finalmente

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  1. antonella125
     
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    Finalmente sono riuscita a postare il primo capitolo del mio libro!! Ragazze volevo chiedervi di essere "brutalmente" sincere, io non mi offendo se potete darmi consigli per migliorare il mio lavoro. Qualsiasi cosa non vi piaccia, trovate degli errori o, addirittura, trovate qlc parte monotona e sbagliata nn abbiate scrupoli.
    Volevo dirvi, ancora, che ci sono due nomi puntati perchè non li ho ancora scelti.
    Grazie in anticipo.
    :olè:




    I CAPITOLO
    In una notte autunnale, uguale a tutte le altre, sotto una nube di pioggia, Cross si dirigeva a grandi passi verso il quartiere più fine della città che si trovava a soli 20 minuti dal centro di Parigi. Era stato convocato senza nessun preavviso. Aveva avuto solo il tempo di indossare i vestiti ed era uscito sotto quella pioggia battente spinto, sì dal dovere, ma soprattutto dalla curiosità di sapere il perché di quella riunione imprevista. Non era nelle abitudini del capo chiamare all’improvviso, lui che faceva sempre tutto con molta calma per essere tutto perfetto. Quel messaggio inatteso, quindi, era segno che qualcosa di grosso bolliva in pentola e non vedeva l’ora di conoscere cosa. Decise di tagliare per i vicoli della strada all’interno dei quali era solito vedere le abituali bande di teppisti, che smerciavano ecstasy o sceglievano i clienti per le loro ragazze le quali, appoggiate al muro, mettevano in evidenza la loro mercanzia. Tutti al suo passaggio si fermavano per vedere chi si inoltrava in quei vicoli non raccomandabili senza, però, osare fermarlo o chiedergli niente. Nessuno, infatti, aveva il coraggio di avere a che fare con un uomo che,come minimo, era il doppio di ogni persona che si trovava lì, allora era più facile ignorarlo e tornare al proprio lavoro. Arrivato al numero ventitre di Rue du Palace, Cross alzò lo sguardo verso la villa che passava inosservata all’occhio dei passanti, perché molto simile a quelle che si trovavano in quella strada, ma chiunque avesse l’onore di poterci entrare poteva ammirare delle meraviglie che sicuramente le case adiacenti non potevano permettersi. Il pavimento dell’ingresso era ricoperto da un tappeto che proveniva direttamente dalla Persia con motivi geometrici di tanti colori, mentre l’intera stanza era adornata con oggetti di lusso di magnifica fattura, dalla cristalliera fino al mobiletto dei liquori. Il soffitto era decorato di lampadari interamente di cristallo i quali facevano giochi di luce che occhio umano poteva captare solo in parte, ma per Cross che aveva una vista acutissima, riusciva a vedere ogni minimo riflesso e spiegarne le sfumature. Le scale che si trovavano di fronte all’ingresso non avevano nulla da invidiare a quelle dalla reggia di Versailles, tutte di marmo bianco e nero proveniente da Carrara, valorizzate anche dalla ringhiera tutta di bronzo che partiva dal basso fino ad arrivare al secondo piano. Come al solito fu introdotto in casa da George, il maggiordomo che lavorava lì da tantissimi anni, il quale lo pregò di andare alla solita camera di sopra per attendere il suo padrone che era stato intrattenuto da un ospite, ma appena finito lo avrebbe raggiunto. Salito al primo piano sapeva che lì si trovavano le stanze riservate agli ospiti, che ne passavano a migliaia in quella casa, tutte lussuose come piacevano a Daniel, il loro capo. Ogni camera era munita di sauna, bagno turco e una “buona compagnia”, il tutto per rendere il più piacevole possibile il soggiorno agli ospiti, i quali erano soprattutto personaggi illustri della loro stirpe e quindi Daniel ci teneva a fare una bellissima figura. Ma solo lui e altri pochi eletti, sapevano che al piano superiore non c’era più quel lusso, ma una serie di camere dove nel loro interno avvenivano fatti che era meglio che gli ospiti non assistessero. Era lì, infatti, che il capo provava estasi nel sopire la sua fame come piaceva a lui, cioè con violenza, ma soprattutto in quegli ambienti lui e i suoi compagni riuscivano a carpire informazioni con metodi di persuasione che avevano imparato con gli anni e che sapevano mettere in atto molto bene per loro, ma erano terribili per chi li sopportava. Arrivato al secondo piano Cross si diresse alla “camera delle riunioni”, così chiamata dalla congregazione dove si incontravano con il loro capo e dove venivano date loro le informazioni sul nuovo lavoro, che come sempre era quello di torturare le persone per avere informazioni per loro vitali, o ancora più semplice, fare fuori qualcuno che iniziava a sapere troppo o semplicemente si era messo contro di loro. Era questo infatti il lavoro dalla “B. V. SOCIETY”,la sua società, ma ce n’erano altre sparse in tutto il mondo. Venne creata molto tempo prima che lui arrivasse in città, con l’intento di tenere sotto controllo tutti i traffici del “grande Capo”, i quali andavano dallo spaccio di droga alla prostituzione, ma questi servivano solo a coprire il più importante e quello da salvaguardare, denominato: “LA BANCA DEL SANGUE”. Era un commercio di giovani ragazzi che non avevano niente nella vita, perché scappati di casa, classificati come prima categoria, o abbandonati dalla nascita, quelli di seconda. I ragazzi di prima categoria si dividevano in due gruppi: nel primo c’erano i cosiddetti “figli di papà” che stanchi