The Future in the Past

Assassin's Creed

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  1. Taide
     
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    Autrice: Taide
    Titolo: The Future in The Past
    Rating: Arancione/Rosso
    Genere: Avventura, Azione, Romantico
    Note: Non per stomaci delicati, Spoiler!, What if?
    Personaggi: Desmond Miles , Ezio Auditore, Leonardo da Vinci , Nuovo personaggio, Quasi tutti

    Introduzione/Presentazione: L'Abstergo Industries si è lasciata sfuggire Desmond Miles ma ha catturato qualcuno di altrettanto interessante. Nonostante l'Animus non riesca a leggerne le memorie genetiche, Warren Vidic è più che soddisfatto di come si stanno evolvendo gli eventi. Dopotutto i suoi scienziati sono andati ben oltre la semplice creazione dell'Animus.
    Dall'ottavo capitolo:
    - Suvvia, come potete tagliare i fondi a Carlotta? E a Francesca? E a… -
    Sophia lo fermò con un gesto della mano e ribatté:
    - Non avete il ben che minimo bisogno di una mantenuta, figuriamoci di tre! Già sperperate denaro in quel bordello rinomato in centro. Però, se proprio non potete privarvi delle grazie di queste fanciulle, allora dovremmo porre dei tagli alle vostre visitine alla Rosa in Fiore… - esclamò insinuante Sophia mentre si sedeva e intingeva una penna nel calamaio, come per riniziare a fare i conti basandosi su questa decisione.

    Ammetto che così abituata a leggere e fantasticare sui personaggi di Harry Potter e Vampiri non mi sarei mai aspettata di scrivere una storia su Assassin's Creed.
    Tuttavia il materiale è vasto, le possibilità di spaziare senza incappare in qualcosa di già usato molteplici e la fantasia a disposizione non manca quindi...beh mi butto.
    La storia è scritta in modo tale che anche chi non conosce il gioco capisca ciò che succede.
    Pareri positivi e negativiso sempre ben accetti :)
    Con questo vi saluto e vi auguro buona lettura.



    The Future in the Past

    Prologo

    La mela era là, a due passi da lei, irraggiungibile. Quei due templari la bloccavano a terra e Cesare frugava incuriosito nel suo zaino.
    Da Vinci, pallido in volto, teneva in mano il frutto che doveva studiare.
    Era tutto un gran casino. Lei non avrebbe dovuto trovarsi lì, nel sedicesimo secolo.
    Non in carne e ossa almeno.


    Capitolo 1 – Signals –

    Abstergo Industries, 2012

    Warren Vidic era soddisfatto.
    Dopo la fuga del soggetto 17 non era più riuscito a dormire come si deve.
    Ma ora le cose stavano migliorando, decisamente migliorando.
    I suoi scienziati avevano ideato una macchina straordinaria, ancor più dell’Animus, e lui era del tutto intenzionato a sfruttarla per vincere.
    Percorse frettolosamente i corridoi asettici e bianchi dell’edificio giungendo a una porta ermeticamente chiusa. Inserì rapido i codici di accesso, mostrò l’iride all’apposito impianto d’identificazione ed entrò all’interno della stanza.
    Si trattava del medesimo laboratorio in cui si erano tenute le sedute del soggetto 17.
    Questa volta, però, aveva scelto collaboratori templari sicuri, nessuna signorina Stilman a mandargli a monte i piani.
    I due templari destinati erano vicini all’Animus, monitorando le funzioni vitali del loro ultimo acquisto.
    Vidic si avvicinò a loro compiaciuto:
    - Come sta la nostra chiave di volta? – chiese analizzano i dati di una cartella che gli porse Weil.
    - Non riusciamo ancora ad accedere ai suoi ricordi genetici, – gli rispose Ryle – sembra che ci sia una qualche anomalia incomprensibile che l’Animus non riesce a risolvere. Tuttavia abbiamo scoperto che i suoi dati genetici sono in un qualche modo legati a quelli del soggetto 17, guardi un po’ qui – continuò Ryle indicando il monitor.
    Weil si avvicinò e digitò alcune cifre.
    Lo schermo mostrò due sequenze genetiche.
    Vidic osservò interessato che alcune parti del DNA del soggetto 17 erano perfettamente uguali a quelle del loro nuovo ospite.
    - Molto bene, signori. Iniziate pure la sequenza e trovate un ricordo accessibile da farle vivere. Partendo da li, riusciremo a risolvere qualsivoglia rigetto dell’Animus – esclamò professionale.
    Poi, chinandosi sull’orecchio del corpo che giaceva nell’Animus, sussurrò – A quanto pare, signorina Thorpe, lei è la mia nuova gallina dalle uova d’oro.


    *



    Monteriggioni, 2012

    Desmond Miles uscì dall’Animus tutto indolenzito.
    Erano arrivati a Monteriggioni da soli tre giorni, ma stava già sclerando.
    Le sessioni con l’Animus gli stavano dando problemi, non per causa dell’effetto osmosi ma per via di alcuni ricordi regressi che gli impedivano di vivere le vicende di Ezio.
    Dall’arrivo dell’antenato a Roma i ricordi cominciavano a fare i capricci e non si riusciva a riviverli.
    L’Animus, semplicemente, lo rigettava, o magari era il suo DNA a rigettare l’Animus ma, al diavolo, era esausto!
    Desmond si guardò intorno: Lucy, Rebecca e Shaun erano chini su un monitor e battibeccavano tra di loro.
    - Ehi, ragazzi! Trovato niente?- domandò massaggiandosi il collo mentre si avvicinava.
    - Ma certo, caro. E’ per questo che siamo così rilassati e ci stiamo prendendo una meritata pausa. Pasticcini, vuoi, no? – sbottò acido Shaun.
    - Okaaaay, ancora nulla – riassunse Desmond, sorvolando sul sarcasmo del compagno.
    - Ignora Shaun, Desmond – esclamò Rebecca nel tanto che armeggiava con i computer – è solo frustrato –
    - Frustrato a chi, donna-non-dormo-senza-ipod? – incominciò a ribattere Shaun.
    - Basta, tutti quanti! – intervenne Lucy cercando di rasserenare gli animi.
    - Desmond, – gli disse – sembra che a un certo punto il tuo DNA rigetti l’azione dell’Animus e ciò ci impedisce di accedere ai ricordi di Ezio. Stiamo cercando di trovare una soluzione, per il momento prenditi una pausa. –
    Desmond annuì dirigendosi verso l’uscita, infilandosi l’orologio e l’auricolare che aveva posato sul tavolo lì vicino.
    Percorse pensieroso le scale erose dal tempo e si ritrovò nello studio della Villa, o meglio, ciò che ne rimaneva.
    Gli sembrava ieri quando andava a chiedere a Claudia come...no! Un attimo. Non era lui. Quello era Ezio.
    Si passò due dita sulla radice del naso e uscì nell’aria fresca della sera.
    Doveva calmarsi e smettere di pensare a se stesso come Ezio.
    Dannato effetto osmosi, gli mancava solo di vedere Altaïr ed Ezio in contemporanea e aveva fatto trentuno!
    Si ritrovò a vagare nel cortile posteriore della Villa, paragonando ciò che vedeva in quel momento con ciò che aveva visto nell’Animus.
    Il dolore di Ezio lo invase: se si fosse concentrato avrebbe potuto sentire le grida e il frastuono dei cannoni di cinquecento anni prima.
    Desmond trasse un profondo respiro, prese la rincorsa e attaccò il muro scalandolo rapidamente.
    Mentre saliva si rese conto che ormai non si stupiva neanche più dei suoi rapidissimi progressi.
    Arrivò in cima al primo tetto e si apprestò a scalare un altro muro.
    Il panorama dalla cima della Villa era spettacolare, la notte serena era rischiarata dalla luce lunare che illuminava i dintorni.
    Desmond vagò pensieroso sul tetto, evitando i punti in cui ormai le tegole e il legno stavano per cedere.
    Assorto nei suoi pensieri, fu riportato alla realtà da Ezio.
    Beh, da un’immagine evanescente di Ezio.
    - Grandioso, – borbottò, alzandosi dal punto in cui si era seduto – effetto osmosi a ore dodici.–
    Sebbene odiasse quando accadeva, perché restava debilitato a lungo, Desmond non poteva negare a se stesso di aspettare – talvolta – con trepidazione quei momenti.
    Non poteva negare di voler sapere ogni cosa del Maestro Assassino e della sua vita.
    Si affrettò a seguire Ezio giù per la Villa.
    Atterrò morbidamente al suolo e tampinò il suo esimio antenato verso il lato sinistro dell’abitazione.
    Lo vide forzare un passaggio bloccato dalle travi e entrare.
    Si avvicinò al punto in cui era sparita la figura.
    Non ebbe bisogno di far leva nel passaggio dato che l’apertura era rimasta invariata dopo il transito di Ezio cinquecento anni prima.
    Sgattaiolò dentro e il buio l’avvolse: ringraziò mentalmente Lucy per avergli ricordato di portare con sé la lightstick.
    L’accese e si guardò intorno.
    Si trovava nell’armeria, o quel che ne era rimasto.
    L’ambiente era umido e l’odore di muffa e chiuso regnava sovrano.
    Osservando attentamente, Desmond notò che l’entrata dell’armeria era crollata sotto i bombardamenti, così come il soffitto.
    Con la coda dell’occhio intravide il fantasma di Ezio scalare un alto passaggio, formatosi col crollo delle pareti.
    Senza rendersene conto si trovò a inseguire l’avo e a saltare da una trave all’altra.
    Con un balzo si aggrappò a un lampadario miracolosamente integro, oscillò un poco e atterrò rovinosamente per terra.
    Forse era il caso di non fare troppo affidamento sulle sue nuove ipotetiche abilità.
    Desmond si alzò dolorante e osservò dov’era finito: ad occhio e croce avrebbe potuto giurare di trovarsi al secondo piano, tuttavia l’ambiente era completamente devastato.
    Non contando il pavimento, che era distrutto e praticamente inesistente, tranne che per alcune travi, ciò che lo circondava aveva decisamente bisogno di una architetto, e di uno bravo per di più.
    I muri, che un tempo erano stati abbelliti dai quadri di molti grandi artisti, erano sgretolati e ricoperti di edera e polvere; il soffitto presentava voragini occasionali che lasciavano filtrare la luce della luna; il tutto unito dall’odore di chiuso e zolfo dei cannoni che, nonostante il tempo passato, continuava a permeare l’ambiente.
    Desmond finì la sua analisi e si avvicinò a una delle travi, saggiandone la resistenza con il piede e, dopo aver deciso che poteva reggere il suo peso, cominciò ad attraversare l’abisso che lo separava dal suolo, un passo dopo l’altro.
    Arrivato in un piccolo affranto di pavimento rimasto miracolosamente in piedi, Desmond si rese conto di non sapere dove andare o dove fosse finito Ezio.
    Ispezionò lo spazio ristretto in cui si trovava e decise che sarebbe stato più sicuro proseguire piuttosto che aspettare che un mattone lo centrasse in pieno.
    Si aggrappò a una feritoia, arrampicandosi fino a una crepa abbastanza larga per lasciarsi scivolare al suo interno.
    - Miles, dove diavolo ti sei cacciato? –
    Desmond trasalì per lo spavento: si era dimenticato dell’auricolare.
    - Sono ai piani superiori della Villa – rispose a Rebecca.
    - Si può sapere che ci fai dentro la Villa, una caccia al tesoro? - chiese acido Shaun.
    Desmond alzò gli occhi al cielo ma rispose comunque:
    - Seguo Ezio che... – non poté completare la frase che fu di nuovo interrotto, questa volta da Lucy:
    - Desmond, lo so che è difficile, ma cerca di ricordarti che quello che vedi è un prodotto della tua mente. Ezio non si trova davvero lì, quindi smetti di seguirlo e torna giù, forse l’Animus è apposto. – gli disse in fretta.
    - E sta’ attento ai templari, – aggiunse Rebecca – è probabile che siano sparsi in tutto il paese.
    A malincuore, Desmond assicurò che li avrebbe raggiunti al più presto.
    Interruppe la conversazione; stava già preparandosi a scendere quando Ezio gli passò accanto camminando piano.
    Desmond guardò prima lui, poi l’uscita, infine di nuovo lui.
    Al diavolo tutti, era arrivato fin lì e avrebbe continuato a seguire Ezio, se lo vedeva, una spiegazione doveva esserci, no?
    Gli andò dietro entrando nella vecchia stanza dell’Assassino.
    Ezio si stava avvicinando a un qualcosa che Desmond non distinse in principio ma, guardando meglio, gli parve di riconoscere una figura rannicchiata su sé stessa.
    Il suo antenato le si accostò e Desmond gli vide in volto, per un solo attimo, un miscuglio di emozioni contrastanti.
    La figura lì vicino si mosse e Desmond poté riconoscere un volto femminile.
    Ezio lasciò scivolare il cappuccio sulle spalle e passò delicatamente due dita sugli zigomi rosei della ragazza.
    Desmond si stupì, era abituato a vivere un Ezio donnaiolo e affascinante, non così...beh, così non Ezio.
    Quelli che dicono che la curiosità è donna, non hanno avuto il piacere e la sfortuna d’incontrare quella non tanto rara razza di uomo pettegolo e ficcanaso.
    Ma, a quanto pare, in quel momento Desmond sembrava posseduto proprio da questa specie, tanto che, nella fretta di vedere meglio la fanciulla, si slanciò in avanti, andando a inciampare in una delle pietre sparse sul pavimento.
    L’impatto tra la sua testa e un tavolo sbilenco fu inevitabile: il buio l’avvolse prima che potesse distinguere il volto della ragazza.
    Decisamente non era il caso di fare troppo affidamento sulle abilità apprese da Ezio!


