approfittando della zona d’ombra in cui si trovava, Sophia avanzò cautamente fino alla fine della ringhiera portandosi alle spalle delle guardie.
    Assicurandosi di non attirare l’attenzione si dette una spinta e scavalcò la ringhiera attraversando velocemente la parte finale del ponte e girando velocemente nell’ampia porta alla sua sinistra.
    Nel cortile interno, Sophia si nascose in un angolo buio per dar tregua al cuore che batteva impazzito e per guardarsi intorno.
    Alla fievole luce delle torce vide una guardia che si muoveva avanti e indietro.
    Alzando lo sguardo sulle mura, Sophia notò altre due sentinelle impegnate a scrutare l’esterno.
    Riportò la sua concentrazione sul fastidio più immediato.
    La guardia si aggirava annoiata e infreddolita per l’ampio cortile, ma non sembrava particolarmente attenta.
    Sophia si mosse cautamente per le zone buie fino ad aggirare l’uomo; si fermò ad aspettare che raggiungesse l’angolo buoi in cui si trovava.
    Quando la guardia fu così vicina da poterne sentire il respiro, Sophia le dette una decisa e forte botta in testa; la guardia crollò prima di avere il tempo di capire che stesse succedendo, ma fu velocemente acchiappata e stesa nell’angolo buio cha aveva protetto Sophia.
    Tastando il collo all’uomo, si accertò di non averlo ucciso poi, soddisfatta, si girò verso la traballante scaletta a pochi passi da lei.
    Attenta a non farsi vedere dalla guardia, cominciò a salire cautamente; in cima si nascose veloce dietro un muro.
    Con la coda dell’occhio la vide avvicinarsi; ad un soffio da lei, Sophia tramortì anche il secondo uomo e lo appoggiò al muro.
    Camminando svelta, percorse le alte mura vaticane dando uno fugace sguardo alla città addormentata che vedeva da quell’altezza.
    Agilmente, Sophia utilizzò una scala per salire su una torre; da lì riuscì a scendere nel cortile interno senza troppe difficoltà.
    Gettandosi verso l’angolo più buio, Sophia prese fiato e guardò in alto: una mostruosità circolare di mattoni le si parò di fronte.
    Se le mura mi sembravano insormontabili…, pensò amaramente tergendosi il sudore dalla fronte.
    Con circospezione si mosse alla sua sinistra, sfruttando ogni possibile nascondiglio per evitare i gruppetti delle guardie, che girovagavano a quell’ora infausta, e gli acuti occhi degli arcieri.
    Per ben tre volte fu costretta a gettarsi di lato o dietro voluminosi sacchi per evitare le guardie, ma finalmente riuscì a raggiungere le scale circolari che percorse frettolosamente.
    - Ehi, tu! Non ti muovere! –
    Sophia impallidì, ma si voltò velocemente estraendo la pistola; un arciere la teneva sotto tiro da qualche metro di altezza.
    Sophia sparò senza pensarci due volte e la guardia stramazzò all’indietro.
    Viva il silenziatore, pensò riprendendo a salire le scale.
    In cima l’aspettava una massiccia porta che Sophia aprì con due colpi di Glock; scivolò all’interno e accostò la porta alle sue spalle.



    *




    Alphonse Chevalier gemette piano quando una lancinante fitta alla testa lo riportò tra i vivi.
    Sollevando il capo dal duro legno che gli aveva fatto da cuscino si massaggiò le spalle intorpidite dalla scomoda posizione.
    Per un momento rimase imbambolato a fissare il vuoto chiedendosi il perché della sua presenza lì quando, in un susseguirsi d’immagini caotiche, si ricordò della sua tentata ubriacatura, della chiacchierata con una riluttante Sophia in fuga per l’ignoto e del dolore sordo che aveva sentito in un non ben definito momento.
    Gettando un’occhiata al cielo fuori dalla finestra, Chevalier si rese conto che la notte stava volgendo al termine e che Sophia l’aveva giocato per bene.
    Si alzò in piedi preoccupato e si diresse nello studio che usava la ragazza di umore nero; ravvivò il fuco con un attizzatoio, si versò due dita di Scotch proveniente dalla Scozia e si lasciò cadere a peso morto sul divano.
    Alphonse era furioso per la situazione: nonostante fosse un libertino impenitente si considerava un uomo d’onore e non poteva accettare che una ragazza, considerata ormai parte della famiglia a tutti gli effetti, se ne andasse in giro come pare e piaceva a lei.
    Non andava affatto bene.
    Un indistinto rumore al piano di sopra informò Chevalier che neanche suo zio aveva passato una nottata serena ma, d’altronde, fra solo poche ore l’accordo con il Banchiere sarebbe scaduto e suo zio era senza liquidi per pagare i suoi debiti.
    Camminavano sul filo del rasoio.
    Con una spinta rabbiosa Alphonse si alzò in piedi, prendendo a misurare la stanza a grandi passi.
    Mannaggia a mio zio, pensò in uno scatto di furia impotente, e mannaggia anche a quella sconsiderata di Sophia!