della loro vita, sì lussuosa, ma comunque in solitudine lasciavano la loro dimora o per farsi notare da genitori sempre occupati, o per provare un nuovo stile di vita fuori dai canoni. Quelli del secondo gruppo, invece, erano ragazzi che scappavano da genitori violenti, i quali avevano marcato la loro vita con percosse e violenze di ogni genere e, paradossalmente, cercavano per la strada quella pace che nell’ambiente domestico non avevano trovato. I giovani di seconda categoria, erano i “reietti”, abbandonati ancora in fasce dai genitori. I più fortunati venivano abbandonati davanti agli ospedali, o orfanotrofi, con la speranza che un domani potevano essere adottati e vivere in seno a qualche famiglia; quelli meno fortunati venivano lasciati per strada, o nei bidoni della spazzatura, da lì potevano essere trovati da barboni o altri personaggi della strada, che potevano prendersi cura dei neonati finchè non potevano cavarsela da soli e allora venivano abbandonati al loro destino, che poteva essere breve se si era deboli, o un po’ più lungo se si era più forti. Queste due categorie erano le preferite della società, perché erano soli al mondo e quindi nessuno notava la loro definitiva scomparsa, poiché chiunque entrasse nella banca della società, non ritornava più alla sua vecchia vita. La BANCA DEL SANGUE era nata su volere dei più vecchi della sua stirpe. Questi ultimi, pur di restare giovani, si erano imposti una Compagna che li potesse nutrire con il loro sangue. Era, infatti, noto che l’unica cosa che mantenesse giovani e belli quella della sua razza era lo scambio di sangue con una partner, anche se questo significava essere uniti per l’eternità. Con la nascita della società, però, entrava in gioco la “perversione”! Difatti era risaputo che i Vecchi erano tutti accoppiati, pur senza sentimento, per non perdere la loro giovinezza e beltà. Però in loro c’era qualcosa di spietato e scellerato che li portava a nutrirsi, anche, degli umani fino a lasciarli senza vita. Molti vampiri non accoppiati, e quindi imposti a nutrirsi dagli umani, sapevano che potevano sfamarsi anche senza uccidere nessuno. Questo poteva accadere mediante l’amplesso fisico. Infatti gli umani provando un immenso piacere, come solo un vampiro sa dare, non si accorgevano né del morso, né della suzione del sangue. Questo ai vecchi non interessava ed inoltre essendo i più puri non si abbassavano, neanche, ad andare a cacciare, allora avevano creato queste società che lo faceva per loro. Nel realizzare queste organizzazioni erano state imposte, anche, delle regole che prevedevano la cattura solo di ragazzi giovani e che fossero sani di salute, perché pur immuni alle malattie umane, i Vecchi non volevano contaminare il loro sangue puro con quello marcio. Questi ragazzi venivano adescati con la scusa di un buon lavoro, poi invece venivano trasportati in case dove aspettavano, ignari, di essere dati ” letteralmente” in pasto a creature che credevano esistere solo nei libri o al cinema. All’inizio tutto filava liscio, poiché per strada c’erano molti ragazzi che potevano saziare la fame di divertimento dei Vecchi, ma con il passare degli anni si iniziarono a formare associazioni che avevano l’intento di salvare i ragazzi di strada e quindi quei giovani che all’inizio erano indifferenti a tutti, adesso la mancanza di qualcuno poteva essere notata, ed è a questo punto che nacque l’idea della “Congregazione degli eletti”. Un insieme di combattenti scelti tra la stirpe dei vampiri che, avendo avuto un infanzia travagliata, erano i migliori candidati per quel genere di lavoro. Questo compito consisteva nel fare fuori chiunque potesse nuocere la società, perché non avevano né scrupoli né pietà, e avevano creato un’armatura intorno al cuore che nessuno poteva oltrepassare. Da qui il nome dato alla società “B. V. Society” che sta per ” BIG VAMPIRES SOCIETY”, “LA SOCIETA’ DEI GRANDI VAMPIRI”.
    Anche Cross era uno di loro da molto tempo ormai e arrivato alla stanza in fondo a destra, si guardò intorno e ancora una volta si sorprese nel vedere un ambiente che non aveva nulla a che fare con il resto della casa. Infatti l’oggetto più imponente in quella camera era un lungo tavolo con dieci sedute occupate dai membri della congregazione quando si riunivano. Il posto di rilievo era destinato a Daniel, difatti, la sua sedia era molto simile ad un trono, posizionato a capotavola. Il tutto in un luogo nel quale nemmeno le pareti avevano un segno di vita, difatti erano spoglie di colore e solo su una di esse c’era un grande specchio. Cross guardò in quella direzione e in cambio ricevette un’occhiata da due occhi neri come il carbone spenti di ogni luce, poi passò al naso dritto, alla bocca non molto carnosa, il tutto in un viso dalla forma un po’ ovale con zigomi alti; poi fu il turno dei capelli, non molto corti, e tutti tirati disordinatamente all’indietro anch’essi neri come la pece. Mettendosi meglio davanti al suo riflesso si guardò dal suo metro e novanta di altezza, aveva le spalle larghe, ma in compenso una vita stretta e senza un filo di grasso, risultato di molti anni di faticoso allenamento, grazie al quale aveva bicipiti, petto, addome e gambe come il marmo. Incuteva paura a chiunque lo guardasse, poiché era una montagna di muscoli, ma nello stesso momento agile come un felino e flessuoso nei movimenti. Era vestito con i soliti indumenti che metteva per lavorare, ossia