    Note dell'Autrice
    Ebbene, eccoci qua.
    Questo è uno dei capitoli che, tra tutti quelli che ho scritto, mi ha più divertito mettere su Word.
    Perchè? Beh, adoro vedere Desmond in difficoltà e dare voce a uno dei personaggi più acidi e intelligenti della saga! Il caro Shaun...
    Questo, come si nota, è più un capitolo di presentazione dei fatti e di una minima parte dei personaggi.
    Per chi conosce il gioco - forse sono leggermente più speranzosa nei pochi ragazzi che abbiamo - la storia parte dall'inizio di Brotherhood e da lì si dipana in modo simili ma parallelo.
    Spero che non ci siano errori di grammatica - mi fa penare ricorreggere un capitolo - e che l'esposizione non sia mostruosa :)
     
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  2. Irene:-)
     
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    Grande Taide,lo hai scritto proprio bene!! Sembra preso direttamente da un libro,come se l'avesse scritto un professionista! Si vede che hai fatto il classico!! E anche se non conosco la storia sono riuscita a capire. Complimenti!!!!!!
     
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  3. Taide
     
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    Grazie Ire *me arrossisce*
    Effettivamente sono un po' fissata con l'esposizione e la grammatica e cado nello sconforto quando devo leggere o correggere storie scritte con i piedi :P
    Mi fa piacere che la storia si capisca :wub:
     
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  4. Taide
     
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    Capitolo 2 – Subject 18–

    Abstergo Industries, 2012

    Sophia Thorpe1 si risvegliò in una stanza completamente bianca.
    Non sapeva più quanto tempo era passato da quando gli uomini di Vidic l’avevano catturata, né quante ore era stata costretta a stare nell’Animus.
    Tutto sommato, però, gli scienziati dell’Abstergo non stava facendo grandi progressi dato che l’Animus rigettava le sue memorie genetiche, lasciando frustrati loro e spossata lei.
    Cercò di mettere a fuoco la stanza: si trovava nel letto in cui erano passati tutti i prigionieri prima di lei.
    Guardandosi intorno vide le solite pareti che ormai conosceva a menadito, con tutto quel bianco che la infastidiva.
    Doveva aver perso conoscenza nell’Animus perché non si ricordava affatto di essere giunta in camera, probabilmente Ryle l’aveva trasportata lì dopo che era svenuta.
    La porta scorrevole si mosse ed entrò quella buon’anima di Vidic.
    - Signorina Thorpe, vedo che si è ripresa – le disse.
    - Non certo grazie a lei Doc. – gli rispose pungente.
    - Suvvia, signorina Thorpe, dovrebbe essere orgogliosa di contribuire alla nostra vittoria – riabbatté Vidic con espressione soddisfatta.
    - Non mi sembra che lei stia facendo grandi progressi con me, Warren caro, - disse soavemente Sophia – quel vostro bel giocattolino non riesce a leggermi. –
    Sophia vide con estrema soddisfazione la faccia di Vidic passare dal roseo normale a un paonazzo-mi-hai-fatto-incazzare.
    - Non dubiti, signorina Thorpe, la terremo nell’Animus fino ad averle carpito ogni singola informazione utile – sbottò mentre usciva dalla stanza.
    - E non mi chiami Warren!-
    - Come vuoi tu, Warren! – cantilenò Sophia, consapevole che si sarebbe infuriato ancora di più.
    Infatti lo sentì borbottare un “ragazza insolente” mentre la porta si richiudeva e scattava la spia rossa nel pannello vicino alla porta, per ricordarle che la sua era solo una magra rivincita e che lei era chiusa dentro.
    Sophia sospirò profondamente.
    Doveva trovare il modo di uscire di lì.
    Tentò di mettersi seduta ma una fitta alla testa la costrinse a lasciarsi ricadere sui cuscini.
    Tutta quella storia era pazzesca.
    Solo poco tempo prima si trovava a Istanbul per accompagnare suo padre in una delle sue solite spedizioni.
    Un suo vecchio amico aveva richiesto i suoi servigi, allettandolo con un carteggio molto antico, e lei si era ritrovata sul primo aereo disponibile per la Turchia.

    L’aeroporto di Atatürk era affollato dall’andirivieni continuo della calca costante di uomini: una comitiva di turisti Asiatici illuminava i corridoi dell’accettazione con i continui flash delle loro digitali, come se dei cartelloni scritti in una lingua a loro ignota dovessero essere immortalati; gli abitanti del luogo sfoggiavano ampie vesti che richiamavano i caldi colori locali con un tripudio di tinte bianche, ocra, tabacco e blu; non mancavano, naturalmente, le celebrità lì in vacanza circondate da guardie del corpo in abito scuro, auricolare all’orecchio e immancabile occhiale avvolgente.
    Sophia si guardò intorno alla ricerca del loro ospite, tenendo per un gomito il padre sepolto in un taccuino consunto.
    Incominciò a trascinare genitore e bagagli verso l’uscita, ma la sua attenzione fu attirata da un ometto tutto vestito di lino bianco, con un capello di paglia calato sulla faccia rubiconda, un bastone a sorreggere la sua prosperosa mole e una mano che si agitava per aria salutando proprio loro.
    Corrucciando appena il labbro, richiamò l’attenzione del padre sussurrandogli:
    - Padre, dimmi che non è lui il tuo vecchio amico. –
    Alan Thorpe sollevò lo sguardo dai suoi appunti e guardò nella direzione indicatagli dalla figlia.
    Sulle sue labbra spuntò un aperto sorriso e si diresse a salutare il vecchio amico di college, abbracciandolo calorosamente.
    - Akbar, amico mio – esclamò Alan
    - Thorpe, vecchio rudere! Non sei cambiato di un giorno! – gli rispose Akbar ricambiando l’abbraccio.
    Sophia osservò suo padre staccarsi dal vecchio amico e rivolgersi a lei:
    - Sue, questo è Akbar Abd-el-Kadir2 – le disse facendo le presentazioni.
    Akbar le rivolse un sorriso smagliante e, con perfetta galanteria inglese, le baciò delicatamente la mano.
    - Incantato, Miss Thorpe – le disse.
    Sophia sorrise a quel bizzarro ometto che, svolta l’incombenza dei saluti, li guidò verso la limousine in attesa.
    Nonostante l’aspetto bizzarro, Akbar si rivelò un uomo di pregevole cultura che intrattenne lei e suo padre con una conversazione gradevole e spigliata.
    Illustrò le meraviglie da non perdere a Istanbul, i piatti locali da assaggiare, i bar più ricercati del momento.
    Sophia ascoltò il tutto con interesse, esibendosi in qualche consolidata esclamazione di
    “magnifico” “oh” e “straordinario” nelle rare pause che servirono a Akbar per riprendere fiato.
    La limousine scorreva fluida e rapida nel traffico cittadino, conducendo il suo carico verso strade più ampie e meno accalcate di macchine,
    Sophia guardò affascinata fuori dal finestrino: si stavano dirigendo nella zona residenziale, caratterizzata da ampie distese verdeggianti e da ville con architetture che sembravano uscite da
    “Le Mille e una Notte”.
    La loro macchina si fermò di fronte a un cancello automatico che si aprì dopo l’inserimento del codice apposito.
    Attirata da un movimento di fronte a lei, Sophia vide Akbar picchiare sul vetro che li separava dall’autista e bisbigliargli qualche parola in turco.
    Il loro ospite si rivolse a loro sorridendo e disse:
    - Venite, miei cari, non potete non vedere le meraviglie del mio giardino! Sarebbe un peccato arrivare alla villa in macchina senza sfruttare queste magnifiche giornate di sole. –
    Sophia non ebbe neanche il tempo di reagire che si ritrovò a vagare tra le ricche varietà di piante del giardino, ascoltando Akbar improvvisarsi novello Cicerone e raccontare qualità e storia di ogni specie floreale che vedevano.
    Suo padre annuiva docilmente, con un leggero sorriso sul volto, probabilmente abituato all’esuberanza e alle chiacchiere del compagno di gioventù.
    Il Giardino, che dir si voglia, meritava davvero: oltre a una svariata qualità di fiori perfettamente curati, Sophia poté notare piante che generalmente non si sarebbero collocate all’entrata di una villa.
    Grandi arbusti di Angelica si innalzavano dal suolo verso il sole; il profumo della lavanda selvatica permeava l’ambiente; gli alberi di Tiglio creavano un corridoio naturale lungo il sentiero per la villa e cespugli di Timo spuntavano alla loro ombra.
    Sophia si chinò per osservare meravigliata i rigogliosi peperoncini che spuntavano poco distanti, con il loro bel rosso acceso.
    - Molte di questo sono piante usate in cucina – le spiegò Akbar.
    - Non siete il tipo da semplici rose, eh? – ribatté Sophia.
    Suo padre sorrise e continuò per il vecchio amico:
    - Akbar trova che si possa unire l’utile al bello. –
    - Giusto, vecchio mio! Tutte queste piante hanno colori e presenza straordinari ma sono anche ottime per arricchire la cena. Ma guardate queste, Miss Thorpe, non sono una meraviglia? – le chiese l’ometto indicandole un gruppo di piante dai vividi colori.
    - Sono delle Droseraceae! – esclamò poco dopo.
    Akbar sorrise compiaciuto.
    - Magnifiche
    piante carnivore, non trova? Allettano gli insetti con il loro profumo e colore per poi intrappolarli con le numerose gocce collose che secernono. –
    - Sono magnifiche – gli rispose lentamente.
    - Ma suvvia! Affrettiamoci! La mia cuoca ha sicuramente preparato un pranzo magnifico – riprese Akbar con rinnovata energia, trascinando Sophia e Alan Thorpe verso l’abitazione.