    *





    Sophia aveva perso il conto di quanti corridoi aveva girato, e non ne poteva più.
    Sapeva di essere riuscita a raggiungere una zona più abitata e meno raccapricciante dei sotterranei dall’arredo lussureggiante, ma le sue forze cominciavano a svanire, sostituite da stanchezza e impazienza.
    Svoltò rapida l’ennesimo angolo andando a urtare qualcosa di solido.
    - Cosa ca… -
    Senza pensarci un attimo girò i tacchi e si lanciò in una folle corsa; dietro di lei le guardie imprecarono e le corsero dietro.
    Sophia volò su per le scale di marmo gettandosi in un corridoio pieno di porte; ne aprì una a caso catapultandosi al suo interno.
    La stanza era nel disordine più totale, e una cosa del genere Sophia l’aveva vista in ben pochi posti.
    Con un sussulto di sconcerto l’unica presenza nella camera sollevò il capo da un oggetto tondeggiante e dorato.
    Sophia incontrò due occhi chiari che conosceva molto bene; non fece tuttavia in tempo a dire nulla: le guardie irruppero nella stanza e lei si trovò sbattuta al suolo e immobilizzata.
    Nel trambusto generale che ne seguì si ritrovò disarmata e privata del suo zaino.
    Ma, come di consueto, la sfortuna non vien mai tutta da sola, e sulla soglia si stagliò l’unica persona che Sophia voleva evitare come la peste.
    Cesare Borgia.