jeans neri, che aderivano alle gambe come una seconda pelle; una t-shirt nera aderente e sopra un cappotto lungo fino all’altezza delle cosce di pelle nera, al cui interno si trovava un armamentario che poteva inorridire un militare. Difatti in una fondina che era infilata dalle spalle aveva pistole di ogni calibro e coltelli di ogni lama, nonché molte stelle ninja; infine arrivò ai piedi ai quali calzava un paio di anfibi neri. Ma ai suoi occhi l’elemento che risaltava di più sul suo corpo era quel marchio, simile ad un tatuaggio, a forma di grande tribale che partiva da metà collo per finire sull’avambraccio sinistro e un po’ più distaccato, quasi vicino al polso, c’era il segno di suo padre. Ogni membro-uomo della sua stirpe aveva il marchio, mentre l’impronta del proprio genitore si trovava anche sulle donne la quale poteva essere di svariate forme e collocata su diverse parti del corpo. Il suo era a forma di mezza luna e su di lui era molto nitido per via delle sue antiche origini e del suo sangue puro. Sulla maggior parte della sua stirpe il marchio era un po’ più chiaro perché nelle loro generazioni c’era anche la presenza di sangue umano e questo non li faceva essere puri al cento per cento. Dopo questo attento esame al suo corpo sedette sulla sua sedia che era quella alla destra del capo, segno del suo posto nella gerarchia della società, sia per gli anni che aveva, sia perché era il migliore nel suo lavoro e rimase ad aspettare i suoi compagni e il loro capo. Il primo ad arrivare fu Lucas, un ammasso di muscoli che solo a guardarlo ti veniva voglia di andare a rifugiarti nel posto più solitario della terra. Lo stesso non valeva per le donne, le quali potevano fare a pugni solo per ricevere un suo sguardo. Era alto un poco più di Cross, aveva capelli lunghi sulle spalle di un castano dorato e bellissimi occhi nocciola che, però, esprimevano rabbia e dolore poiché anche lui aveva una storia alle spalle che nessuno gli poteva invidiare. Veniva da un’adolescenza marchiata da violenze da parte del patrigno che aveva ucciso, dopo aver visto massacrare la madre, e da allora era diventato un assassino spietato, quindi ottimo partito per la società nonché quello più simpatico a Cross. < Ehi amico sei sempre il primo è? Sai di cosa vuole parlarci il capo?>. La sua voce ti rimbombava dentro per quel timbro baritonale che si ritrovava, anche se non mancava quell’accento italiano di cui si vantava tanto. Si sedette sulla sedia alla sinistra del capo. < No! Non ho idea di cosa voglia dirci. Ma per convocarci all’improvviso deve essere qualcosa di importante>. < Ero a caccia quando mi è arrivato il messaggio, stavo con un bel bocconcino, però, qual è il nostro motto?” Il dovere prima di tutto!” E proprio perché non ho portato niente a termine, spero che gli altri arrivino presto per poter andare a finire ciò che avevo iniziato!> Cross sapeva che il suo tenebroso compagno non sarebbe andato a casa prima di aver sfamato oltre la sua sete carnale, anche quella di sangue e sapeva che qualsiasi ragazza gli si sarebbe concessa ben volentieri. <allora i primi arrivati a rapporto sono sempre i soliti musoni dediti solo al lavoro!> Si voltarono entrambi verso quella voce dall’accento francese e videro entrare un altro componente della banda, il quale andò a posizionarsi di fronte a Lucas e quest’ultimo lo guardò male: <noi non siamo dei pagliacci come te Pierre! Che passi la maggior parte del tuo tempo tra locali e donne per poi venire al lavoro solo quando hai voglia e soprattutto quasi mai sobrio.> Lucas non concepiva questo genere di comportamento perché era vero ciò che aveva detto il compagno, cioè che loro due erano quelli che si concentravano più sul lavoro, però mentre Cross rimaneva impassibile su questo lato del suo carattere e su quello che pensavano gli altri, il suo amico non riusciva a non controbattere alle provocazioni. Pierre si mise in una posizione più comoda sulla sedia scoccando all’amico uno sguardo provocatorio e un sorrisetto ironico.<parli così perché non sai il significato di “ vita sociale”! Quando non lavori passi tutto il tempo in quel tuo appartamento ad ascoltare musica o a leggere, sai che noia! Mentre là fuori c’è un mondo fatto di piaceri che finché si può bisogna assaporarli tutti!>Questa risposta non li sorprese, poiché tutti sapevano che anche lui faceva parte del circolo dei meno fortunati.
    Non si sapeva molto su di lui, solo che se l’era dovuta cavare sempre da solo perché qualcuno, ma non si sapeva chi, lo aveva privato di entrambi i genitori quando era molto piccolo e lasciato in balìa di una famiglia di vampiri che lo avevano trattato peggio di uno schiavo e dai quali riuscì a liberarsi solo dopo aver pagato un pegno che, però, nessuno conosceva.
    Da quando era entrato a far parte degli Eletti si era regalato tutti gli agi che gli erano sempre stati negati, compreso le donne, di cui faceva stragi di cuori tutte le sere essendo di una bellezza raffinata. Come i suoi compagni anche lui poteva vantarsi di un bellissimo corpo di 185 centimetri e di muscoli sodi, aveva una lunga chioma di capelli da far invidia ad una donna per il suo colore molto vicino al miele, che si intonavano una meraviglia con i suoi occhi di un blu limpido nei quali potevi specchiarti, ma che se li notavi bene erano privi di ogni calore. Pierre era un ottimo guerriero con tutti i requisiti giusti per la società, era spietato, veloce, preciso e tutti erano più sicuri se combattevano con lui.