    *



    Il pranzo era davvero stato eccezionale e, poche ore dopo, Alan Thorpe sedeva nello studio privato del suo amico a discorrere di affari.
    Akbar lo aveva contattato dicendogli di aver trovato un antico codice custodito in un’altrettanto antica biblioteca.
    Poiché il carteggio rientrava nella sfera di competenza di Thorpe per il periodo storico a cui apparteneva e di cui Thorpe era uno dei più stimati studiosi del mondo, Akbar lo aveva pregato di recarsi a Istanbul il più velocemente possibile.
    Il ritrovato in questione era un antico codice risalente al periodo delle Crociate, entrato nel corso dei secoli in possesso di ricchi orientali e pervenuto fino a loro.
    Thorpe guardò il vecchio amico frugare nella massiccia scrivania ed estrarre una scatola di pregiati sigari che gli porse insieme a un bicchiere di Whisky invecchiato.
    - Se mi vedesse mia figlia, scomoderebbe tutti gli dèi a furia di sgridarmi – esclamò Thorpe accettando i sigari.
    - Problemi col fumo? – chiese Akbar divertito.
    - Si preoccupa per la mia salute – spiegò imbarazzato ripensando a tutte le volte che Sue l’aveva sgridato per la sua trascuratezza.
    Generalmente non era distratto ma, se stava dietro a un lavoro, si scordava delle funzione basilari del suo corpo, come mangiare e dormire.
    - Dunque, cosa hai rinvenuto? Al telefono non mi hai fornito dati esaurienti. –
    - Un antico codice, probabilmente da decifrare, conservato benissimo. Ho pensato che poteva interessarti dato che risaliva all’unico periodo storico che abbia davvero attratta la tua attenzione. – rispose spigliato Akbar accendendo il sigaro.
    - E cosa ti fa pensare che sia davvero un qualcosa degno della mia attenzione? –
    - Un riferimento a Maria Thorpe –
    Alan si irrigidì e osservò con più attenzione Akbar.
    L’altro ghignò nella sua direzione.
    - E’ da quando eravamo giovani che sei ossessionato da lei. Hai trascorso la tua esistenza a cercare di svelare il mistero della sua sparizione. Ho dato un’occhiata al documento e l’unica cosa che sono riuscito a tradurre è stato il suo nome. –
    Thorpe fece un rapido cenno di assenso, scrutando con gli occhi chiari l’amico.
    - Dove sarebbe esattamente questo codice? – chiese.
    - Nella Biblioteca di Ahmet III. –


    *



    Sophia Thorpe era entusiasta.
    Il Palazzo Topkapi era famoso per essere uno dei più grandi castelli dell’età ottomana adibiti a museo.
    Era una meraviglia architettonica, in puro stile orientale: il palazzo era immerso in un verde lussureggiante; tre giardini interni dividevano le varie aree del posto indirizzando i turisti nei luoghi di maggior attrazione.
    Alan Thorpe l’aveva raggiunta nel pomeriggio e informata che avrebbero avuto un accesso speciale alla biblioteca.
    Ah, i vantaggi di aver una laurea in archeologia e storia antica, aveva pensato Sophia.
    Nell’afoso pomeriggio di quel mercoledì si era ritrovata in macchina con il loro chiacchiericcio ospite che aveva, di nuovo, rivestito i panni della guida turistica.
    Ora Sophia guardava tutt’intorno, affascinata dai vividi colori del Palazzo.
    Purtroppo per lei, non avrebbe seguito il solito iter turistico saltando a piè pari la visita all’ Harem del sultano, alla Sala del Trono, alle Cucine e alla Sala del Tesoro.
    Akbar li guidò entusiasta fino alla Biblioteca, dove mostrò dei lasciapassare al controllore di guardia.
    La Biblioteca, un edificio a sé stante dal Palazzo, era quel giorno gremita di visitatori, ma Akbar si diresse senza problemi tra la calca, imboccando un corridoio deserto ed entrando in una stanza quadrata.
    - Non è magnifica? – chiese Akabar a Alan, mentre con un ampio gesto indicava il luogo circostante.
    Lo era davvero: tutto intorno alle pareti vi erano vetrine incassate nei muri stessi e piccoli divani ribassati disegnavano il perimetro della stanza.
    Il soffitto era un cupola a vetri finemente decorata che lasciva filtrare la luce, illuminando l’ambiente di un chiarore d’orato.
    - Davvero, amico mio. –
    Thorpe non aveva distolto lo sguardo mentre rispondeva.
    Sophia lo guardò rassegnata: si era risvegliato il suo animo da studioso avventuriero ed era partito per la tangente.
    - Allora, Mr. Akbar – si rivolse all’omino – dov’è questo documento? –
    Akbar si diresse sicuro a una vetrina, estrasse dalla borsa di pelle che si era portato appresso un paio di guanti di plastica e, infilati, l’aprì.
    Con delicatezza, prese un foglio papiraceo ingiallito dal tempo ma in ottimo stato conservativo.
    Lo porse ad Alan che aveva a sua volta indossato dei guanti.
    Sophia gli si accostò per osservare più da vicino.
    I segni sulla pergamena erano indubbiamente in arabo antico ma disposti in modo insolito.
    - Bizzarro, non è vero? Disposti in questo modo i segni non vogliono dir nulla - spiegò sempre più contento Akbar.
    - Serve una chiave di lettura!– esclamò Sophia mentre suo padre annuiva.
    Come Sophia aveva intuito, lei e suo padre passarono l’intero pomeriggio a decifrare il documento aiutati ogni tanto da Akbar che seguiva interessato il loro lavoro.
    - Miss Thorpe, una ragazza così giovane che conosce una lingua più che morta come questa, – le disse scherzoso Akbar – non sarebbe meglio uscire a divertirsi con i propri coetanei? –
    - Non si preoccupi per la mia vita sociale, Mr. Akbar, la conoscenza di lingue antiche non la influenza affatto – ribatté pronta Sophia.
    Akbar annuì; quando,ore di lavoro dopo, il suo cellulare squillò, si scusò con loro per uscire a rispondere.
    - Ecco, - esclamò Alan, - così dovrebbe andare. –
    Sophia e suo padre si erano accomodati sui bassi divanetti della Biblioteca e avevano passato le ultime ore a individuare il segno che avrebbe permesso loro di decifrare la pergamena.
    Così, con le teste scure chine sul documento, era calata la sera quando avevano trovato la soluzione.
    - Dunque, se teniamo in considerazione ogni seconda lettera di tutte le parole... – borbottò Alan.
    - Dall’altro lato, padre –
    - Sì, cara. –
    Soddisfatti, osservarono il taccuino su cui Sophia aveva riportato la soluzione.


    Maria fu uccisa a causa della Mela, un taglio alla gola la strappò alla vita;
    Sef fu assassinato su commissione e Malik fu accusato e ucciso per questo.
    Mio padre non si da pace.
    Darim Ibn-La'Ahad




    - Un altro enigma, padre – sussurrò Sophia esasperata.
    - E’ una grande scoperta, invece. –
    - Solo per voi – ribatté.
    Thorpe scosse leggermente la testa e si alzò seguito dalla figlia.
    - Usciamo di qui e andiamo a vedere dove si è cacciato Akbar - le disse mentre si dirigeva alla porta.
    Trovarono Akbar all’esterno, che andava avanti e indietro.
    - Akbar, una grande indizio, davvero! – gli disse Alan compiaciuto agitando il taccuino per aria.
    L’uomo guardo verso di loro.
    La sua espressione non aveva più nulla di gioviale: il volto era tirato, pallido, e i piccoli occhi scuri saettavano da Sophia al vecchio amico.
    - Padre – sussurrò Sophia trattenendolo leggermente.
    I suoi sensi da guai-in-vista, affinati dopo anni passati a cercare antichità con il genitore, le stavano urlano di fare attenzione.
    Sfortunatamente suo padre non aveva notato nulla.
    - E’ una cosa meravigliosa, Akbar – ribadì Alan.
    - Mai quanto avervi qui con noi, signor Thorpe. –
    Sophia si girò di scatto verso la voce.
    Un uomo sobriamente vestito, con al seguito un gruppo di uomini che avevano l’aria di essere sbucati fuori da un campo di addestramento, si fece leggermente avanti.
    Alan Thorpe divenne guardingo e cominciò a far saettare lo sguardo da Akbar al nuovo venuto.
    Sophia affiancò il padre e chiese:
    - Con chi abbiamo il piacere di avere a che fare? –
    - Warren Vidic, signorina Thorpe – rispose lui.
    Sophia vide suo padre irrigidirsi e spostare leggermente la mano sotto la giacca in cui sapeva esserci la Colt 45.3
    - Non lo farei se fossi in lei, signor Thorpe, - disse lentamente Vidic, - non vogliamo di certo che la sua giovane figlia si ritrovi con un foro in fronte? –
    Thorpe rilassò la mano e si portò leggermente avanti a Sophia.
    - Vedo che ci siamo capiti , signor Thorpe. Adesso, sia gentile, porga il taccuino al nostro Akbar. –
    Alan eseguì in silenzio muovendosi lentamente, fino a trovarsi di fronte ad Akbar.
    Il sole era del tutto tramontato e cominciavano a scendere ombre scure sugli alberi.
    Sophia vide suo padre passare il taccuino ad Akbar.
    Poi, per un secondo, la mano di Akbar brillò.
    Un colpo secco risuonò nel giardino e suo padre si accasciò su se stesso.
    - No! –
    Sophia si precipitò su Alan che si premeva una mano al fianco, un lago di sangue che si allargava sotto di loro.
    - Lurido bastardo!
    Suo padre le fece un debole cenno di tacere e si rivolse ad Akbar.
    - Perché? – sussurrò debolmente-
    - Sei sempre stato migliore di me in tutto , ma questi signori mi hanno promesso fama, ricchezza e la possibilità di toglierti di mezzo – spiegò Akbar.
    Poi, rivolgendosi a Sophia disse:
    - Si ricorda, Miss Thorpe, le mie Droseraceae? Beh, io vi ho attirato qui esattamente come fanno quelle magnifiche piante con gli insetti. Conoscevo la debolezza di Alan, quel voler conoscere tutto sulla cara antenata. Vede, è stato così semplice. –
    Sophia lo guardò con odio.
    - Ora, Mr. Vidic, la mia ricompensa – disse continuando a guardare Sophia.
    - Ma certo. –
    Un secondo colpo risuonò nel silenzio.
    Sophia vide l’espressione di Akbar passare dal compiaciuto al sorpreso.
    Poi cadde a terra.
    Tutto si svolse in un lampo.
    Qualcuno la strappò dal padre mentre guardava un uomo chinarsi a controllare il suo polso e fare un cenno a Vidic.
    Un colpo alla testa la tramortì.
    - Bene, mandate il corpo in patria con tutti gli onori, non sia mai che ci accusino di inciviltà! Recuperate quella pergamena e la soluzione e pulite questo casino.
    Noi qui non siamo mai stati! –
    Furono le ultime parole che sentì prima di cadere nell’incoscienza.


    *



    Sophia aprì gli occhi.
    Si alzò a fatica e decise che una doccia era necessaria.
    Sotto il getto caldo decise che era ora di infastidire Vidic.


    1Sophia, da Sofia Sorto nel futuro Revelations

    2 Akbar Abd-el-Kadir significa letteralmente: Akbar “il più grande” Abd-el-Kadir “ servo dei potenti”

    3Non penso proprio che non controllino tutti i turisti che entrano in visita, ma, visto che Akbar è

    decisamente influente, possiamo dire che sono passati senza subire il vaglio della sorveglianza.




    Buona sera a tutte. Eccomi con il secondo capitolo :)
    Quando mesi fa l'ho scritto avevo pensato che non c'era niente di meglio che usare un flash back per presentare una parte di antefatti e personaggi e così ho fatto inoltre ero sotto esami e non desideravo altro che un posto esotico per cui la mia mente ha vagato verso Istanbul - e anche perchè il prossimo Assassin's Creed sarà ambientato a Costantinopoli. -
    Solo alcune precisazioni: i luoghi citati esistono realmente - mi sono documentata perchè mi piace essere precisa - quindi l'aeroporto, il Palazzo e la Biblioteca ci sono davvero e di questi ultimi si trovano immagini straordinare.
    Ringrazio tutte le persone che hanno letto e mi farebbe piacere se mi diceste se vi piace ciò che scrivo o se è da cestinare :)

     
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  5. Irene:-)
     
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    Brava!!! Scrivi benissimo.... mai pensato a fare la scrittrice??? Ti verrebbe bene e le idee ce l'hai... cmq complimenti!!! notworthy winner_second_h4h
     
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  6. -»°iRe°«-
     
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    complimenti taide!
     
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  7. Taide
     
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    Vi ringrazio tantissimo :wub:

    CITAZIONE
    Scrivi benissimo.... mai pensato a fare la scrittrice??

    Ho sempre accarezzato l'idea ma preferisco cercare di diventare medico e coltivare questo interesse per passione. In futuro, con l'idea giusta, chissà... ;)
     
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  8. Irene:-)
     
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    Sarebbe bello... Anke a me piacerebbe,ma x ora sono troppo influenzata dai miei libri preferiti;verrebbe fuori un miscuglio di saghe...
     