    *





    Leonardo da Vinci distolse lo sguardo da quel ragazzo bloccato a terra per concentrarsi sul suo attuale datore di lavoro.
    Cesare aveva lo sguardo irato di chi è stato disturbato in un momento poco adatto e fendette i presenti con un’occhiata di fuoco.
    Quando i suoi occhi si posarono sulla gracile figura del ragazzo catturato dalle guardie, Leonardo provò un moto di pena per il malcapitato.
    - Tutto questo trambusto, - iniziò Cesare furioso, - per un miserabile ragazzino! Voi dovrete essere i migliori uomini addestrati di Roma e un bastardo cencioso è riuscito ad introdursi qui dentro! –
    Via via che palava la sua voce si era alzata fino a diventare un vero e proprio grido.
    In quel momento a una guardia sfuggì di mano una delle pistole di Sophia che cadde a terra con un clangore metallico.
    L’attenzione generale si concentrò sull’oggetto.
    Cesare l’osservò un attimo e ringhiò alla guardia:
    - Dammelo –
    L’uomo raccolse l’arma e la porse a Cesare che l’osservò affascinato.
    Lo sguardo del Valentino viaggiò dal cumulo di armi che le guardie avevano accatastato su un tavolo lì vicino dopo averle tolte a Sophia allo zaino che uno degli uomini si rigirava tra le mani a disagio.
    Cesare glielo strappò con malagrazia e cominciò frugarci dentro sempre più stupito.
    Leonardo distolse l’attenzione dal Borgia per concentrarla sul giovane nella stanza che, in quel momento, stava osservando proprio lui.
    Leonardo si rese conto che lo sguardo del prigioniero era concentrato sul Frutto dell’Eden che teneva in mano; con un rapido gesto lo depose lontano da sguardi indiscreti.
    Fu allora che incontrò gli occhi del ragazzo.
    Il Maestro da Vinci si sentì venir meno: nonostante gli abiti maschili, il cappello calato in testa e una buona porzione di capelli scarmigliati sul volto avrebbe riconosciuto ovunque quel colore azzurro.
    Leonardo boccheggiò incrociando lo sguardo di Sophia fisso su di lui in un tacito e severo ammonimento.
    Deglutì sconvolto, cercando di mettere in moto il suo tanto decantato intelletto senza grandi risultati.
    Non sapeva che accidenti pensasse quella ragazza quando si era introdotta in quel covo di depravati, ma non poteva lasciarla lì.
    Anche se conciata com’era sembrava un maschio, Leonardo considerò che quell’inganno per gli occhi non sarebbe durato a lungo.
    La sua attenzione fu catturata da Cesare che frugava in quella strana sacca con l’espressione stupita di un bambino che riceve un nuovo balocco.
    I loro sguardi si incontrarono e Cesare gli rivolse un mezzo sorriso:
    - Maestro da Vinci, -iniziò porgendogli la sacca, - date un’occhiata qui. –
    Leonardo si accorse di avere le mani che tremavano leggermente mentre afferrava l’oggetto che il Valentino gli stava porgendo.
    Con cautela osservò il contenuto della borsa, stupendosi: all’interno il Maestro poté ammirare oggetti che avevano tutta l’aria di pistole, anche se decisamente diverse.
    Leonardo restò turbato dall’assortimento di armi che quella bizzarra sacca conteneva e lanciò uno sguardo di sottecchi a Sophia, chiedendosi se non avesse dovuto interrogarsi con più accanimento sulle qualità e stranezze di quella ragazza.
    Ma non aveva tempo per quelle sottigliezze: Cesare lo fissava come un lupo che ha appena fiutato la preda e Leonardo aveva bisogno di agire con cautela se voleva aiutare Sophia ad uscire da quel pasticcio.
    -Maestro da Vinci, queste sembrerebbero armi, - esordì Cesare con fare annoiato – e decisamente particolari. –
    - Sì, signore. –
    - E come mai io, Cesare Borgia, che posso vantare il più grande inventore di tutti i tempi non ne sono in possesso? –
    Mentre Cesare parlava il suo tono di voce subì un’impennata irosa che ordinava a Leonardo di capire come funzionavano e di costruirle per lui e il suo esercito.
    Con un gesto bellicoso Cesare si rivolse alle guardie:
    - Sbattetelo in cella, un paio di giorni senza cibo ne acqua dovrebbero sciogliergli la lingua, in caso contrario ci penserà la ruota.
    Leonardo stette ad osservare impotente mentre le guardie trasportavano via Sophia; Cesare uscì dalla stanza sbattendosi alle spalle la porta e il Maestro rimase a fissare il vuoto con ancora in mano la sacca di armi.
    Ripensando stupidamente a quello che era appena accaduto gli parve che gli occhi della ragazza avessero indugiato sul Frutto dell’Eden con un lampo di riconoscimento piuttosto che di meraviglia e curiosità.
    Leonardo mise le armi che avevano tolto a Sophia nella sacca insieme alle altre, sentendosi turbato per qualcosa che gli sfuggiva.
    Trascorse quello che restava della notte a meditare sull’accaduto, a cercare risposte ai suoi dubbi, a chiedersi il da farsi.
    Dopo ore passate sulla sedia su cui si era lasciato cadere, decise che per prima cosa doveva trovare il modo di farla scappare.
    Con un improvviso moto di risolutezza Leonardo aprì la porta e si diresse nei sotterranei convincendo le guardie poste a vigilare le celle che aveva il permesso di Cesare per parlare con il prigioniero.
    Si avvicinò cautamente alla prigione in cui si trovava Sophia: la ragazza era seduta a gambe incrociata per terra e presentava un labbro spaccato e un livido che si stava scurendo sul volto.
    Quando vide che le si stava avvicinando, lo osservò stupita e fece per parlare ma Leonardo la precedette.
    - Sssh, Sophia, non abbiamo molto tempo – le disse in un sussurro.
    - Oh, andiamo da qualche parte? – chiese ironica.
    Leonardo la guardò sconsolato: non perdeva mai quel suo lato pungente?
    Leonardo si chinò alla sua altezza, accostandosi alle sbarre.
    - Voglio aiutarti, Sophia, ma voglio sapere che diamine ci facevi qui! E soprattutto come sei riuscita a entrare – le bisbigliò in tono concitato e un poco indignato.
    Vide Sophia soppesarlo attentamente; poi, dopo un attimo di riflessione, gli rispose:
    - Per entrare sono passata per le mura usando le scale. E tramortendo qualche guardia – aggiunse rivolgendo un sorriso ironico a un Leonardo sempre più sbalordito.
    - Quanto a quello che faccio qui…beh…cercavo il Frutto dell’Eden – continuò candidamente.
    Sul volto di Leonardo passarono una vasta gamma di emozioni che parvero divertire Sophia; quel comportamento irresponsabile, unito alla confessione che gli aveva appena fatto, fecero ribollire il Maestro di rabbia, ma non ebbe il tempo di dire nulla perché Sophia lo afferrò per la camicia tirandolo verso le sbarre.
    - So che sei in collera con me e che brami avere delle risposte, ma tutto ciò che io non ho, è il tempo che mi occorrerebbe per spiegarti, - gli sussurrò all’orecchio – quindi, non lasciare che il mio zaino e le armi restino in mano a Cesare. Per i tuoi dubbi, dì a Doriano “Thorpe” e avrai la tua chiave. –
    Con quelle parole Sophia dette una forte spinta a Leonardo facendogli perdere l’equilibrio e lasciandolo sbalordito e confuso per l’ennesima volta.
    Poi, a voce alta, la sentì chiamare le guardie che accorsero di gran carriera.
    - Il Maestro da Vinci non ha più domande da fare, - disse impertinente – in compenso non gli guasterebbe un buon letto. –
    Leonardo la maledì in tutti i modi immaginabili, ma non potè far altro che uscire dalle prigioni per cercare un supporto più concreto di quanto lui aveva da offrire.