    In quel momento arrivò Manuel, fece un cenno del capo e come al solito andò a sedersi sulla sedia più lontana in modo da non poter iniziare alcuna conversazione con nessuno, era di poche parole e taciturno, molti pensavano che fosse dovuto al fatto che si sentisse inferiore. Tra i presenti era l’unico a non appartenere alla razza pura dei vampiri essendo figlio di un’umana; per questo da quando era ragazzino fino all’adolescenza era stato sempre il più debole della sua famiglia, che vantava nobiltà da tante generazioni, e quindi oggetto di scherno tra i suoi amici nonché parenti. Questa sua situazione lo aveva sempre fatto soffrire, soprattutto perché era vero il fatto che fosse il più debole e quindi in ogni genere di lotta era quello che ne usciva peggio essendo di corporatura più esile. Però non demordeva, anzi era sempre il primo a gettarsi nelle lotte e non si era mai umiliato tirandosi indietro pur sapendo che i compagni lo sfidavano perché convinti della vittoria. Crescendo iniziò ad odiare sua madre dandole la colpa della sua debolezza e il fatto che le somigliasse anche fisicamente non migliorò la situazione. Dal padre aveva ereditato solo il colore nero dei capelli, mentre erano della madre il colore degli occhi di un verde smeraldo e la pelle chiara.
    Era il più basso tra i compagni, ma comunque non andava sotto il metro e ottanta, la sua muscolatura si era gonfiata e rassodata solo dopo essere fuggito di casa ancora adolescente. Se ne andò a vivere per conto suo sottoponendosi ogni giorno a venti ore di allenamento facendo, così, fronte al suo limite e riuscendoci dopo tanti anni, ma nessuno sapeva chi l’aveva aiutato durante la mutazione. Anche se il suo corpo era cambiato in meglio, d’altro canto, il suo cuore era ancora pieno d’odio per le umiliazioni subite da ragazzino e per questo era stato assunto dalla società.
    Nella stanza regnava un silenzio tombale poiché ognuno era assorto nei propri pensieri. Anche gli altri guerrieri erano in tenuta da lavoro quindi tutti vestiti di nero, l’unica eccezione era Manuel che al posto della t-shirt nera aveva una maglia a collo alto per poter coprire il marchio un po’ più chiaro dei suoi compagni e che non metteva mai in mostra.
    A quel punto dal corridoio rimbombavano dei passi e tutti videro entrare il loro capo, il quale andò a posizionarsi sulla sua sedia a capotavola posandoci sopra dei fogli che sicuramente contenevano le informazioni per le quali erano stati convocati.
    <d e S non vengono perché stanno sbrigando un altro lavoro, quindi possiamo iniziare.>
    Daniel incominciò a sfogliare la sua documentazione e anche in quel gesto esprimeva eleganza come i suoi modi e i suoi vestiti. Tutti sapevano che era un patito della raffinatezza, questo spiegava il lusso della sua casa, ma lo faceva soprattutto per far colpo su chiunque avesse a che fare. Di bell’aspetto aveva lunghi capelli biondi legati in un codino basso e occhi azzurri, ma ciò che ti colpiva di lui erano sicuramente gli abiti che indossava, tutti di magnifica fattura, poichè importarti direttamente dall’Italia.
    La bellezza che esprimeva fuori non rispecchiava, però, quello che c’era dentro. Difatti era un personaggio senza nessuno scrupolo e di una spietatezza che non si poteva spiegare ed era per questo che era a capo della società.
    <c’è un’altra organizzazione che ci sta dando dei problemi, poiché nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto c’erano quattro o cinque ragazzi che ci andavano spesso, e adesso che non si sono più fatti vivi i volontari stanno iniziando a porre troppe domande in giro e ad investigare. Sappiamo tutti che devono essere fermati!>
    Al cenno di assenso di tutti i presenti continuò a parlare.
    <però c’è un problema! Il proprietario dell’associazione è un uomo molto in vista in città voi, quindi, capite che il lavoro deve essere fatto in modo pulito senza che nessuno possa in qualche modo investigare sull’incidente, ma soprattutto non ci deve essere nessun superstite tra i volontari!>
    Poi rivolse lo sguardo verso Cross.
    < Il grande capo per questo lavoro, e per la sua importanza, mi ha riferito che vuole che sia tu a farlo e conoscendoti non mi sorprende. Già da stasera vai sul posto a fare la prime ricognizioni, studia tutto ciò che può esserti utile e poi porta a termine il lavoro e cerca di farlo il più presto possibile. Mi raccomando, Cross, “un lavoro pulito e nessun testimone!” L’indirizzo e altre informazioni sono su questo foglietto, confidiamo tutti nelle tue capacità.>
    Cross prese l’indirizzo e lo mise in tasca, stava per andarsene quando Pierre tuonò: <non è giusto i lavori più eccitanti vengono sempre dati a lui! Voglio parteciparvi anch’io>.
    Daniel, allora, gli scoccò quell’occhiata che tutti temevano, tranne i presenti ovviamente, e lo incitò a sedersi.
    <pierre queste sono le decisioni del grande capo e se vuoi saperlo non potevo che essere più che d’accordo con lui. Calmati tanto non era l’unico lavoro da fare, ce ne sono altri anche per voi e comunque importanti.>
    In vista di nuovi lavori e quindi motivi per potersi battere, Pierre si calmò e aspettava impaziente di avere le direttive su ciò che doveva fare.
    <cross tu puoi andare e mi raccomando non dimenticare di fare rapporto.>
    Fece un cenno d’assenso e scomparve.