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  9. Taide
     
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    Capitolo 3 – Advances –

    Abstergo Industries, 2012 – Ufficio di Warren Vidic –

    Alle otto e cinque in punto, Warren Vidic sedeva comodamente nella poltrona del suo spazioso ufficio.
    Leggendo i resoconti dei suoi scienziati, si rese conto di non aver ottenuto nessun nuovo risultato.
    Ma lui non si sarebbe arreso.
    Da lunghi mesi ormai raccattavano cavie da ogni vicolo maleodorante e le sottoponevano ai loro esperimenti, senza risultati concreti per altro.
    L’unico dato rilevante era stato registrato poche settimane prima, quando il sudicio reietto umano che avevano usato era tornato indenne dal loro esperimento.
    Oh, che sia tornato è indubbio salvo poi spirare due secondi dopo, si disse Vidic mentre afferrava la sua tazza di caffè e iniziava a zuccherare il liquido scuro: una, due, tre zollette di zucchero non bastarono.
    Vidic ne aggiunse una quarta e assaggiò soddisfatto il risultato.
    Ebbene, comunemente chi è nervoso accende una sigaretta dopo l’altra: lui zuccherava il caffè fin quando raggiungeva il nauseante stato d’imbevibilità richiesto.
    Poi lo mandava giù.
    Il bip bip del telefono lo riscosse dalle sue elucubrazioni.
    - Qui Vidic! – abbaiò, quasi scardinando la cornetta dall’apparecchio telefonico.
    - Parla il Dr. Baker – rispose l’interlocutore dall’altro capo della linea.
    - Spero per lei che non sia una sciocchezza! –
    Dopo un attimo di esitazione il Dr. Baker rispose:
    - Crede di poter scendere nei laboratori, signore? Dovrebbe vedere una cosa. –
    Il tono di Baker fece assottigliare gli occhi a Vidic: quel ragazzo aveva una gran testa ma doveva imparare a tirare fuori gli attributi se voleva sopravvivere nell’Abstergo.
    - Arrivo immediatamente e sarà meglio per lei che sia importante o potrei decidere che come lava-vetri non sarebbe male! – detto ciò, Warren sbatté il telefono in faccia al poveretto e si diresse verso l’uscita.
    Attraversata la porta, Vidic seguì i lunghi corridoi dell’azienda.
    La moquette attutiva i suoi passi e le telecamere di sicurezza registravano ogni sua mossa.
    Vidic guardò fuori da una delle grandi vetrate: da quella posizione la sede dell’Abstergo dominava su Firenze.
    Il Templare si soffermò ad ammirare le calde tonalità del tramonto che illuminavano il Campanile di Giotto e Santa Maria del Fiore.
    Davvero magnifiche.
    Vidic riprese a camminare dirigendosi verso gli ascensori.
    Premette il pulsante e stette in attesa.
    Dall’’ascensore in arrivo uscì un uomo che cozzò contro Warren facendo indietreggiare entrambi.
    - Ma che diav... Richard1! – sbottò Vidic ricomponendosi.
    - Salve capo, come sta? – rispose gioviale Richard.
    Il volto di Warren si rilassò, mostrando un’espressione compiaciuta.
    - Bene, vedo che sei tornato dalla missione, Richard. Ho un lavoretto per te. –
    Richard gli rivolse un ghigno felino.
    Era un uomo di media statura, oltre la trentina, con due occhi acuti e sfuggenti, uno dei pupilli di Warren.
    - Scommetto che indovino di che si tratta. Sa capo, sono tornato appena ho saputo – disse soavemente Richard.
    Vidic lo fulminò con lo sguardo.
    - Non compiacerti troppo Richard, non osare dirmi “ ve l’avevo detto” . –
    - Oh, non ve lo dirò capo - affermò Richard, anche se la sua espressione era un enorme “avevo ragione io, capo” rivolto a Vidic.
    - Se mi vuole scusare, devo fare rapporto a Audrey2 – continuò mentre sorpassava Vidic e si dirigeva lungo il corridoio.
    Vidic annuì tra se ed entrò dentro l’ascensore.
    - Ah capo, - sentì chiamare poco prima che le porte si chiudessero, - porgerò i vostri ossequi a Lucy, quando la vedrò –
    E con il ghigno di Richard stampato nel lobo frontale, l’ascensore iniziò la sua discesa con il proprio ospite più furioso che mai.




    *





    Monteriggioni, 2012

    Desmond Miles, quella mattina, aveva un mal di testa da Guinness dei primati.
    La sera precedente si era trascinato fino al ritrovo, dopo la sua rovinosa caduta, con una faccia che avrebbe fatto concorrenza a un morto vivente; in più aveva dovuto sopportare i rimproveri di Lucy e le battutine di Shaun.
    Per sfuggire agli Assassini aveva adottato la tattica sorridi-e-annuisci e si era defilato a letto sperando di non ritrovarsi un bel bernoccolo la mattina seguente.
    Speranza vana.
    Desmond toccò il bozzo pulsante sulla nuca, bello in rilievo e sicuramente violaceo.
    Con un grugnito, incominciò a districarsi dalla massa informe di coperte aggrovigliate del giaciglio improvvisato e si avviò verso la statua di Altaïr, aggirandola ed entrando nella sala3.
    Sbadigliando sonoramente sentì, ancor prima di vederlo, il ticchettio dei tasti premuti da Shaun sul suo computer.
    Gli si avvicinò silenziosamente dando un’occhiata all’ora.
    Cazzo, le cinque e un quarto!
    Per Desmond, che considerava l’alba le undici, quell’ora infame equivaleva a svegliarsi in piena notte per un fastidio improvviso.
    - Ma guarda, il Bello Addormentato si è alzato presto. Che giorno è oggi che lo segno sul calendario? Entrerà nelle date della Confraternita da celebrare. –
    Il buon giorno di Shaun, che carino.
    - Divertente Hastings, tu invece hai problemi a prendere sonno? – borbottò Desmond con voce impastata.
    - Naah bello, il mattino ha l’oro in bocca! – rispose Shaun stranamente di buon umore.
    Desmond dovette notare questa bizzarra anomalia dell’umore di Shaun perché lo guardò con più attenzione.
    Non c’era nulla che, apparentemente, non andasse in lui.
    Tranne il ghigno compiaciuto che aveva in faccia.
    Desmond si spazientì, rotture di palle di prima mattina non ne voleva.
    - Allora?- chiese impaziente.
    Shaun ghignò.
    - Sembra che qualcuno ti abbia suona un gong in testa...-
    - Divertente, davvero. –
    - Non te la prendere, si può sapere che ti è successo ieri, caccia ai fantasmi a parte? –
    Desmond valutò se vuotare il sacco con Shaun: da una parte lo avrebbe preso in giro fino alla morte, ma dall’altra era l’unico in grado di trovare qualche informazione.
    Dilemma, grande dilemma.
    - Sono inciampato – confessò di slancio.
    - Ma no! Pensavo avessi iniziato a demolire la casa a craniate, davvero Miles, sarebbe un toccasana per te . –
    Desmond rinunciò a ribattere e prese a considerare la possibilità di tornarsene a dormire, così, ancora un paio di orette.
    - Tornando alle cose serie, - lo riscosse Shaun, - ho qualche novità – gli disse facendo volare le mani sulla tastiera.
    - Che si dice? –
    Desmond si avvicinò al piano di lavoro disseminato di carte e vecchi appunti.
    - Le basi degli Assassini sono più o meno stabili anche se aspettiamo ancora alcuni rapporti. In realtà gli unici dati interessanti sono due. –
    Mentre diceva ciò, Shaun prese a spostare le cataste di fogli, incasinando ancora di più la postazione.
    Con un “eureka” a mezza voce, estrasse un fascicolo che passò a Desmond.
    Sulla prima pagina si poteva leggere “Caso Thorpe”.
    - Thorpe? –chiese Desmond.
    - Esattamente, - Shaun si fece serio, - qualche settimana fa si è sollevato un polverone in Inghilterra quando il cadavere di Alan Thorpe è stato ritrovato di fronte ai cancelli di casa sua. Naturalmente la storia è stata messa sotto silenzio, ma uno dei nostri Assassini del Regno Unito ha provveduto ad aggiornare il fascicolo di Thorpe e l’ha spedito al Quartier Generale. E’ arrivato a me stamane per e-mail. – gli spiegò con calma.
    Desmond aprì il fascicolo e analizzò le foto nelle prime due pagine.
    La prima ritraeva un uomo sulla quarantina, dai capelli scuri e gli occhi malinconici.
    Sotto, la foto riportava “Alan Thorpe – deceduto.”
    La seconda immagine era quella di una bambina di otto o forse nove anni.
    La didascalia diceva “Figlia di Thorpe – catturata.”
    - Bastardi, è a malapena una ragazzina! – esclamò sdegnato Desmond.
    - Ah, sì. La foto non è molto recente. In realtà la ragazza dovrebbe avere la tua età, forse un anno in meno – lo informò Shaun tornando alle sue ricerche.
    Desmond guardò il volto sorridente e sdentato della bimba, chiedendosi se le avrebbero riservato lo steso trattamento che era toccato a lui o se i Templari avrebbero infierito ancora di più.
    In fondo, lui era stato fortunato in tutta la sfiga che gli era capitata.
    Con lui c’era Lucy.
    - Perché te l’hanno mandato? – chiese Desmond riferendosi al plico.
    - Scherzi? – sbottò Shaun.
    Guardando la faccia di Desmond, sbuffò scocciato:
    - Dimentico sempre che le tue conoscenze si limitano ai cocktail. –
    Ecco, finito l’incanto.
    Era tornato il solito Shaun.
    - Illuminami, oh Grande Sapiente - lo pregò Desmond tra il serio e l’irrisorio.
    Con un gesto nervoso, Hastings spinse sul naso gli occhiali.
    - Alan Thorpe è, beh era, il massimo conoscitore di storia antica, un archeologo impareggiabile e un pozzo di sapienza in generale. E’ indubbio che la Confraternita avesse un fascicolo apposta per lui. Meglio interessarsi a persone del genere, possono sempre risultare importanti ai fini della guerra e l’Abstergo deve aver pensato la stessa cosa. –
    Shaun rifletté tra sé prima di aggiungere:
    - Si dice inoltre che fosse ossessionato da Maria Thorpe. –
    - La compagna di Altaïr – lo interruppe Desmond.
    -Sì, proprio lei. Nessuno sa quanto abbia scoperto ma è probabile che sia finito sul libro nero dell’Abstergo. –
    - Perché ucciderlo, se poteva fornire informazioni utili? – chiese piano Desmond.
    - Non sono sicuro che avrebbe collaborato. Ti posso dire una cosa, però. Fin che Thorpe fosse rimasto in patria, nessuno avrebbe potuto raggiungerlo. Aveva fama di essere un uomo sbadato ma, fidati, sapeva il fatto suo. E’ stato necessario che partisse per Istanbul prima di ucciderlo. –
    - Capisco, e la figlia?- domandò Desmond.
    - Chi può dirlo? Posso solo presupporre che la useranno come cavia da laboratorio. –
    Dopo una pausa in cui entrambi restarono persi nei loro pensieri Desmond chiese:
    - Qual è la seconda novità? –
    Prima di rispondere, Shaun si tolse gli occhiali e li pulì sul bordo della camicia.
    Poi, soddisfatto del risultato, li inforcò e ruoto sullo sgabello per poter guardare in faccia Desmond.
    - Uno dei nostri infiltrati all’Abstergo ha riferito di una nuova diavoleria a cui stanno lavorando gli scienziati di Vidic. –
    - Nessuna informazione più precisa? –
    - Poca cosa. Solo che ha a che fare con lo studio dei campi elettromagnetici o qualcosa del genere. Non possiamo ottenere di più ora che Vidic ha aumentato la sorveglianza da quando Lucy ti ha liberato. Rebecca sta esaminando i pochi progetti che ci hanno mandato, ma è tutta roba molto vecchia e già sorpassata. –
    - Siamo con l’acqua alla gola, eh? –
    - Domanda retorica, Miles. Credimi, come oratore saresti sprecato.
    Desmond capì che la conversazione era finita e decise che sarebbe stato meglio se si fosse fatto un giro per Monteriggioni.
    Ormai era sveglio.
    Mentre si avviava verso le scalinate gli venne in mente la figura della sera prima, quella che era riuscito a vedere di sfuggita prima di sbattere la testa.
    Di impulso si girò verso Shaun e chiese:
    - Sai se Ezio ha avuto una famiglia? Dei figli? –
    Shaun sventolò in aria la mano come per scacciare una mosca fastidiosa e senza voltarsi gli disse:
    - Non c’è nessun documento tra quelli conosciuti e quelli dell’Ordine che riporti di una progenie di Ezio. –
    - Ma allora io... - Desmond fu interrotto da Shaun che aveva ripreso a parlare.
    - Tuttavia sappiamo che Claudia Auditore ebbe almeno un figlio, probabilmente la discendenza continuò con lui. –
    Desmond annuì in silenzio anche se Shaun non poteva vederlo.
    Si voltò rapido e guadagnò l’uscita.