    *





    Alphonse Chevalier aveva un diavolo per capello.
    In senso letterale.
    Per il nervoso aveva passato talmente tante volte le mani tra i capelli che quelli gli si erano elettrizzati.
    La giornata stava ormai giungendo al termine e di Sophia nessuna traccia.
    Né di suo zio che era uscito, rientrato e riuscito; Chevalier si versò l’ennesimo bicchiere di vino, sconsolato e preoccupato.
    Proprio mentre si accingeva a buttar giù il liquido rosso, sentì provenire dall’ingresso dei rumori attutivi; mollò tutto quello che stava facendo e si precipitò sulle scale.
    All’ingresso, accolto dal maggiordomo, se ne stava suo zio, soddisfatto in maniera vergognosa mentre stringeva la mano guantata di un losco figuro incappucciato.
    Suo zio lo individuò facilmente e lo salutò allegro come un bambino, presentandogli il nuovo arrivato.
    - Nipote, vieni, vieni a conoscere il mio salvatore, colui che mi ha liberato dagli strozzini. Ezio Auditore. –
    Chevalier si costrinse a stringere la mano all’ospite anche se di quell’uomo non gliene fregava un accidenti.
    Suo zio non sembrava notare la leggera, seppur palpabile, tensione che si era creata, ma il visitatore, al contrario, era molto attento.
    - Senatore, - iniziò con voce profonda, - penso sia ora che mi congedi da voi. –
    Il Senatore agitò una mano in aria, infastidito da una simile eventualità.
    - Sciocchezze, - esclamò – dovete conoscere Carlo. E Sophia, dov’è Sophia? – chiese a voce alta Egidio stupito che quell’impertinente non fosse già là a rimbrottarlo.
    Chevalier ringhiò un concitato “Non è qui” che fece scoppiare la bolla del Senatore.
    - Cosa vuol dire “non è qui”? – domandò il Senatore.
    Alphonse lo guardò in cagnesco e sbottò:
    - Sarebbe a dire che è sparita da ieri notte e non è ancora tornata. –
    Egidio parve turbato dalla notizia.
    - Possibile? Che le sia capitato qualcosa? – iniziò preoccupato.
    Zio e nipote presero a discutere concitatamente fino a quando la profonda voce del loro ospite non li interruppe.
    -Mi occuperò io di cercare vostra nipote – affermò sicuro.
    Chevalier e il Senatore si guardarono a vicenda ed Egidio stava già per chiarire che Sophia non era sua parente quando il portone della Villa si spalancò lasciando entrare un trafelato Leonardo e un furioso Doriano.
    -O, Senatore, meno male che… Ezio! – esclamò Leonardo vedendolo.
    - Leonardo, mio vecchio amico – lo salutò Ezio.
    La situazione sta diventando ridicola, pensò Chevalier osservando gli astanti.
    I presenti presero a discutere tutti insieme confondendo le voci e le spiegazioni; la voce del Senatore sovrastò le altre ottenendo silenzio.
    - Si può sapere che accidenti succede? Maestro da Vinci? –
    Chiamato in causa, Leonardo riuscì a spiegare la sua presenza lì con un succinto “Ezio, grazie al cielo sei qui. Vai a salvare madonna Sophia a Castel Sant’Angelo.”
    Da parte sua, Chevalier era pronto a giurare che, sotto quel cappuccio, l’uomo avesse aggrottato le sopraciglia; infatti messer Auditore prese da parte Leonardo e i due intavolarono una breve ma fitta conversazione, con Leonardo che gesticolava ampiamente e l’ospite di suo zio che di tanto in tanto annuiva.
    Dopo pochi minuti Chevalier vide l’Auditore prendere celermente congedo e uscire rapido dalla porta.
    Il Senatore, che era rimasto a guardare spiazzato, si fece avanti bellicoso:
    - Maestro da Vinci, esigo delle spiegazioni! –
    - Le avrete Senatore, ma prima indicatemi la stanza di Sophia. Vi spiegherò strada facendo. –