     
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  2. lara.6
     
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    moooolto scorrevole. Brava! Lo hai già scritto il secondo capitolo?
     
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  3. antonella125
     
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    Lara ti ringrazio sei gentilissima! Sono felice di fare la tua conoscenza e spt volevo farti i complimenti per il forum! E' molto bello!
    Per qnt riguarda il secondo capitolo lo postero' a breve e spero ti piaccia! ;)
    Spero anche mi potrai dire cosa ne pensi. :lol:
    Grazie ancora.
     
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  4. Pico ©
     
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    uhm... anche io sto aspettando...
     
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  5. antonella125
     
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    Ecco posto il mio secondo capitolo! Spero che leggerete anche questo e che vi piaccia, in caso contrario accetto anche critiche!
    A presto. :baci:


    II CAPITOLO
    Anche quella sera Leila camminava velocemente per dirigersi a Rue du Chambre dove si trovava il suo centro, doveva prendere delle pratiche che aveva dimenticato nel suo ufficio, come capitava spesso.
    Laureata con lode in assistenza sociale, aveva sempre sognato di mettere in pratica quello che aveva studiato per tanti anni e con tanta dedizione, il fatto poi di farlo per persone che nella vita non avevano niente e nessuno e, per di più, farlo gratis la riempiva di orgoglio.
    Essere figlia di un ministro di Parigi le aveva facilitato il cammino verso il suo scopo, aprire un’associazione che aiutasse i tanti giovani di strada che per il resto del mondo non esistevano. Suo padre era Louis Dernier, ministro delle pari opportunità, il quale dopo aver lavorato con la figlia al suo progetto fu più che felice di aiutarla a metterlo in atto, perché anche lui da giovane si era sempre battuto per questo tipo di faccende fino poi a diventare quello che era.
    <e’ davvero un bellissimo piano di lavoro Leila! Sono così orgoglioso di te che farò tutto ciò che è in mio potere per realizzare questo tuo sogno. Però sappi che non è semplice fare quello che ti sei predisposta, ci vuole tanto tatto ma allo stesso tempo dovrai essere molto dura e non lasciarti trasportare troppo dai tuoi sentimenti, altrimenti ne uscirai distrutta! Infine, cosa più importante, stai attenta cara perché non sai mai con chi o cosa avrai a che fare! >
    Il padre era sempre stato molto protettivo con la figlia, ma le aveva saputo anche insegnare come prendere di petto chi o cosa, per riportare le sue parole, le avrebbe ostacolato il cammino. <papà non preoccuparti, d’altronde ho avuto un ottimo insegnante e vedrai che non ti deluderò!>
    Detto ciò Louis si occupò di tutte le pratiche burocratiche che grazie alle sue conoscenze non andarono per la lunga, ma soprattutto aveva finanziato lui tutto quanto dalla struttura a tutto ciò che serviva al suo interno.
    Sembrava passato un solo giorno dall’inaugurazione del centro con il nome di “Speranza”, invece erano passati già tre mesi durante i quali Leila e tutto il suo staff, maggiormente suoi compagni di facoltà, lavoravano ininterrottamente per quei ragazzi che erano stati tanto sfortunati nella vita. Anche se era passato poco tempo erano riusciti ad aiutarne parecchi, addirittura, trovando loro un lavoro che li facesse mantenere e non vivere più per strada. Questo era motivo di gioia e soddisfazione per tutti e il cuore si riempiva di nuove speranze ogni qualvolta ce n’era uno in meno da salvare da un destino crudele, quale la strada. Non sempre, però, le cose filavano per il verso giusto. Molti ragazzi, infatti, dopo qualche giorno non si facevano più vedere al centro, erano stati marchiati troppo a fondo dalla loro dura realtà e non vedendo orizzonti rosei per se stessi ritornavano alla loro vita di prima, se così si poteva definire. Lei stessa aveva cercato di convincere molti di questi che si sbagliavano, che la vita dà a tutti una seconda opportunità basta solo coglierla ma, loro, troppo orgogliosi di doverle dare ragione, o soprattutto di farsi aiutare, non le avevano dato retta piegandosi ad un futuro privo di ogni aspettativa, se non quella di combattere ininterrottamente solo per riuscire a “sopravvivere”. La cosa strana, però, di quel periodo era che non si erano più fatti vedere dei ragazzi che invece si erano convinti della sua filosofia e stavano facendo di tutto per poter riemergere dal fondo. Era trascorsa difatti una settimana dall’ultima volta che aveva visto Anne, Denise, Matthiew e Rafael, quattro ragazzi non ancora maggiorenni che venivano al centro da un mese, ed era proprio per prendere le loro pratiche che stava andando in ufficio a quell’ora di notte. L’ultima volta che li aveva visti dovevano andare ad un colloquio di lavoro che gli avrebbe, poi, permesso di non dipendere più dall’associazione. Ma da quel giorno nessuno aveva più avuto loro notizie, anche dopo aver chiesto informazioni in giro nel caso qualcuno li avesse visti. Ma come ci si poteva aspettare senza nessun risultato, perché questi ragazzi per le persone, semplicemente, non esistevano. Leila ne aveva denunciato la scomparsa alla polizia con la speranza che almeno loro si sarebbero disturbati di cercarli ma non aveva ancora avuto notizie né positive, né negative.