    *




    Abstergo Industries, 2012 – Laboratori sotterranei –

    I laboratori sotterranei dell’Abstergo Industies erano dei labirinti metallici video-sorvegliati ventiquattr’ore su ventiquattro.
    L’odore dei disinfettanti permeava l’ambiente come una seconda pelle.
    Nei laboratori di ricerca più avanzati il Dr. Baker portava avanti la realizzazione del nuovo progetto della Società, un lavoro che, se avessero ottenuto i risultati sperati, avrebbe cambiato le sorti della guerra tra Templari e Assassini.
    Gli scienziati che vi lavoravano erano orgogliosi ed entusiasti di far parte di un’equipe così rinomata e di contribuire all’avvento di un nuovo ordine mondiale.
    Ma, nonostante il lavoro di tutti, i risultati erano ancora minimi e i fallimenti all’ordine del giorno; d’altro canto ci si stava avventurando in un territorio minato e ben difficile da controllare.
    Il Dr. Baker pensò al loro cadavere più recente, l’ultimo di una lunga catena che era morto pochi istanti dopo il suo ritorno.
    Un grande successo sotto alcuni aspetti ma un altro insuccesso se si considerava che i soggetti dovevano restare vivi.
    Togliendosi gli occhiali per massaggiarsi la radice del naso, lo scienziato guardò verso l’ampia piattaforma posta al centro della stanza.
    Era fatta coi materiali più resistenti, molti dei quali di nuova creazione dell’Abstergo; un mostro di tecnologia e metalli, con quattro alte barre arcuate a uncino verso il centro in cui si convogliava l’energia.
    Un’invenzione progettata affinché i continui test fossero posti esattamente sotto i quattro vertici che si congiungevano.
    Anche quel giorno si sperimentava.
    Il via vai dei suoi assistenti lo riscosse: due di essi avevano posizionato l’uomo raccolto dalla strada al centro della piattaforma, nell’apposita sede circolare; un altro gli si stava avvicinando per appuntargli sui vestiti un piccolo dispositivo.
    Era di forma allungata e sottile, si poteva tranquillamente stringere in una mano, e serviva a tracciare la posizione del soggetto e riportarlo al laboratorio in caso di successo.
    Baker ne aveva costruiti moltissimi, ma li attivava uno alla volta a seconda delle esigenze del momento: non voleva interferenze tra onde che potessero creare problemi ai macchinari.
    L’arrivo di Vidic spinse Baker a ricacciarsi i sottili occhiali dalla montatura d’osso sul naso.
    - Allora? – gli si rivolse sbrigativo.
    Lo scienziato prese ad armeggiare con il computer e ruotò lo schermo verso il suo superiore.
    Vidic si fece più vicino e osservò l’immagine confusa che vedeva.
    Si trattava di un video sfocato, ma tutto sommato abbastanza visibile.
    Osservando attentamente, Warren vide un ambiente boschivo distorto, macchie di luce improvvise, figure umane poco delineate a causa delle interferenze e poi il buio.
    - E’ la registrazione della telecamera sul nostro ultimo soggetto – spiegò Baker.
    - Allora abbiamo avuto successo! – esclamò compiaciuto Vidic dando una pacca alla schiena del giovane.
    - E il soggetto dov’è?- domandò.
    - Morto – rispose laconico lo scienziato.
    Baker osservò gli occhi del suo superiore mandare lampi di ira e si affrettò ad aggiungere:
    - Questa volta non è morto per causa nostra! –
    - Si spieghi, ragazzo! – gli ordinò imperioso Vidic.
    - Il tutto è durato massimo cinque minuti, come può notare dal video, ma sono bastati perché il soggetto tornasse con una ferita al fianco che gli ha lacerato gli organi interni. E’ morto dissanguato. –
    Vidic parve soddisfatto.
    - Dunque, Dr. Baker, siamo a buon punto – affermò Vidic.
    - Mi faccia vedere il nuovo test. –
    - Veramente, signore, credo che si sia trattato di un caso isolato – tentò di spiegare Baker.
    Vidic gli fece un gesto imperioso con la mano e gli impose di procedere.
    Con un cenno verso i suoi assistenti, Baker avviò la procedura standard che avevano adottato fin ora e attivò la piattaforma.
    Vidic indossò la maschera che Baker gli stava porgendo, mentre i motori dell’impianto si avviavano.
    Dai quattro punti che convergevano verso il centro si sprigionò un’intensa luce viola, un misto di onde elettromagnetiche che investirono il poveretto posto sotto di esse fino a inglobarlo del tutto.
    Il Dr. Baker monitorò il tutto dal suo computer osservando gli sviluppi dentro la piattaforma.
    Per il momento tutto bene, speriamo che … oh Cristo Santo!
    I fasci provenienti dalle punte d’acciaio collassarono improvvisamente e implosero con uno scoppio fragoroso causando una forte esplosione.
    Baker ebbe la presenza di spirito di tirarsi a terra e di portare con sé Vidic, proteggendosi entrambi dai pezzi metallici che volarono per l’impatto.
    Quando il parapiglia generale si fu attenuato e Baker si fu assicurato che tutta la sua equipe era integra, guardò verso la piattaforma.
    Nel punto in cui prima era legato il loro test vi era una massa informe e sanguinolenta, una grottesca caricatura di un passato essere umano.
    Sospirando, Baker prese la semi-automatica che teneva nel cassetto della scrivania e pose fine alle sofferenze di ciò che rimaneva del suo test.
    - L’ennesimo fiasco, Dr. Baker – disse Vidic mentre si spazzolava il camice per eliminare la polvere che vi si era depositata.
    - Signore, vi avevo avver… - fu zittito da un gesto del suo superiore.
    - Ciò nonostante, ragazzo mio, stiamo facendo progressi. Ogni esperimento è un passo in più verso il nostro obbiettivo. Lo ha dimostrato quel video. Si ricontrolli i progetti ed elabori nuovi percorsi su cui lavorare. Questo piano andrà in porto. Mi sono spiegato, Dr. Baker? –
    - Sissignore – disse piatto lo scienziato.
    - Molto bene. –
    Vidic diede due secchi ordini di ripulire il macello causato da tutto il sangue del test e con passo deciso si diresse verso l’uscita.
    Il suo cerca-persone vibrò al suo fianco.
    Vidic lo estrasse e controllò il messaggio.
    Magnifico, si disse, andiamo a insegnare alla signorina Thorpe un po’ di buone maniere.





    1. Richard, di cui ignoro il cognome, è uno degli uomini che hanno cercato di uccidere Lucy prima che Vidic li fermasse.
    2. Audrey, assistente di uno dei fondatori dell’Abstergo.
    3. Non penso che dormano nella sala circolare delle statue, e neanche fuori, dunque ho deciso che hanno improvvisato dei giacigli nella zona più interna, la stessa da cui sono passati Desmond e Lucy per aprire il passaggio a Shaun e Rebecca.



    Note dell'Autrice
    Salve a tutte, ho trovato il tempo di aggiornare :)
    Questo è il tipico capitolo vedo-non vedo, uno di quelli dove devi dire qualcosa senza però farlo chiaramente.
    Comincio col dire che è stata una lunga gestazione: nella mia testa sapevo come elaborare i fatti ma poi scriverli era tutto un altro paio di maniche.
    Nonostante ciò, sono abbastanza soddisfatta del risultato, anche se ho qualche piccola perplessità su come ho descritto la piattaforma, per capire meglio com'è consiglio una veloce visione dell'invezione del Dr. Octavius in Spiderman. In ultima analisi, i personaggi citati nelle note appartengono realmente all'universo di Assassin's Creed e ho quindi preferito lasciare loro il ruolo che gli è già stato attribuito dai creatori del gioco.
    Spero vi piaccia :)
     
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  10. Taide
     
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    Salve a tutte!! Ringrazio chi è passata a dare un'occhiata alla storia :)


    Capitolo 4 – Escape –

    Abstergo Industries, 2012

    Nello stesso laboratorio che aveva visto numerose sedute del soggetto 17, Ryle e Weil stavano monitorando l’Animus e il suo ospite.
    La mancanza di risultati era estenuante.
    Nonostante le pressioni di Vidic, i due scienziati erano consapevoli che non avrebbero potuto aumentare la frequenza dell’Animus, a meno che non desiderassero friggere il cervello del soggetto 18, in quel caso non ci sarebbero stati problemi.
    Ma nessuno dei due si sarebbe spinto oltre il limite imposto: la mente della signorina Thorpe doveva rimanere intatta per permettere loro di visualizzare i suoi ricordi.
    E che ricordi sarebbero stati!
    - Andrew, annulla la sessione, - disse Ryle al collega, - ha perso conoscenza. –
    Weil si affrettò a far scorrere le mani sulla tastiera del monitor e annullare tutto.
    Insieme si chinarono sopra la giovane distesa per controllare i parametri vitali e Weil le piazzò sotto il naso una boccetta di sali che la fece rinvenire.
    Ryle vide la ragazza aprire gli occhi per richiuderli immediatamente, accecata dalla forte luce della lampada puntatale addosso.
    Axel Ryle trovava affascinante il suo ultimo lavoro.
    Non solo perché la ragazza era, di fatto, molto bella ma perché la sua mente e il suo DNA costituivano una sfida alla sua intelligenza.
    Puntò la luce di una piccola pila negli occhi della ragazza per saggiarne la reattività, ascoltò attentamente il cuore con lo stetoscopio che aveva sempre a portata di mano e iniziò a palparle tempie, collo e busto.
    Se le prime volte la signorina Thorpe aveva reagito scalciando e rompendo il naso al malcapitato Weil, che si era trovato sulla stessa traiettoria del suo piede, successivamente si era resa conto che nessuno dei due aveva tentato di molestarla ma che puntualmente, dopo ogni sessione, lui e il suo collega controllavano scrupolosamente che non avesse riportato danni interni a causa dello stress prodotto dall’Animus.
    - Funzioni normali, gli organi sono intatti – mormorò Ryle al collega.
    - Sarà, ma ha un aspetto orribile – ribatté Weil, osservandola anche lui con occhio clinico.
    Effettivamente, da più di una settimana, erano stati costretti a trasportare la ragazza dall’Animus al letto e viceversa perché i piedi non la reggevano più.
    Entrambi, Ryle e Weil, potevano vantare una laurea in medicina e una grande conoscenza di nuove scienze sperimentali ma, se da una parte erano ansiosi di trovare qualche indizio utile all’Abstergo nelle memorie genetiche della signorina Thorpe, come medici erano consapevoli che il riposo avrebbe giovato a tutti i loro sforzi oltre che alla giovane.
    Weil aveva provato più e più volte a convincere Vidic che ritmi così estenuanti non avrebbero portato a nulla di buono tuttavia, maggiori erano gli insuccessi, tanto più il capo si impuntava e proseguiva ossessivo con la sua ricerca infruttuosa.
    Con uno sguardo imperscrutabile, Ryle sollevò la ragazza e si diresse fino alla porta chiusa.
    Weil al suo fianco, estrasse la sua tessera di identificazione e la fece strisciare nella casella magnetica sul lato sinistro della porta.
    Ryle entrò sbrigativo, adagiò la ragazza sul letto e prese delle coperte ordinatamente piegate dall’armadio, distendendole sulla figura sdraiata immobile e piegandosi leggermente su di lei per controllare ancora una volta il respiro.
    Rassicurato solo di poco, raggiunse il compagno fuori dalla stanza.