    *





    Ezio Auditore parò l’affondo dell’ultima guardia e la trafisse con la lama celata.
    Si fermò un attimo a riprendere fiato solo per poi spiccare una veloce corsa e lanciarsi nel vuoto; afferrò saldamente un cornicione reggendosi e calibrando l’equilibrio.
    Con mosse veloci si arrampicò fino alla finestra che Leonardo aveva lasciato semichiusa per lui e l’attraversò; girando su sé stesso, si guardò intorno.
    La stanza doveva essere una sorta di laboratorio che Cesare aveva messo a disposizione di Leonardo: Ezio notò che il classico disordine che accompagnava Leonardo regnava sovrano, ma decise di lasciar perdere quelle considerazioni e darsi una mossa.
    L’amico gli aveva detto di recuperare dall’armadio una sacca, che lui aveva chiamato zaino descrivendola, e di portarsela appresso.
    Ezio spalancò le ante del mobile sull’angolo e recuperò il suo contenuto caricandoselo in spalla; il tragitto fino alle prigione fu relativamente tranquillo, con qualche guardia tramortita di tanto in tanto.
    Scendendo gli angusti scalini, Ezio si ritrovò nell’ormai famigliare ambiente delle prigioni e individuò con facilità la cella che Leonardo gli aveva indicato.
    Il trambusto che aveva causato mettendo al tappeto le guardie doveva aver messo in allarme l’ospite dei Borgia, dato che lo stava osservando circospetto.
    Ezio l’osservò incuriosito da sotto il cappuccio: se Leonardo non gli avesse detto che era una donna, l’avrebbe scambiata per un uomo.
    Quando Ezio aveva fatto la sua comparsa, l’aveva vista balzare in piedi allarmata e divaricare leggermente le gambe in posizione di difesa.
    L’assassino cominciò a pensare che Leonardo fosse stato un po’ troppo frettoloso nel dirgli che una giovane fanciulla vestita da uomo era tenuta prigioniera di Cesare.
    Aveva fatto pressione sul suo lato cavalleresco, il furbastro.
    La fanciulla in pericolo gli sembrava parecchio battagliara.
    Si avvicinò cautamente alle sbarre e aprì la porta con le chiavi che aveva sottratto alle guardie dopo averle tramortite.
    Ezio aveva appena spalancato la porta verso l’interno quando vide arrivare verso di lui il colpo.
    Lo parò agilmente, afferrando il braccio di Sophia e torcendolo leggermente, mentre la trascinava fuori dalla cella.
    Due occhi azzurri lo fulminarono e dovette mollare la presa e fare un balzo all’indietro per evitare la ginocchiata della ragazza.
    Ezio sogghignò leggermente osservandola mettersi in posizione d’attacco e valutarlo con attenzione: di solito le donne non cercavano di picchiarlo.
    Assumendo un portamento rilassato esclamò:
    - Madonna, non è gentile attaccare il vostro salvatore. –
    - Ah, sì? – lo sbeffeggiò una voce cristallina e squillante.
    - Per quanto ne so, - riprese, - voi potreste essere il mio boia. –
    Ezio sollevò le mani in segno di pace.
    - Ero con il Senatore Troche quando Leonardo è piombato alla Villa – spiegò quietamente.
    L’Assassino osservò la giovane fanciulla prendergli le misure da capo a piedi, forse chiedendosi se dicesse il vero; pochi minuti e la postura rigida della ragazza si rilassò leggermente.
    Guardandolo, gli disse:
    - Avete un’aria vagamente famigliare –
    - Se ci fossimo incontrati prima, madonna, me lo ricorderei. –
    - Non ne dubito – gli disse ironica.
    Le labbra di Ezio si incurvarono ma, sentendo dei rumori attutiti, decise che era ora di muoversi.
    - Seguitemi madon… -
    - Sophia – lo interruppe lei.
    - E rivorrei il mio zaino – aggiunse indicando la sacca che Ezio aveva lasciato a terra entrando nelle prigioni.
    - Sophia, allora – disse Ezio.
    La ragazza non parve prestargli attenzione perché aveva già raggiunto il suo zaino e ne aveva estratto delle bizzarre imbracature che aveva fissato al proprio busto, introducendo in due appositi spazi due oggetti che ricordarono vagamente a Ezio la sua pistola.
    Stupito di quel comportamento, disse:
    - Mi sembrate una persona cauta, eppure avete facilmente abbassato la guardia mettendovi a frugare in quella borsa. Non avete pensato che potessi aver mentito? –
    Senza degnarlo di uno sguardo, cosa che indispettì un poco l’Assassino, e avvitando uno stano tubo a ciò che Ezio aveva catalogato come arma, gli rispose:
    - Non ho abbassato la guardia, come voi dite, ma tra questi galantuomini il solo ad avermi riconosciuta è stato Leonardo. In più nessuno potrebbe associarmi al Senatore escluse due o tre persone: il fatto che voi lo abbiate citato e che conosciate il Maestro mi da un certo margine di sicurezza. –
    Una fredda mente logica, si disse Ezio.
    I suoni che Ezio aveva avvertito si fecero più distinti.
    - Affascinanti convenevoli, Sophia, ma ora avrei una certa premura – le disse dirigendosi verso la porta.
    Ezio sentì Sophia seguirlo e accostarsi dietro di lui in attesa, aspettando che controllasse i corridoi e le desse il via libera.
    L’Assassino la condusse per i grigi corridoi delle segrete, attento a ogni rumore.
    Svoltato l’ennesimo angolo furono attaccati da un gruppetto di guardie, mentre sentirono risuonare per tutto Castel Sant’Angelo le campane che davano l’allarme.
    Ezio si scagliò in avanti uccidendo due guardie, girandosi in fretta per proteggere Sophia; non fece in tempo a muovere un muscolo che le guardie si accasciarono ai suoi piedi, chiaramente morte.
    - Le avete uccise – esclamò.
    - Se le uccidete voi va bene e se mi difendo io no? – ribatté piccata.
    Ezio non perse tempo a risponderle, né si soffermò su come fossero morti i due uomini: le afferrò una mano e si lanciò in una corse forsennata lungo le scale.
    Nel tragitto atterrarono diverse guardie ed Ezio sentì Sophia sottrargli un pugnale e lanciarlo contro una guardia.
    - Esaurito le munizioni? – chiese affannato.
    - Non esattamente – gli rispose lei sudata, mentre rimetteva velocemente nel suo zaino l’oggetto che aveva tenuto con sé fino ad allora ed estraendone uno di forma ovale che tenne stretto in mano.
    Ripresero la fuga ed Ezio la condusse precipitosamente all’esterno: si ritrovarono sulle mura di guardia.
    Alle loro spalle sopragiunsero una decina di guardie armate, troppe per affrontarle da solo seppur con un discreto supporto.
    L’assassino spinse Sophia a correre verso una delle torri; si bloccarono senza poter andare oltre.
    - Magnifico, siamo fregati – sbottò Sophia.
    - Saltiamo – le disse Ezio osservando le guardie.
    Vide Sophia sbirciare di sotto e impallidire.
    - Siete pazzo! Quello che ci aspetta è solido suolo di pietra. –
    - Vi fidate di me? –
    - Neanche un po’ –
    Con quelle parole, Ezio la vide tirare uno strano gancio dall’oggetto ovale che scagliò verso le guardie.
    Quelle lo osservarono un attimo disorientate ma subito iniziarono ad attaccarli, chi con frecce, chi con le nuove pistole di Leonardo.
    Ezio approfittò di quell’istante per scagliarsi verso Sophia, trascinandola con sé nel vuoto.
    La strinse più forte contro di sé sentendo i proiettili che fischiavano intorno a loro; poi, un esplosione fortissima gli fece mancare per un attimo il respiro.
    Il volo finì ed Ezio e Sophia atterrarono nel cumolo di paglia che l’Assassino aveva notato prima di gettarsi nel vuoto.
    Stettero fermi un attimo a prendere fiato; muovendosi con cautela, Ezio uscì da nascondiglio trascinando Sophia.
    La sentì arpionargli gli avambracci e sostenersi a lui, tremando visibilmente; durante il volo il berretto le era sfuggito, liberando una massa di capelli scuri che le ricadevano in disordine lungo la schiena.
    Alla fioca luce notturna, Ezio le osservò il volto sporco di polvere apprezzandone il profilo: notò che fissava un punto indistinto della sua armatura, con l’espressione di chi sta per rimettere il pranzo di due giorni prima.
    Guardandola meglio, l’Assassino notò una chiazza di sangue che partiva dalla spalla sinistra.
    - Siete ferita, madonna. –
    - Sophia, e l’unica cosa che in questo momento sento è il mio stomaco. Anzi, credo di star per svenire.
    Una corrente di aria gelida investì Ezio e solo allora si accorse che il suo cappuccio si era abbassato nel salto, ma non pensò di sollevarlo, preoccupandosi piuttosto di sorreggere Sophia.
    La vide deglutire leggermente e sollevare piano la testa verso di lui, lo sguardo annebbiato.
    L’Assassino la osservò preoccupato sbarrare gli occhi, mentre due specchi azzurri scrutavano la sua faccia.
    Il poco colore del volto di Sophia scomparve ed Ezio, poco prima che lei perdesse i sensi, la sentì esalare scioccata:
    - Desmond! –