    Mentre pensava a quei poveri ragazzi, con tanta tristezza nel cuore, era arrivata al Speranza. Come sempre ne rimaneva affascinata! Era una struttura su due piani interamente rivestita di tufo grigio, sia le porte d’ingresso che quelle delle finestre erano munite di infissi di alluminio bianco che risaltavano la lucentezza dei vetri i quali erano coperti da tende color rosa. Lo stesso colore rivestiva anche tutte le pareti all’interno, perché i giovani che decidevano di recarsi lì pensando al loro futuro dovevano farlo in “rosa”.
    Il primo piano era diviso in tre grandi ambienti più un piccolo bagno; partendo dall’entrata le camere si estendevano sulla destra divise tra loro da porte a soffietto ed erano in ordine: ufficio amministrativo, mensa e cucina. Il secondo piano, purtroppo ancora inagibile, era composto di un solo grande ambiente nel quale dovevano esserci una ventina di cuccette per ospitare una quarantina di ragazzi e qualche armadietto, ma per motivi di ritardo non le erano stati ancora consegnati quindi non potevano ancora ospitare nessuno. Infine sulla destra c’era un bagno un po’ più grande di quello del piano inferiore, con doccia e igienici.
    L’ufficio amministrativo era la postazione di lavoro di Leila e Gabriella, da qui dovevano passare tutti i ragazzi che avevano intenzione di farsi aiutare dal centro dando le loro generalità e dove gli veniva consegnato un tesserino con il quale potevano entrare e mangiare anche se l’ufficio era chiuso, cosa che non poteva fare chi non aveva fatto questa prassi. Inoltre, era qui che avvenivano i vari incontri fra i ragazzi e i volontari, i quali facevano di tutto per aprir loro gli occhi sul futuro.
    La mensa era il luogo più accogliente del centro piena di tavoli con sedie tutte di colore fucsia, su ogni tavolo c’era una tovaglia cerata a fantasia fiorata la stessa dei cuscinetti che rivestivano le sedie. Ai quattro angoli della stanza si trovavano dei contenitori con sopra un piano sui quali gli ospiti, dopo aver mangiato e buttato gli avanzi, deponevano i vassoi che avevano utilizzato per poggiare i piatti pieni di cibo.
    La cucina non aveva niente da invidiare a quella di un ristorante, c’erano dei grandi fornelli dove i volontari iniziavano a cucinare dal primo mattino per poter far fronte al gran numero di ospitanti della giornata. Il servizio offerto dal centro iniziava alle nove del mattino distribuendo la colazione, poi continuava fino a quasi mezzanotte per poter consegnare pranzo e cena.
    Aperta la porta non si meravigliò di trovare Gabriella, sua collega e compagna di facoltà, ma soprattutto sua amica più fidata da ormai tanti anni.
    <ancora al lavoro? Non ti sembra ora di ritornartene a casa e riposare un po’?>
    L’altra alzò gli occhi dal suo portatile e le sorrise come una sorella.
    <stavo giusto per andare. Ma tu cosa fai qui? Dimenticato qualcosa come al solito?>
    Lei sì che la conosceva bene! <sì le pratiche di Anne, Denise, Matthiew e Rafael. Domani voglio andare alla centrale per chiedere se hanno novità e nel caso vogliano chiedermi altre informazioni non sarò impreparata.>
    Gabriella sospirò alla testardaggine della sua amica. <leila rassegnati! Quei ragazzi avranno già dimenticato ciò che hai fatto per loro e saranno ritornati alle loro vecchie abitudini. Quindi non tormentarti perché non è la prima volta che ci passiamo e lo sai anche tu!>
    <impossibile Gab! Li ho conosciuti a fondo e per non ritornare vuol dire che sarà successo loro qualcosa e non mi darò pace finchè non li avrò trovati o scoperto cosa è accaduto. Comunque… sai per caso dove si trovano i documenti che cerco?>
    Alzandosi l’amica prese la borsa per poter andare a casa, sapendo che non avrebbe fatto cambiare idea a Leila. <non lo so dove si trovano. Resterei qui ad aiutarti a cercare, però sono davvero distrutta e non so per quanto tempo ancora riuscirò ad avere gli occhi aperti!>
    <non preoccuparti vai a casa e riposati, penso io a trovare ciò che mi serve. Buonanotte.>
    <buonanotte e non attardarti! Non è sicuro stare qui da sola e mi raccomando dopo chiama un taxi per ritornare a casa. Non farmi stare in ansia!>
    Dopo aver dato il suo assenso e abbracciato l’amica, Leila iniziò a cercare e non sarebbe andata via senza quelle pratiche.