    *





    Sophia, stesa sotto le coperte, contò tra sé fino a cento.
    Tese le orecchie per captare il minimo suono e, soddisfatta, si mise a sedere sul letto gettando le braccia in aria per sgranchirle.
    Sollevando lo sguardo, osservò compiaciuta ciò che la sua mano sinistra stringeva.
    La tessera di riconoscimento di Ryle.
    Da due settimane aveva ripreso a contare i giorni basandosi sul paesaggio che vedeva dalle finestre della stanza attigua, ogniqualvolta vi si recava per le sessioni.
    E aveva cominciato a progettare la fuga.
    Aveva notato che entrambi gli scienziati avevano una tesserina che apriva le porte e che l’accompagnavano sempre in coppia fino alla sua camera, uno restando fuori e l’altro recandosi dentro.
    Tuttavia la tempistica e la tattica erano importanti.
    Già nella prima settimana d’osservazione aveva lasciato credere a Ryle e Weil di non sentirsi bene; in seguito si era finta sempre più debilitata tanto da non riuscire a camminare.
    Come aveva previsto, Vidic se n’era altamente infischiato delle richieste dei suoi sottoposti di concederle una tregua e aveva sbraitato un “ Se la ragazza non va dall’Animus significa che la ce la poterete voi!”.
    Così era stato.
    Per i primi due giorni Weil e Ryle si erano alternati nell’incombenza di trasportarla da una parte all’altra salvo poi che l’onere se l’era dovuto addossare del tutto Ryle, in quanto decisamente più atletico e muscoloso del mingherlino Weil.
    Era esattamente ciò in cui Sophia aveva sperato e il motivo era soprattutto di natura pratica: Ryle aveva l’abitudine di tenere nella tasca destra del camice il pass per le porte mentre Weil, più ordinato puntiglioso, deponeva la tessera nella tasca superiore del camice, quella in cui teneva anche la penna e gli occhiali da vista.
    Da queste banali considerazioni Sophia aveva elaborato il suo piano approfittando dell’istante in cui Ryle si era chinato sul suo viso per assicurarsi che respirasse: così, nascosta alla vista di Weil fermo sulla soglia dal corpo dell’altro Templare, aveva infilato di nascosto la mano nella sua tasca, afferrando rapida il pass e spostando con attenzione il pugno stretto sotto le coperte.
    Tempo d’azione totale: sei secondi esagerando.
    Sophia si alzò, prendendo a misurare la stanza per riacquistare l’uso delle gambe.
    Con gesti sicuri appoggiò il suo trofeo sul comodino e, toltasi la lunga veste bianca che indossava, si infilò sotto il getto d’acqua per spazzare via la stanchezza e il mal di testa.
    Nonostante avesse esagerato i suoi malori non significava che non avesse risentito anche lei delle innumerevoli ore passate dentro l’Animus.
    Dopo essersi lavata e asciugata i capelli si diresse verso l’armadio e prese alcuni vestiti che si era portata appresso nella valigia per Istanbul e che all’Abstergo erano stati così carini da lasciarle tenere.
    Indossò la biancheria, un paio di attillati jeans, unico paio di pantaloni scuri di tutta quella roba, e afferrò la prima maglietta che le capitò a tiro, bianca con le bretelle sottili e si mise sopra un maglioncino a mezza vita nero.
    Frugando nella valigia, trovò gli stivali con la punta rinforzata che usava durante le escursione con suo padre, li infilò e strinse bene sul polpaccio.
    Dando l’ultimo veloce sguardo alla sua roba, Sophia si rese conto che l’Abstergo aveva eliminato dai suoi effetti personali qualsiasi oggetto che avrebbe potuto esserle d’aiuto a fuggire o, in casi estremi, a uccidersi: le cinture erano sparite, la boccetta di profumo volatilizzata nel nulla così come molti dei suoi gioielli e l’altra marea di oggetti che una donna porta sempre con sé.
    Dal fondo dei suoi ex bagagli Sophia prese un consunto zaino e vi mise dentro le poche cose che reputava sarebbero state di una qualche utilità se fosse riuscita a fuggire da quella prigione.
    Con un sospiro Sophia si diresse verso il comodino e afferrò il pass.
    Sapeva che nella sua stanza erano presenti della telecamere ma aveva scoperto, origliando le conversazioni dei due scienziati, che gli addetti alla sorveglianza video erano dei grandi tifosi di baseball e, guarda caso, quella sera c’era una partita importante per il campionato.
    Sophia era consapevole che questo non sarebbe bastato ma era fiduciosa di guadagnarsi un margine sufficiente di tempo da disorientare la sicurezza.
    Si avvicinò alla porta e l’adrenalina partì a mille.
    Con mano leggermente tremante, strisciò il pass nell’apposito strumento e la porta si aprì.
    Non perse tempo a muoversi cautamente: si diresse decisa alla porta da cui aveva visto entrare e uscire Vidic e aprì anche quella.
    Sophia si gettò di volata nel corridoio fiocamente illuminato e lo percorse quasi di corsa, attenta a non fare troppo rumore.
    Avanzando alla cieca, sentì delle voci provenire dal corridoio dietro l’angolo e si affrettò a gettarsi nel primo cantuccio in ombra che vide.
    Sporgendosi leggermente, distinse le spalle larghe di Ryle.
    Lui e un tizio che non aveva mai visto si stavano dirigendo proprio da dove lei era arrivata.
    - Te lo posso assicurare Richard, l’Animus non ha alcun effetto su di lei – sentì rispondere Ryle al tizio al suo fianco.
    - Beh Axel, sono davvero curioso di dare un’occhiatina a questa meraviglia. –
    Cristo, pensò Sophia, la voce di questo tipo è più letale del sibilo di un serpente.
    I due voltarono l’angolo in tutta calma.
    Sophia non rimase ad aspettare che scoprissero la sua assenza, sgusciò fuori dal suo nascondiglio e si precipitò nel corridoio da cui erano appena giunti i Templari.
    Nella sua corsa non badò a dove andava, sperava solo di trovare un’uscita.
    Svoltato l’ennesimo angolo, andò a sbattere contro qualcuno.
    Arretrò leggermente e alzò lo sguardo.
    Cazzo, una guardia!
    Sophia non diede tempo all’uomo di riprendersi dalla sorpresa: gli assestò una forte ginocchiata all’inguine che lo piegò in due; poi, veloce più che poteva, afferrò il manganello appeso alla vita della guardia e lo calò con forza sul suo capo, mettendolo definitivamente al tappeto.
    Ansimando, Sophia si guardò attorno.
    Poco distante c’era una porta.
    Vi si diresse rapida e l’aprì: era una specie di deposito scorte.
    Tornata indietro, acchiappò i piedi dell’uomo e lo trascinò oltre la porta.
    Con del nastro trovato lì vicino legò e imbavagliò per bene la guardia svenuta.
    Con il fiato corto per la fatica, Sophia si prese un attimo per guardarsi attorno.
    La luce che aveva acceso illuminava un vero e proprio deposito d’armi per tutte le necessità e gusti.
    Non ci pensò un secondo.
    Afferrò una delle fondine doppie e se la sistemò sul busto; vagliando le armi scelse due Glock che collocò al loro posto dopo averle caricate.
    Sophia lasciò cadere a terra il suo zaino e lo riempì con una Beretta M9, un SIG Sauer e munizioni a volontà; dalle pareti prese dei rampini che decise di portare con sé e da uno degli scafali si impossessò di una scorta abbondante di lighsticks.
    Soddisfatta del suo risultato indossò sopra la fondina un giubbotto di pelle dal taglio femminile che aveva rimediato in uno degli scatoloni in cui aveva frugato: a quanto pare l’Abstergo equipaggiava in tutto e per tutto i propri sottoposti.
    Prima di uscire, costrinse le mani in due guanti di pelle senza dita e si caricò lo zaino in spalla.
    Perfetto, pensò tra sé, non è troppo voluminoso né pesante.
    Nel momento in cui uscì dal deposito scattarono gli allarmi in tutto l’edificio.
    Ma bene, Ryle e quel tizio hanno notato che manca qualcosa di fondamentale alla tappezzeria della stanza.
    Sophia non perse tempo e corse verso il fondo del corridoio svoltando a sinistra e continuando a correre.
    Si infilò nell’unico ascensore che fin ora aveva incontrato e pigiò il pulsante “giù” più volte.
    Arrivata ai piani inferiori riprese la sua corsa ma fu bloccata da tre guardie che correvano verso di lei.
    Una di esse le sparò addosso, ma Sophia evitò di striscio la pallottola gettandosi in una rientranza del muro.
    Con il cuore che batteva a mille, estrasse una delle Glock e rapida sparò al ginocchio della guardia che aveva cercato di freddarla.
    L’uomo cadde a terra contorcendosi dal dolore.
    Gli altri due energumeni le furono addosso.
    Il primo cercò di spararle, ma Sophia gli torse abilmente il braccio e, costringendolo a puntare la pistola al ventre, premette il grilletto.
    La guardia andò giù in un attimo e una pozza di sangue prese ad allargarsi sotto di lui.
    L’ultimo membro del trio non le dette il tempo di prendere fiato, ma le si gettò contro scaraventandola a terra.
    Entrambi finirono a rotolare sul pavimento.
    In mezzo a quel groviglio di gambe e braccia la mano di Sophia urtò contro qualcosa che strinse all’istante e che sbatté con forza sulla testa dell’ultima guardia.
    Tramortito l’uomo Sophia se lo scrollò di dosso e gli dette un altro colpo alla nuca, mettendolo a nanna per un po’.
    Ansimante, si diresse rapida verso un altro ascensore e scagliò un colpo ai pulsanti inferiori senza badare a cosa vi era scritto sopra.
    Stremata, Sophia si appoggiò a una parete e prese fiato.
    Ripercorse mentalmente la sua infanzia e ringraziò di cuore Joseph, il capo della sicurezza di casa sua, per averle insegnato a maneggiare armi e difendersi in caso di necessità.
    E quello era sicuramente un momento di necessità.


    *


    Il Dottor Baker era stato costretto a interrompere il suo lavoro quando gli allarmi avevano risuonato per tutto l’edificio.
    Senza perdere tempo aveva imposto al suo staff di andare via, secondo protocollo, mentre lui era rimasto per risolvere velocemente alcune incombenze.
    Per ordine di Vidic, i laboratori sperimentali dovevano essere messi sotto sicurezza al primo cenno di pericolo.
    Con celerità Baker spense quasi tutti i monitor, disattivò i computer e spense tutti i motori della piattaforma.
    Soddisfatto, si avviò verso l’uscita e incrociò un gruppo di uomini che si dirigeva nella sua direzione.
    - Si può sapere che succede? – chiese a uno di loro.
    - Uno dei soggetti del Progetto Animus è riuscito a fuggire. Stiamo isolando i piani inferiori e ci stiamo preparando a riacciuffarlo. Poco fa Vidic ha ordinato di recuperarlo vivo. –
    Baker annuì una volta.
    Il gruppo sparì dietro l’angolo e lui tornò nel laboratorio per prendere la sua borsa.
    Con passo incerto si diresse verso l’ascensore e premette il pulsante di chiamata.
    Aspettò un po’, guardò le porte ermeticamente chiuse e poi osservò dal contatore in alto dove fosse il mezzo.
    Decimo piano.
    Che diamine
    , pensò tra sé Baker.
    Nessuno, tra coloro che lavoravano ai laboratori, saliva mai così in alto per andarsene a casa, essendo sotto il livello del mare era più immediato andare semplicemente fino ai parcheggi al piano terra e via.
    Baker fu riscosso dal suono delle porte che scorrevano e si apprestò ad entrare.
    Si bloccò immediatamente.
    I suoi occhi incontrarono quelli chiari di una ragazza dal volto sfinito, con qualche ciuffo scuro che fuggiva alla coda alta.
    Lei lo guardò a sua volta ma non gli diede il tempo di reagire.
    Prese la rincorsa e con uno spintone lo atterrò, sfrecciando poi nel corridoio e voltano l’angolo.
    Baker si alzò tutto scombussolato, raddrizzando gli occhiali sul naso.
    Diede le spalle all’ascensore e corse dietro alla ragazza.
    La vide voltare l’angolo e trovarsi in un vicolo cieco, sbarrato dalla porta del suo laboratorio.
    Sentendo i suoi passi, la ragazza si voltò e gli puntò contro una pistola premendo il grilletto.
    Cristo Santo!
    Baker si gettò di lato finendo a terra.
    Lungo disteso sul pavimento, si mise a sedere lentamente contro il muro e controllò di essere ancora tutto d’un pezzo e non con qualche foro di troppo.
    Rassicuratosi, sbirciò dietro l’angolo e impallidì.
    La porta del suo laboratorio era aperta.
    Si alzò, malfermo sui piedi, e si diresse di corsa dentro la stanza.
    Era un luogo enorme, stracolmo di apparecchiature di tutti i tipi, senza contare le varie postazioni dei computer.
    Guardandosi intorno Baker vide la pazza che gli aveva sparato cercare di aprire la porta per le uscite di sicurezza senza riuscirvi.
    Silenziosamente tastò il piano sottostante di una delle scrivanie fino a premere il pulsante per le emergenze.
    Tra pochi minuti la stanza sarebbe stata piena di guardie armate fino ai denti.
    Ora doveva solo impedire che la ragazza fuggisse e, possibilmente, evitare di finire sforacchiato come una colabrodo.
    Le si avvicinò cautamente dopo aver recuperato un revolver da uno dei cassetti.
    A meno di dieci passi dalla ragazza, lei si voltò e lo vide.
    Questa volta non mi freghi.
    Prima che potesse sparargli di nuovo le si gettò addosso portando entrambi a terra.
    La ragazza gli assestò un pugno ben piazzato che gli ruppe il naso e gli fece vedere le stelle, permettendole di rotolare via da lui.
    Baker si aggrappò alla sua gamba, sbilanciandola e facendola finire addosso ai monitor.
    Ansimanti si alzarono guardinghi.
    Baker tenendosi il naso sanguinante e la ragazza aggrappandosi a una leva.
    Con un sibilo, i motori del laboratori si accesero ma Baker non ebbe il tempo di preoccuparsi perché la ragazza aveva ripreso la propria corsa, zigzagando tra i monitor e lanciandogli addosso tutto ciò che le capitava a tiro.
    Schivando come meglio poteva, Baker le stette dietro.
    Avanzando frenetico fu colpito alla spalla da un oggetto piccolo e poco pesante.
    Guardò a terra e vide il rilevatore che aveva costruito con tanta fatica e che piazzava nella mano dei suoi test a ogni esperimento.
    Incazzato nero, si gettò con nuovo vigore dietro la fuggiasca guadagnando terreno.
    - Fermati subito! – le urlò dietro.
    Quella gli gettò una veloce occhiata della serie “Fossi scema” e tirò dritto.
    Con uno sforzo immane, Baker aumentò la velocità e si ritrovò al centro del laboratorio, dove c’era la piattaforma.
    Ora poteva davvero svenire.
    La piattaforma era attiva e un fascio carico di energia si agitava al suo interno.
    Boccheggiando, Baker si rese conto che la leva a cui la ragazza si era aggrappata per sorreggersi era quella del motore generale che avviava tutto il laboratorio.
    Merda, non è stata seguita nessuna procedura di sicurezza!
    Rivolgendosi alla ragazza che si trovava esattamente tra lui e la piattaforma gridò:
    - Vieni via di lì! E’ pericoloso! –
    Baker vide la ragazza indietreggiare e lanciargli addosso un altro dei suoi rilevatori.
    - Per l’amor del cielo, rischiamo di saltare tutti in aria! Allontanati da lì! –
    Lo scienziato fece un due passi avanti ma questo comportò il prendersi in testa uno degli ultimi due rilevatori che la ragazza aveva in mano e il suo arretrare fin quasi al bordo della piattaforma.
    Bastò un attimo.
    Baker vide la ragazza mettere un piede su un cavo in rilievo e perdere l’equilibrio.
    Cadde all’indietro, tra le onde della piattaforma.
    Con un’esplosione accecante, Baker fu sbalzato diversi metri indietro, oltre le postazioni monitor.
    Battendo la testa, si afflosciò al suolo come una bambola di pezza e non si mosse più.