    *





    Monteriggioni, 2012 – Tre ore dopo –

    Desmond Miles balzò giù dall’Animus in preda ad un tic nervoso, smadonnando come un pazzo.
    Poche ore prima era andato a farsi un giro per il Borgo, aveva gironzolato un po’, e poi era tornato per la consueta sessione pomeridiana con l’Animus.
    Aveva seguito Ezio per tutta la missione in favore del Senatore Troche, ma quando Leonardo era piombato alla Villa, aveva avuto una strana sensazione che si era acuita man mano che l’antenato si introduceva nel covo nemico.
    E, quando aveva visto la prigioniera, i suoi processi mentali erano schizzati alle stelle; si era detto che era solo una coincidenza, che forse era una sua antenata uguale a lei in tutto e per tutto.
    Ma come spiegare le armi?
    Perché, se Ezio aveva solo vagamente intuito che erano pistole, lui aveva riconosciuto la Glock con silenziatore annesso, le imbracature e una stramaledettissima bomba a mano.
    Nel quindicesimo secolo.
    Aveva sentito Shaun, Lucy e Rebecca seguire tutto ciò che stava vivendo dagli schermi e trattenere il fiato e imprecare in coro a ogni passo di Ezio.
    E ora quel “Desmond” era sospeso su di lui come una spada di Damocle.
    I tre Assassini lo guardavano con gli occhi fuori dalle orbite, ma lui non poteva aiutarli.
    Perché non aveva risposte.
    Perché non sapeva spiegare che accidenti ci facesse lei nei suoi ricordi genetici.
    Ma che fosse dannato se non lo avesse scoperto.




    Note dell'Autrice
    Buonpomeriggio! Confesso che mi ero scordata di aggiornare ^^
    Bene, questa stesura, devo dire, è stata una delle più travagliate perchè ci ho impiegato settimane per decidere se mettere questo o quello; il problema fondamentale era l'incontro.
    Sostanzialmente era già avvenuto nello scorso capitolo, ma qui la musica era diversa. Posso dire di essere abbastanza soddisfatta di tutto ciò che ho inserito, compresa la bomba della parte finale - e non mi riferisco a quella lanciata da Sophia.
    Inoltre, questo è il capitolo che si ricollega al prologo, dovevo quindi seguire una certa dinamica XD
    Ora, ne approffitto per fare una po' di pubblicità alla spin-off di questa fic "When Mademoiselle speaks too much" che sostanzialmente propone un missing moment tra Chevalier, Salaì e Machiavelli^^
    Un bacio, alla prossima,
    Taide.



     
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