    Cross apparve proprio di fronte al numero tre di Rue du Chambre, voleva fare una prima ricognizione senza che nessuno lo vedesse e poiché era quasi l’una di notte sapeva che non avrebbe trovato nessuno a quell’ora. Il centro, gli aveva annotato il capo sul foglio, era aperto solo di giorno grazie ad una sua manovra che aveva fatto ritardare la consegna dei letti, in modo da non poter ospitare i ragazzi di notte e quindi non fargli avere un altro punto di riferimento. Iniziò ad avvicinarsi alla struttura quando si rese conto che c’era una luce accesa e quindi ancora qualcuno al suo interno. Il suo primo pensiero fu che fosse qualche inserviente che puliva, ma guardando più da vicino notò una figura esile china su dei fogli e per la sua corporatura non poteva trattarsi che di una donna, anche se non si spiegava cosa ci facesse a quell’ora di notte, ancora, al centro.
    Non riusciva a guardare bene in faccia la ragazza perché era ancora con la testa bassa intenta a leggere qualcosa, poi d’improvviso lei alzò la testa per massaggiarsi il collo così, che, lui potette vedere il viso e ciò che vide lo lasciò senza parole. In quel momento Cross pensò di non aver mai visto niente di così bello in tutta la sua lunga vita! La ragazza aveva dei capelli color dell’ebano raccolti in una,disordinata, treccia e dalla quale ne uscivano parecchie ciocche, gli occhi erano di un bellissimo color lavanda delimitati da ciglia lunghe e nere come i capelli, così come le sopracciglia che formavano un delizioso arco su quello sguardo incantatore. Il nasino era dritto con la punta un po’ all’insù, chiudeva il tutto una bocca carnosa di un rosso fuoco e sulla quale Cross mantenne di più lo sguardo immaginando come sarebbe stato poggiare le sue labbra su di essa. In quel momento la ragazza si alzò mostrando agli occhi che la stavano spiando il resto del suo corpo. Pur essendo di piccola statura il suo fisico non aveva niente di “piccolo”, infatti, dalla camicetta attillata si potevano notare dei seni non grandi ma sodi, la sua vita era stretta come quella di una vespa e i jeans attillati mettevano in risalto le gambe lunghe. Mise dei fascicoli nella borsa e si stava preparando per andar via, allora Cross decise che l’avrebbe seguita perché in qualche modo la ragazza quella notte doveva essere “sua”. La sua intenzione era quella di passare la notte con lei, e perché no, anche assaggiare il suo sangue che sicuramente doveva essere divino. Solo pensandoci i suoi canini si allungarono notevolmente, immaginando il sapore di lei sulla lingua e al piacere che avrebbe provato fra le sue braccia. In tutta la sua vita le donne gli si erano concesse sempre volentieri, ma se quella notte qualcosa andava storto l’avrebbe soggiogata con la sua mente e piegata al suo volere. Nel frattempo la ragazza, dopo aver chiuso il centro, si incamminò e il vampiro pensò che fosse pazza, non solo per essersi trattenuta fino a tardi al lavoro da sola, ma soprattutto perché a quell’ora di notte camminava per strada, disinvolta, come avrebbe fatto alle quattro del pomeriggio. Cross la seguiva mantenendosi a dedita distanza per non farle accorgere della sua presenza, tenendo anche sottocontrollo i movimenti intorno a loro per non permettere a nessuno di intralciare i suoi piani per quella notte. Già immaginava l’umana nuda tra le sue mani e grazie al suo sangue avrebbe placato la fame per qualche giorno, ma non avrebbe accresciuto la sua forza. Di più non si poteva aspettare dal sangue umano, poiché l’unico sangue in grado di renderlo più forte e dargli maggior sostentamento era quello di una sua simile, ma avrebbe anche creato un legame indissolubile. E per il momento non era una sua priorità. Anche perchè Cross aveva sempre sognato un legame come quello che avevano avuto i suoi genitori, cioè di amore e dedizione. Ma nel voler portare a termine la sua vendetta non si era mai soffermato a notare, o scegliere, chi potesse essere una sua futura compagna. Proprio per questo si nutriva di esseri umani, anche se questo implicava di farlo spesso e di fare più allenamento fisico per rinforzarsi. La ragazza si fermò davanti ad un bellissimo condominio di Rue du Lit e dopo aver aperto il portone vi si infilò dentro. Cross muovendosi rapidamente, come solo un vampiro può fare, non lasciò che il portone si chiudesse e giusto in tempo vide l’umana salire le scale e scomparire verso il secondo piano. Accorto a non fare nessun rumore, iniziò a salire e arrivato in cima la vide entrare nel secondo appartamento a sinistra. Allora attese fuori la porta che si addormentasse in modo da mettere in atto il suo “dolce” piano.