    *




    Monteriggioni, 2012

    - Forza Desmond, riproviamo! –
    Era la milionesima volta che Rebecca gli diceva così.
    Facile per lei, mica stava tutto il giorno nell’Animus a guardare ricordi totalmente caotici.
    Desmond si sentiva come quelle vecchie televisioni che non erano più in grado di cogliere le frequenze di nuova generazione.
    Un catorcio da buttare, insomma.
    Da quasi due settimane provava di continuo l’Animus ma, per come stavano le cose, potevano anche rottamarlo e tanti saluti.
    Così Lucy, per non lasciare Desmond inattivo tutto il tempo, aveva programmato delle lezioni che avrebbero dovuto temprarlo come Assassino.
    Shaun l’aveva massacrato.
    Altro che supporto tattico agli Assassini, il rompiballe con gli occhiali picchiava duro e aveva i riflessi di una lince.
    Desmond ormai vantava una collezione di lividi da far vergognare anche un pugile.
    Con un sospiro si stese nell’Animus e aspettò che si avviasse la sessione, rassegnato in partenza.
    - Ma che…!?! – esclamò sbigottito.
    - Evvai ! – sentì urlare Rebecca dalla sua sedia.
    La sessione era partita senza problemi, liscia come l’olio.
    Con un sospiro di sollievo Desmond si concentrò.
    Gli sembrava passata una vita dall’ultima volta che aveva seguito Ezio tra le vie di Roma ed ora si sentiva come se stesse tornando a casa.
    Pertanto, non badò molto alla voce di Shaun che li informava che uno dei suoi contatti all’Abstergo aveva appena riferito di una colossale esplosione avvenuta in uno dei loro laboratori.
    Tanto meglio, che si ammazzassero tra di loro!


    *




    Sophia non riusciva a percepire nulla.
    Era solo consapevole di provare dolore in punti del corpo che non sapeva neanche di possedere.
    Una superficie ruvida e calda percorse la sua guancia, lasciandole una scia umida sul volto.
    Percepì un suono ritmico e calmo al suo fianco e dei passi che si avvicinavano.
    Infine perse i sensi.





    Note dell'Autrice
    Salve. Devo dire che questo è uno dei capitoli più impegnativi e soddiafacenti che scrissi mesi fa. Non sono convinta che le scene d'azione siano proprio il mio forte ma ci si può sempre migliorare.
    Allora ne approffitto per presentarvi alcuni dei personaggi:

    Desmond Miles
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    Shaun Hastings
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    Lucy Stillman
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    Mi potete trovare anche su EFP alla mia pagina:
    www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=21050

    Edited by Taide - 1/10/2011, 15:09
     
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    Allora dopo un secolo finalmente aggiorno...
    Avvertimenti: Linguaggio.


    Capitolo 5 – Confusion –

    Monteriggioni, 2012

    Shaun Hastings si era sempre considerato una persona logica, nevrotica ma logica.
    Pertanto, quella mattina, l’Intero Creato era più che pronto a mettere in discussione tutte le convinzioni dell’Assassino – non sia mai che si crogiolasse troppo nella propria sicurezza - a cominciare dal dato globalmente riconosciuto che la storia è sempre storia e che da millenni a questa parte non cambia.
    Quel giorno, quindi, Shaun si era alzato all’alba, snervato come sempre dal russare incessante di quella piaga ambulante di Miles e dal suo continuo agitarsi e parlare nel sonno.
    Si era trascinato sbuffando alla sua scrivania sommersa da fogli e monitor, aveva avviato il computer e aveva ripreso le sue ricerche, incoraggiate dalla miracolosa rianimazione dell’Animus.
    Naturalmente Shaun continuava a sostenere che la colpa fosse sempre e comunque di Desmond, ma dentro sé sentiva un campanello d’allarme che martellava impietoso sui suoi neuroni, come per fargli notare che gli era sfuggito un passaggio fondamentale e che lui era un idiota patentato.
    E Shaun non si considerava un idiota, affatto.
    La palma d’oro la deteneva Desmond, chi era lui per sminuirlo?
    Buttando giù il suo caffè rigorosamente americano – quello italiano lo uccideva – avviò il suo programma di ricerca e puntò gli occhi sul monitor.
    Date, avvenimenti, guerre scorrevano sotto il suo sguardo vigile, mentre tutto ciò che aveva a che fare con gli Assassini veniva immagazzinato in un file apposito per poi essere posto al vaglio in un secondo momento.
    Fu in questo marasma di documenti che l’attenzione di Shaun venne catturata da alcune pagine in rilievo.
    Buttò rapido l’occhio e soffocò col caffè
    - E che cazzo! – ruggì finemente, svegliando Rebecca, Lucy e Desmond che si precipitarono nella Sala delle Statue armati fino ai denti e con la faccia di chi non capisce ancora una beata mazza per il brusco risveglio.
    Ignorando la sequela di imprecazioni che i tre gli tirarono dietro quando videro che non era successo nulla, Shaun fece volare le mani suoi tasti, preda del panico più totale e dello sconforto più nero.
    Vedendolo ridotto in un tale stato, Desmond alzò le spalle e si buttò nella prima sedia che gli capitò a tiro, appoggiando la testa sul tavolo e chiudendo gli occhi; Lucy decise che mettere qualcosa nello stomaco sarebbe stato utile, soprattutto a quell’ora infausta del mattino; Rebecca, invece, si avvicinò a Shaun e prese a pungolargli la tempia con una matita agguantata dal casino sulla scrivania.
    - Insomma Shaun! Potresti lasciarti andare ai tuoi scleri da nonnetta isterica nel primo pomeriggio? C’è preso un colpo! – gli disse Rebecca divertita.
    Con un gesto di fastidio, Shaun l’allontanò senza alcuna grazia e riprese a pestare i tasti del monitor, come se la colpa di quanto aveva letto fosse da imputare a lui.
    - Andiamo, è ridicolo. Ridicolo! – continuò a masticare tra i denti Shaun, mentre si passava la mano tra i capelli, incasinandoli notevolmente e dandogli l’aspetto da scienziato pazzo.
    - Oh, insomma, Shaun! Cosa diavolo è ridicolo? – sbottò Desmond scazzato.
    Non solo era di nuovo in piedi a un orario a dir poco infame, ma doveva anche vedersela con un sempre posato Hastings totalmente ammattito.
    Due chiari occhi azzurri lo perforarono come dei laser e Shaun si bloccò, scrutando prima la faccia di Miles, quasi potesse leggervi un importante soluzione matematica, e poi il computer, alternandosi per un po’.
    Rebecca gli sventolò una mano di fronte alla faccia e, alla mancata reazione, esclamò:
    - Okaaay, ce lo siamo giocato! –
    Senza preavviso, con uno scatto degno del miglior velocista, Shaun si gettò su Desmond e, agguantatolo, lo trascinò di peso fino all’Animus, facendogli perdere l’equilibrio con un piede affinché finisse lungo disteso sulla postazione.
    Mentre Desmond faceva di tutto per scrollarsi di dosso Shaun e Rebecca, che si era aggrappata al collo del loro ormai impazzito tattico nel tentativo di toglierglielo di dosso, Lucy tornò nella Sala delle Statue con la colazione e allibì.
    Quello non era l’ultimo baluardo della Confraternita.
    Era un asilo infantile.
    Con due abili mosse e una filippica infinita divise tutti e li fece sedere di fronte a lei, in punizione, come i cretini quali erano.
    Osservandoli con occhio critico non poté non notare l’espressione spiritata di Shaun, i capelli incasinatissimi di Rebecca e l’occhio nero di Desmond, regalino del gomito dell’idiota.
    Prendendo quindi in mano la situazione, Lucy ordinò sbrigativa:
    - Desmond nell’Animus; Rebecca avvia la procedura e tu, - disse puntando il dito contro Shaun, - torna al tuo posto! Tra cinque minuti voglio sapere che accidenti ti è preso. –
    Se anche qualcuno avesse pensato di protestare, bastò un’occhiata imperiosa di Lucy e tutti filarono ai loro posti.
    Guardandoli eseguire gli ordini compiaciuta, Lucy si preparò psicologicamente a una lotta impari contro la tagliente ironia di Shaun.



    *





    La prima cosa che Sophia vide, aprendo gli occhi, fu un soffitto di travi scure e pietre.
    Abituata all’ambiente bianco e impersonale dell’Abstergo, pensò di essere ancora mezza addormentata e di starsi portando appresso gli ultimi rimasugli di un sogno.
    Con un leggero sospiro si girò su un fianco.
    Fitta.
    Atroce.