    Leila posò la borsa sul tavolo di cristallo in salone e si preparò per andare a fare una doccia. Controllò la segreteria telefonica e c’erano due messaggi da parte di Oliver, le chiedeva che fine avesse fatto poiché non l’aveva più vista dalla mattina e in entrambi i messaggi si raccomandava di richiamarlo. Guardò l’orologio ed erano quasi le due di notte, sicuramente non un buon orario per chiamarlo, si ripromise di farlo la mattina e mentre si avviava al bagno pensò al suo collega. Oliver era stato un suo compagno all’università e quando era venuto a conoscenza del progetto del Speranza, si era fatto avanti per poter dare una mano. Leila aveva apprezzato molto questo gesto, anche perché l’amico non aveva, certo, bisogno di quell’impiego essendo figlio di un magistrato e quindi molto ricco. Lui aveva insistito ed infine lei aveva capitolato, e ad oggi poteva dichiarare che era stato di notevole aiuto poiché ci sapeva fare benissimo con i ragazzi e ne aveva fatti ragionare parecchi. Con il passare del tempo, però, si accorse che lui non la guardava come una semplice amica ma, anzi, sperava sempre che il loro rapporto potesse sfociare in qualcosa di più importante. Ma lei non aveva mai pensato a loro in quei termini perché lo aveva sempre visto solo come un buon amico e anche se ogni tanto dopo il lavoro cenavano insieme e restavano a parlare fino a tardi, le loro uscite non erano mai finite se non con una buonanotte e un bacino sulla guancia. Oliver era un tipo piacevole sia fisicamente sia intellettualmente, alto e slanciato aveva i capelli castani e dei caldi occhi marroni. Con lui si poteva parlare di ogni argomento essendo un uomo di cultura e dalla mentalità aperta, però, anche con tutti questi pregi in lei non era mai scattato “quel non so che” che le avrebbe permesso di concedersi interamente a lui. Mentre si immergeva nella vasca da bagno si soffermò su questo pensiero e, pensandoci bene, nei suoi venticinque anni non le era mai capitato di provare un sentimento talmente forte nei confronti di un uomo da farle dimenticare tutto, anche se i corteggiatori non le erano mai mancati.
    Possibile che in tutto il mondo non ci fosse un uomo che fosse in grado di inebriarla!
    Adesso non era il momento di pensarci, i suoi pensieri dovevano focalizzarsi solo su quei poveri ragazzi. Infilando la sua camicia da notte riflettette su quello che doveva fare al suo risveglio. Andare alla stazione della polizia e non lasciarla finchè non avesse smosso qualcosa per far andare avanti le ricerche.

    Nell’attimo in cui non proveniva nessun rumore dall’appartamento, Cross scomparve dal pianerottolo e riapparve all’interno della casa. Si ritrovò in un salone ammobiliato con gusto, tutto in stile moderno e pensò che anche il resto della casa dovesse avere lo stesso tocco. Camminò per casa attento a non far nessun rumore e con l’intento di trovare la camera da letto. Quando la trovò quello che vide al suo interno risvegliò tutti i suoi sensi, la donna dormiva a pancia in giù con la gamba destra piegata a formare un angolo. La camicia da notte di seta non lasciava niente all’immaginazione poiché metteva in risalto tutte le forme di lei. I suoi capelli, adesso sciolti, erano sparsi sul cuscino come un’aureola e solo a guardarli gli venne voglia di poterci infilare dentro le mani e accarezzare quella chioma che sicuramente doveva essere come seta. Anche da chiusi, quegli occhi potevano incantarti come il canto delle sirene, così come la bocca un po’ socchiusa. Pian piano si accovacciò su di lei per poter sentire il suo profumo, ma nell’attimo che inspirò gli si ghiacciò il sangue nella vene! Quella ragazza aveva una fragranza di erica e lavanda, odore che emanavano solo le donne della sua razza. Com’era possibile che lei avesse lo stesso profumo! Era un’umana e quindi non doveva emanare quella fragranza che solo i vampiri potevano avvertire. A meno che….
    No, impossibile!
    Dopo averla guardata per l’ultima volta scomparve, doveva andare al suo appartamento e rimuginare su tutto ciò con la mente più lucida, perché se i suoi sensi non si erano sbagliati, e non lo facevano mai, c’era solo una spiegazione.
    Nelle vene di quella ragazza doveva per forza scorrere sangue di un vampiro!
     
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  6. Simona_85
     
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    Ora, sono più che curiosa di come andrà avanti la storia!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! :ti prego:
     
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    Ti ho mandato una mail in proposito xD
     
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  8. lara.6
     
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    ma ti sembra il modo di interrompere un capitolo????????????????????? Postane subito un altro
     
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