    Gemendo per il dolore si svegliò del tutto.
    Si sollevò lentamente a sedere sul letto in cui si trovava, tenendosi il fianco dolorante.
    Sophia si guardò attentamente intorno: la stanza in cui riposava era rischiarata da una gradevole luce che filtrava dalla finestra, dai colori tenui avrebbe scommesso che il crepuscolo del mattino era da poco passato; le braci di un fuoco ormai morto emanavano ancora qualche guizzo improvviso; una brocca, come non se ne vedevano più ai suoi tempi, era posata proprio su un tavolino posto sotto l’unica fonte di aria e luce, alla sua sinistra e sulla stessa parete su cui poggiava il letto.
    Uno sguardo a terra e Sophia decise che un pavimentista non avrebbe schifato al terreno di pietra di quella stanza.
    Ok, la questione era semplice: o era morta, fatto probabile visto che l’unica cosa che ricordava era un’esplosione accecante, o era un’altra trovata dell’Abstergo.
    Propendeva per la seconda; l’Aldilà sarebbe stato più freddo e meno misero.
    E lei non avrebbe boccheggiato a ogni movimento, senza contare il fastidio della nausea e il mal di testa.
    Dio, voleva un’aspirina, della morfina, un sedativo per cavalli, qualsiasi cosa.
    Imprecando contro tutte le divinità che conosceva, Sophia scostò i piedi e li lasciò penzolare fuori dal letto, calcolando gli appigli su cui fare affidamento.
    Non andò lontano.
    Effettivamente non si mosse affatto.
    La porta di fronte al suo letto si aprì cigolando ed entrò nella stanza una donna dai capelli ricci, ben piazzata e con un lungo abito nero.
    Sophia la squadrò poco educatamente da capo a piedi e decise di rivalutare la questione della sua morte.
    Con la sua laurea in archeologia e storia e con un padre fissato con qualsiasi cosa riguardasse il passato, sapeva elencare alla precisioni il periodo storico a cui un abito di quel taglio, stoffa e intarsi apparteneva e, che gli venisse un colpo, se quella era un’imitazione il sole sarebbe sorto a occidente nei prossimi secoli.
    Sophia sapeva di aver assunto un’espressione al limite del malato mentale perché la donna le si avvicinò gentilmente e le disse:
    - Madonna, non dovreste muovervi nelle vostre condizioni. Ho giusto mandato mio figlio a chiamare il medico per il salasso. –
    Salasso? Salasso!
    Sophia soppesò la donna con lo sguardo, non sembrava una che stesse scherzando, anzi, la sua espressione era seria e preoccupata.
    Tuttavia, ciò che al momento premeva maggiormente alla ragazza, non era un ipotetico medico-omicida, ma il fatto che quella donna le aveva rivolto la parole in italiano, e se le orecchie non l’avevano ingannata, un italiano vecchio di secoli, ancora non definibile propriamente tale per la sua cadenza dialettale.
    Aveva bisogno di riflettere con la dovuta calma.
    Accontentò la donna che si era presentata a lei come Margherita dei Campi* e si rimise a letto, seduta il più comodamente possibile con due guanciali dietro la schiena.
    Dopo aver bevuto un sorso d’acqua dal bicchiere che Margherita le aveva gentilmente porto, si era sentita rinfrancata e meno intontita.
    - Dove mi trovo? – chiese in italiano, rispolverando le sue conoscenze.
    Mentre formulava la domanda, guardò di sottecchi la donna: all’Abstergo erano dei professionisti in tutto quello che facevano e lei non vedeva motivo per cui non avrebbero potuto mettere in piedi un teatrino così ben allestito.
    - Nel Distretto rurale, Madonna. – le rispose Margherita, leggermente stupita dallo strano accento della ragazza.
    Distretto rurale?
    Che razza di risposta era?
    - Per favore, Madonna, state ferma a letto, a momenti giungerà il medico. –
    Con queste parole Margherita uscì dalla stanza.
    Con la lucidità ritrovata e sempre più allibita, due cose non erano sfuggite a Sophia: la porta non era chiusa a chiave e la sua roba, vestiti, armi e zaino, erano ordinatamente posati su una cassapanca in fondo alla camera.
    Sophia fece l’unica cosa che per lei aveva una parvenza di logica, si avvolse ben bene il lenzuolo intorno al corpo nudo e si alzò a fatica.
    Con passi traballanti andò verso la porta e cautamente l’aprì.
    Gettò uno sguardo nel corridoio per assicurasi che non ci fosse nessuno e uscì.
    Guardandosi intorno, Sophia pensò con amara ironia che se all’Abstergo si organizzava qualcosa, lo si faceva per bene.
    Frastornata dalle fitte al fianco, riuscì ad arrivare alla porta di casa.
    Un poco incerta, tolse il chiavistello ed andò fuori.
    La gelida aria invernale la colpì in pieno.
    Sempre più tramortita dalla confusione e dalla debolezza, camminò a piedi nudi sul terreno umido.
    Pochi passi e si ritrovò quasi sul ciglio di uno strapiombo.
    Sotto di lei, case arroccate sulla roccia si estendevano irregolari; in lontananza abitazioni su abitazioni, strade in terra battuta, carrozze, cavalli, sciami di persone che iniziavano la giornata.
    Sophia si sentì male: quella che vedeva in lontananza era l’antica Basilica di San Pietro prima che fossero avviati i lavori di ricostruzione per volere di Giulio II, e quelle non erano forse delle impalcature?
    Dèi, neanche l’Abstergo potrebbe creare qualcosa del genere, pensò sconvolta.
    Con un gemito, si piegò su sé stessa e dette di stomaco.
    Boccheggiando, percepì la voce preoccupata di Margherita che le correva in contro.
    Si sentì presa gentilmente ma con saldezza dalla donna e costretta ad alzarsi.
    Stremata, si appoggiò al suo sostegno e si lasciò guidare in casa.
    Passando nel corridoio, vide il suo volto pallido e segnato in uno specchio.
    Sophia e Margherita raggiunsero con fatica il letto, dove la ragazza si lasciò cadere a peso morto.
    Portando un braccio sugli occhi cercò di elaborare il tutto, senza particolari successi per altro.
    Ma, nella sua breve passeggiata, aveva realizzato poche ed essenziali cose: non era dentro l’Animus, o non si sarebbe spiegata il volto come lei se lo era sempre visto né la presenza di tutta la sua roba; tuttavia non era nemmeno nella sede dell’Abstergo Industries a Firenze** in pieno clima estivo.***
    Sospirando, Sophia si adagiò con la schiena sui cuscini, aiutata da Margherita, stando quasi sdraiata.
    Non voleva pensare a cosa tutto ciò comportasse, da farsi nell’immediato c’era ben altro.
    - Margaret, hide my stuff in that chest, please. –
    Rendendosi conto di aver parlato in inglese ripeté tutto in italiano e stette a guardare la donna maneggiare i suoi effetti personali con un misto di imbarazzo e paura.
    Leggermente in soggezione, Margherita le disse di riposare un po’ e che l’avrebbe avvisata non appena fosse giunto il medico.
    Sophia annuì.
    Restò a letto tranquilla, ma anche se era esausta non riuscì ad addormentarsi a causa del dolore pulsante al fianco.
    Con gli occhi chiusi ripercorse gli ultimi avvenimenti che ricordava.
    Il piano, la fuga, lo scienziato che le urlava qualcosa, lei che cadeva all’indietro e infine l’esplosione.
    Poi solo il nulla.
    Benché faticasse lei stessa a crederlo, lei non era a Firenze e quello in cui si trovava...
    Oh, al diavolo! E’ ridicolo.
    Macinando ipotesi su ipotesi, dandosi subito dell’idiota una volta formulato il pensiero, Sophia si assopì.


    *




    Abstergo Industries, 2012 – Reparto medico –

    Axel Ryle era stufo marcio di percorrere quel corridoio.
    Era da meno di ventidue ore che la Compagnia era in subbuglio, non solo per l’esplosione ma anche perché Warren Vidic aveva un diavolo per capello, se non peggio.
    Il laboratorio del suo miglior progetto e la ragazza spariti tutti in una volta.
    Era troppo anche per Vidic.
    Il capo aveva dato di matto, imprecato, minacciato, e poi si era accasciato esausto su una sedia.
    Quella santa donna di Audrey gli aveva fatto aria per mezz’ora con dei fogli e gli aveva portato quella brodaglia che osava chiamare caffè.
    Vidic si era ripreso due orette prima e aveva iniziato a dare ordini a destra e a manca.
    A lui era toccato l’infausto compito di sapere se Baker sarebbe sopravissuto sotto i ferri o se doveva attraversare la strada per recarsi al negozio di pompe funebri sull’altro marciapiede.
    Si accese l’ennesima sigaretta, ignorando i cartelli “Non fumare” e “Il fumo uccide”, e aspirò soddisfatto.
    Proprio in quel momento la spia sulla porta di fronte alla quale stazionava da ore si spense e ne uscì una delle infermiere.
    Non era troppo alta, con le forme al posto giusto e due occhioni che lo stavano trucidando a causa della sigaretta.
    In un’altra occasione ci avrebbe provato spudoratamente ma, al momento, aveva altri problemi a cui pensare.
    - Mi dica – le ordinò poco educatamente.
    - Per favore - aggiunse poi.
    - Il dottor Baker è vivo e si riprenderà. Lo abbiamo spostato nella 4. – annunciò sbrigativa.
    Lo superò senza degnarlo di uno sguardo e si diresse ai camerini.
    Che tipo, pensò ghignando Ryle riflettendo a come aveva calcato sulla parola “dottor”, come se lui non avesse una laurea da far impallidire i più e qualche specializzazione in tecnologie varie, d’altro canto all’Abstergo entravano solo le mezze seghe, era risaputo.
    Ancora divertito dalla ragazza, si avviò verso la stanza numero 4, rassegnato ad altre ore d’attesa.



    *




    Sophia fu svegliata da Margherita che la scuoteva gentilmente.
    - E’ arrivato il medico – le disse sollevata.
    La povera donna ebbe ben poco di cui rallegrarsi.
    Le condizioni della sua ospite non erano delle migliori, ma ciò non le impedì di esasperare il dottore.
    Senza battere ciglio Sophia si lasciò visitare, evitando più volte il lungo becco della maschera del medico, al che quello, innervosito dai continui movimenti della sua paziente, si era tolto quell’obbrobrio di metallo e aveva continuato la visita.
    Sophia aveva puntato gli occhi in quelli del dottore, un’occhiata attenta e aveva deciso che quello era un ciarlatano, imbroglione e che la medicina era per lui una grande opinione.
    Durante la visita si era rifiutata categoricamente di lasciarsi fare un salasso, affermando con voce chiara e decisa che se il suo corpo si fosse privato ancora un po’di sangue, l’avrebbero potuta seppellire quello stesso giorno all’imbrunire.
    Il medico, decisamente irritato, aveva iniziato a guardarla sospettoso, così Margherita aveva preso in mano la situazione rabbonendo l’uomo e bisbigliandogli che sua cugina era sempre stata un po’ tocca fin da piccola e che era meglio assecondarla.
    L’opera di convincimento andò in porto quando il buon dottore si ritrovò un paio di monete in mano e fu rassicurato sul fatto che la paziente avrebbe preso le medicine che lui aveva prescritto e venduto sul momento.
    Andato via il dottore, Margherita cercò senza successo di far bere a Sophia il contenuto della medicina, ma la ragazza le disse che quella roba non l’avrebbe data neanche al suo peggior nemico e che preferiva affidarsi alle difese immunitarie del suo organismo.
    Lasciò, però, che Margherita l’aiutasse a lavare e fasciare con garze nuove la ferita che aveva sul fianco e che non aveva ancora avuto il coraggio di guardare.
    Dopo molta fatica da parte di entrambe, Sophia si adagiò tra le lenzuola, lasciandosi andare a un sonno agitato.


    * Margherita dei Campi: personaggio che esiste nell’universo di Brotherhood, per maggiori informazioni cercate su Wikia, il sito inglese però.
    **Ebbene sì, secondo l’Ubisoft, Firenze è una delle sedi dell’Abstergo.
    ***Mi sono fatta due ricerche ed è riportato che Desmond è fuggito dall’Abstergo più o meno in estate e dunque Sophia viene ospitata all’incirca nello stesso periodo con uno scarto di una decina di giorni da Miles.


    Note dell'Autrice
    Buon poeriggio! Sono resuscitata con la storia ed eccomi qui. Spero che il capitolo - un po' corto per i miei standard - vi piaccia.
    Read and enjoy! :lol:
     
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  12. Irene:-)
     
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    Ovviamente scrivi sempre benissimo,continua cosi!XD
     
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  13. Pico ©
     
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    Taide complimenti! ma quanti saranno alla fine i capitoli???
     
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  14. Taide
     
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    Ti ringrazio tantissimo Pico :)
    Non ho la più pallida idea di quanti capitoli avrà la storia! Per il momento su EFP ci sono un Prologo e nove capitoli ma la storia si evolve lentamente, a seconda di com'è il mio umore e di cosa sta catturando l'attenzione in un dato momento XD
    So già che toccherò sicuramente il ventesimo capitolo ma sono un po' a rilento sia per via dell'università sia perchè mi piacerebbe utilizzare le informazioni del prossimo Revelation nella storia...
     
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  15. Pico ©
     
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    su su diamoci una mossa!
    che vogliamo sapere il resto :P

     
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35 replies since 1/9/2011, 22:39   2676 views
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